Il suo ex vice presidente Mike Pence nega l’endorsement a Donald Trump

Donald Trump e Mike Pence quando i loro rapporti andavano bene.
Donald Trump e Mike Pence quando i loro rapporti andavano bene.

Non dovrebbe sorprendere che non concederò il mio endorsement a Donald Trump quest’anno”. Così Mike Pence, vice dell’ex presidente per quattro anni, in un’intervista alla Fox News. L’ex vicepresidente ha spiegato che Trump si era allontanato dall’agenda conservativa che loro due avevano promosso durante la loro amministrazione.

Pence sarà stato sincero ma bisogna anche ricordare il trattamento ricevuto da Trump dai giorni dopo l’elezione del 2020 al 6 gennaio 2021, il giorno degli assalti al Campidoglio. L’ex vicepresidente aveva ricevuto fortissime pressioni da Trump per convincerlo a non certificare l’elezione di Joe Biden durante il conteggio dei voti elettorali come richiede la costituzione. Pence decise che il suo dovere costituzionale precedeva la fedeltà che lui aveva dimostrato a Trump nei suoi quattro anni di vicepresidenza.

Nel giorno degli assalti al Campidoglio Trump lo ha ripagato facendogli rischiare la vita. Mentre la certificazione era già in corso con Pence nel suo ruolo cerimoniale, Trump inviò un tweet accusando il suo vice di non avere avuto il coraggio di bloccare la procedura. Trump sapeva che le sue insistenti richieste a Pence gli avrebbero potuto causare seri problemi, e persino la morte. Sapeva anche che alcuni dei rivoltosi erano armati ma non era preoccupato dalla loro presenza poiché non “erano lì per fare del male” a lui. A chi potrebbero fare del male? Tutti i poliziotti che stavano difendendo la linea per impedire ai rivoltosi incitati da Trump di entrare nel Campidoglio e raggiungere i parlamentari e senatori le cui vite sarebbero state messe in pericolo. Che a Trump importasse poco della vita del suo fedelissimo vicepresidente ci è stato confermato. Alla Casa Bianca, dopo avere sentito che i riottosi gridavano “Impicchiamo Pence”, Trump avrebbe detto che forse lo meritava e non fece nulla per salvarlo.

Gli assalti al Campidoglio il 6 gennaio 2021 ispirati da Trump che misero in pericolo la vita di parlamentari, senatori, e anche di Pence, l’allora vicepresidente.

Difficile credere che Pence abbia dimenticato anche se ha spesso cercato di minimizzare il rischio alla propria incolumità causatogli da Trump. Difatti, i due, pochi giorni dopo la certificazione di Biden a presidente si incontrarono e fecero la pace. Dopo però i loro contatti furono ovviamente interrotti ma non completamente. Durante i cinque mesi della sua breve campagna alle primarie repubblicane dell’anno scorso Pence si comportò in maniera appropriata e in uno dei dibattiti disse persino che se Trump sarebbe stato condannato nei processi criminali lui lo avrebbe votato per presidente.

Adesso però ha cambiato idea. Non è l’unico degli ex collaboratori di alto livello che hanno abbandonato Trump. Secondo un’analisi più di 44 ex collaboratori dell’ex presidente hanno preso le distanze. Includono individui di altissimo livello come John Kelly che per un tempo fu strettissimo collaboratore di Trump fungendo anche da chief of staff, capo di gabinetto. Il mancato endorsement di Pence però spicca poiché un vicepresidente che non appoggi il capo servito per quattro anni rimane cosa inaudita.

Non si crede che la decisione di Pence avrà un forte effetto ma ci offre un segnale degli elettori repubblicani tradizionali, la cosiddetta ala dell’establishment, fra cui si trova anche Nikki Haley. L’ex governatrice del South Carolina ha dato un certo filo da torcere a Trump nelle primarie ottenendo quasi il 40 percento dei consensi. L’ex presidente ha però stravinto e ha già in tasca abbastanza delegati per guadagnarsi la nomination. Rimane però l’elettorato di Haley che in grande misura si trova ideologicamente vicino a Pence. Cosa faranno questi elettori a novembre? Decideranno alla fine di scegliere Biden invece di Trump oppure non si presenteranno alle urne?

Mike Pence, scelto da Trump come vicepresidente nel 2016, per rassicurare l’ala dell’establishment del Partito Repubblicano.

Trump da parte sua continua a non corteggiare quest’ala del Partito Repubblicano. Il suo linguaggio rimane quello di attacchi, insulti, dando segnali sempre più pericolosi di ciò che potrebbe essere un suo secondo mandato. Dopo la vittoria a presidente nel 2016 Trump si circondò di un certo numero di collaboratori professionisti, Pence in primis, dando indicazioni di una possibile svolta verso il centro. Adesso sembra essersi spostato talmente all’estremo da fare temere per la sopravvivenza della democrazia. In un suo recentissimo comizio nello Stato dell’Ohio l’ex presidente ha detto che alcuni migranti non sono “essere umani” ma “animali”. Ha inoltre minacciato che se lui non vincerà a novembre negli Usa ci sarà “un bagno di sangue”. Un linguaggio che richiama il discorso fatto il 6 gennaio quando disse ai suoi sostenitori che bisogna “combattere all’ultimo sangue” poco prima degli assalti al Campidoglio. Ha anche dichiarato che se rieletto presidente libererà gli assalitori del Campidoglio adesso in carcere perché, a dir suo, sono “ostaggi”.

“La mia fede di cristiano mi impone di perdonare” Trump, ha dichiarato Pence in un’intervista al programma Face the Nation della Cbs. All’ex presidente il perdono di Pence importerà poco. La sua preoccupazione sarà il “perdono” dell’elettorato americano.