
«È paradossale leggere dichiarazioni entusiaste da parte di chi per anni ha minimizzato l’emergenza PFAS in Veneto». Così l’eurodeputata dei Verdi eletta con Alleanza Verdi e Sinistra, Cristina Guarda, commenta le reazioni istituzionali seguite alla storica sentenza del processo Miteni di Vicenza.

Guarda, originaria dell’area berica e da sempre in prima linea sul fronte ambientale, non usa giri di parole: «Altro che tempestività: la Regione ha collezionato ritardi, omissioni e silenzi assordanti. La Miteni inquinava e la Regione non si rendeva conto che non si trattava solo di inquinamento storico. E oggi, a dodici anni dallo scandalo, il sito non è ancora messo in sicurezza».
Un j’accuse duro, che trova sponda nella realtà dei fatti: «Siamo ancora in attesa dello studio epidemiologico promesso e mai realizzato – ufficialmente per mancanza di fondi – e delle misure di tutela per una filiera alimentare contaminata da anni. Le fonti idriche sostitutive, poi, sono drammaticamente in ritardo: cinque anni di slittamento rispetto alla tabella di marcia per fornire acqua priva di PFAS».
Per la parlamentare europea nata a Cologna Veneta, la sentenza della Corte d’Assise di Vicenza rappresenta comunque una pietra miliare: «È stato finalmente sancito un principio essenziale: chi inquina, paga. Ma chi governa non può continuare a raccontare una narrazione autoassolutoria, quando migliaia di cittadini e intere comunità chiedono da anni trasparenza, prevenzione e azioni concrete. E a queste richieste, finora, la Regione Veneto ha risposto con troppa lentezza e troppa propaganda».
Una bocciatura chiara per l’amministrazione regionale guidata da Luca Zaia, che in questi giorni ha commentato positivamente la sentenza senza, secondo i Verdi, fare autocritica sul mancato intervento tempestivo. Guarda conclude: «Il tempo delle parole è finito. Ora servono risposte vere, bonifiche rapide e soprattutto la verità sulle responsabilità istituzionali. Il diritto alla salute e all’ambiente sano non può essere più rimandato».