
Per la prima volta, i ricercatori dell’Università Sapienza di Roma hanno messo a punto una nuova metodologia di analisi che rende possibile tracciare le sorgenti dei cosiddetti “inquinanti eterni” (Pfas) dispersi nell’ambiente.
Il risultato di questa ricerca è di particolare rilevanza per il Veneto, poiché il progetto pilota è stato avviato in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) analizzando campioni provenienti dalla zona rossa di contaminazione in provincia di Vicenza.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Science of The Total Environment, rappresenta un punto di svolta nella lotta alla contaminazione da Pfas.
Il metodo isotopico: differenziare le origini
I Pfas (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate) sono noti per la loro eccezionale resistenza al calore e all’acqua, e si trovano in innumerevoli prodotti, dalle pentole antiaderenti agli indumenti impermeabili, fino agli imballaggi alimentari e ai cosmetici. La loro pericolosità deriva dal fatto che non si degradano nell’ambiente e si accumulano negli organismi viventi, compreso l’uomo, con effetti cancerogeni.
La metodologia innovativa è stata sviluppata da Eduardo Di Marcantonio, dottorando presso il Dipartimento di scienze della Terra della Sapienza, sotto la supervisione dei professori Luigi Dallai e Massimo Marchesi. A differenza delle semplici analisi chimiche, l’analisi isotopica non si limita a rivelare la presenza e la quantità di un composto, ma restituisce un valore (la ‘firma isotopica’) che è diverso in base al processo chimico, fisico o biologico che lo ha originato.
Dopo oltre 300 tentativi sperimentali, il team di ricerca è riuscito a ottenere ‘firme isotopiche’ specifiche per Pfas provenienti da diversi produttori industriali. Questa caratterizzazione permette, anche in scenari di inquinamento diffuso come quello della provincia di Vicenza, di distinguere le origini dei composti e la loro dispersione nell’ambiente, identificando così le diverse sorgenti.