Pfas, l’avvocato Fabio Pinelli per la parte civile Regione Veneto contro Miteni: “dirigenti hanno nascosto l’inquinamento”

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Sistema di pompaggio e filtraggio dei Pfas in Miteni
Sistema di pompaggio e filtraggio dei Pfas in Miteni

Questa mattina all’udienza preliminare sul processo Pfas tra le parti civili costituitesi contro Miteni che hanno discusso di fronte al gup Venditti dopo che i pm De Munari e Blattner hanno chiesto il processo per tutti e 15 gli imputati c’era anche la Regione Veneto rappresentata dall’avvocato Fabio Pinelli. “Il quadro giuridico nell’ambito del quale si inseriscono i fatti di cui si occupa il presente procedimento nel rapporto con gli enti territoriali, costituiti parte civile, Regione (di cui l’Azienda U.L.S.S. è promanazione in ambito di tutela della salute) e Comune è dettato dagli artt. 242 e 304 D.Lgs. 152/2006 – ha detto Pinelli -. È noto che le norme in questione dettano un obbligo giuridico in capo al soggetto responsabile (Miteni in questo caso) di comunicare agli enti territoriali l’eventuale “verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito”, unitamente alle “misure necessarie di prevenzione e di messa in sicurezza” adottate. Lo stesso vale non solo per gli inquinamenti ‘moderni’, ma anche per le “contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione”. La norma da ultimo citata, fa espresso riferimento anche ai casi nei quali “un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi”. Obbligo in questione – ha proseguito Pinelli – che era tale anche nella disciplina previgente, dettata dall’art. 7 D.M. 471/1999”.

“In questo contesto normativo, la prima comunicazione trasmessa da Miteni è stata quella del 23.07.2013. Guarda caso poco tempo dopo la pubblicazione dello studio dell’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR (IRSA-CNR) sull’inquinamento da PFAS, che è stato il documento con il quale è esploso il ‘caso PFAS’, risalente al 25.03.2013. A dimostrazione che non si è trattato di una coincidenza, lo stesso pattern si è rivelato anche nel ‘secondo troncone’, poiché anche nel 2015 i dirigenti di Miteni hanno comunicato i risultati delle analisi che nel tempo avevano commissionato a laboratori interni ed esterni, solo dopo l’intervento di Arpav che ha disvelato l’inquinamento da GenX e da C6O4”.

“Ciò dimostra la volontà dei dirigenti di Miteni di occultare lo stato dei fatti, al fine di impedire agli enti competenti (tra cui Regione e Comune) di intervenire. Di seguito, estrapolati a campione e senza pretesa di esaustività, si evidenziano talune delle emergenze in questo senso, che sono evincibili dal fascicolo del Pubblico Ministero e che dimostrano la particolare intensità del dolo degli imputati. E – si badi bene – non si tratta di condotte meramente omissive, ma anche espressamente ingannatorie: non sono mai stati comunicati, neppure a titolo prudenziale, tutti gli studi del sito commissionati negli anni in particolar modo a Erm Italia S.r.l. nel 1996, 2004, 2007, 2008 e 2009; gli studi in questione non sono neppure esibiti o stati messi a disposizione del N.O.E. che stava svolgendo le indagini, nonostante fossero a disposizione di Miteni e da questa ben conosciuti; non sono stati comunicati gli esiti delle analisi commissionate da Miteni a laboratori interni o esterni, che manifestavano dati allarmanti, i cui risultati spesso venivano comunicati a Miteni solo con ‘comunicazioni preliminari dei risultati’ e non con i Rapporti di Prova ufficiali: uno studio di Agrolab Italia S.r.l. già nel 2008 evidenziava una serie di valori dei PFOA molto superiori ai valori prudenziali che aveva stimato Erm Italia nel 2004; lo stesso dicasi per i laboratori Chelab e Theolab, che hanno emesso i rapporti di prova del 2008 e 2009 sono a posteriori, su richiesta del N.O.E.; non è stata comunicata la barriera idraulica installata già dal 2005, manutenuta con sostituzione dei filtri nel 2011 ed ulteriormente implementata nel 2013, che pure deve essere definita dall’art. 243 D.Lgs. 152/2006 come una “misura di messa in sicurezza e di prevenzione dell’inquinamento delle acque […] conterminazione idraulica con emungimento e trattamento” e quindi soggetta a comunicazione agli enti territoriali; non solo – ha proseguito Pinelli – nel 2005 la barriera idraulica veniva realizzata previa comunicazione del 07.04.2005 al Genio Civile, che non ha competenza in materia ambientale, indicando per conoscenza l’ARPAV, ma trasmettendo la comunicazione senza allegati.

Nulla viene inviato a Regione e Comune. La comunicazione in questione ha ad oggetto “variante non sostanziale su derivazione d’acqua da falde sotterranee per uso industriale” e l’intervento viene indicato come destinato alla “conservazione della risorsa idrica a maggior valore” e al “raggiungimento della certificazione ISO 14001”; durante un tavolo tecnico istituito presso il Comune di Trissino nel 2015 per discutere della bonifica del sito Miteni, due dirigenti di Miteni, Drusian e Guarracino, oggi imputati, hanno riferito, mistificando la realtà – che la barriera idraulica sarebbe stata costruita in tempi molto rapidi solo nel 2013, quando invece la barriera idraulica risaliva già al 2005: Davide Drusian, Responsabile in materia di ambiente, salute e sicurezza di Miteni: “nel luglio del 2013 è stato messo in atto il Mise con la costruzione di una barriera idraulica della falda sotterranea”; Luigi Guarracino, Amministratore Delegato di Miteni “è stata predisposta la barriera idraulica in tempi strettissimi non appena rilevato il problema”. In definitiva, gli Enti territoriali suindicati e gli organi di controllo, sono, invece, stati tenuti del tutto all’oscuro della situazione, consentendo il consolidarsi del pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente, impedendo o rendendo tardiva ogni possibile iniziativa contenitiva.

“L’aspetto paradossale di questa vicenda è che il comportamento tenuto dai dirigenti di Miteni ha avuto come effetto quello del ribaltamento del principio c.d. “chi inquina paga” che domina la materia del diritto ambientale e secondo cui è il responsabile dell’inquinamento a doversi fare carico degli oneri per il ripristino della situazione anteriore.
Principio che viene sancito innanzitutto a livello comunitario, nell’art. 191, co. II del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Di fondo, questo è anche il cuore della contestazione di cui al capo 4 dell’imputazione eretta nel secondo troncone (il reato di bancarotta), poiché le condotte di Miteni hanno costretto – di fatto – la Regione e gli altri enti territoriali a farsi carico della compromissione dei beni giuridici della salute umana e dell’ambiente, non adottando quelle condotte di prudenza, anche contabile e bilancistica, di accantonamento di risorse destinate al ripristino del sito compromesso e dell’inquinamento cagionato nel territorio. Tra gli interventi sussidiari ai quali è stata chiamata la Regione, si possono ricordare, a mero titolo esemplificativo: con la deliberazione della Giunta Regionale n. 287/2014 veniva approvata la ridestinazione del contributo pubblico pari a 2.000.000,00 di euro già assegnato ad altro progetto, al potenziamento delle infrastrutture funzionali alla potabilizzazione nella centrale acquedottistica di Lonigo (VI), servente un comprensorio di 13 Comuni nelle province di Padova, Vicenza e Rovigo; in attuazione del Programma Quadro APQ VENRI, al fine di avviare l’attività volta alla drastica riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, con deliberazione della Giunta Regionale n. 1582/2017 veniva assegnato ed impegnato l’importo di € 1.200.000,00 al potenziamento della filtrazione delle acque potabili nell’area inquinata da sostanze perfluoroalchiliche; con deliberazione della Giunta Regionale n. 1352/2018 – con riferimento allo stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei Ministri il 21 marzo 2018 – veniva assegnato alla società Veneto Acque S.p.A. il coordinamento tecnico degli interventi finalizzati alla progettazione e realizzazione di condotte di adduzione primaria e, conseguentemente, l’importo di € 1.500.000,00 quale quota di contribuzione regionale”.

“La Regione del Veneto ha avviato sin dal 2016 un Piano di Sorveglianza della popolazione medesima. Il Piano, approvato con la DGR n. 2133/2016 ed integrato con la DGR n. 691/2018, ha come obiettivo l’identificazione di malattie croniche degenerative dovute all’esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche e agli scorretti stili di vita, attraverso la presa in carico della popolazione. La Regione – ha concluso Pinelli – si è dotata di un Sistema Informativo Regionale Screening PFAS con cui ottimizzare tutto il processo dell’indagine, dagli inviti alla registrazione dei referti agli invii dei risultati e all’elaborazione degli indicatori di salute più rappresentativi”.