Pierluigi Bersani a Vicenza in salsa LeU raccontato da un ex Dem col sale 5 Stelle

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Prima della passeggiata in corso Palladio e della sosta al Vecio Portego, Pierluigi Bersani ha fatto compagnia ai candidati LeU della provincia di Vicenza. Io ero stato invitato da una mailing list vecchia di qualche anno e in orario preciso, 17,45, parcheggiavo la mia bici davanti ai chiostri di Santa Corona. L’Emiliano delle metafore sostava davanti al bar, intervallando strette di mano suppongo a qualche conforto. Dopo una breve attesa, l’ostensione dei candidati poteva partire. Sette, otto nomi, tra i quali Peruffo, l’immarcescibile Dovigo e il rampante Dalla Lucilla, si sono alternati nelle dichiarazioni delle loro generalità e delle sensibilità politiche di ognuno.

Finalmente Bersani prende la parola e illustra le parti di un programma e di un credo politico, del tutto sovrapponibile a quello di Italia Bene Comune del 2013, che allora aveva però il vantaggio di partire favorito sul resto dei competitor elettorali.

In un’atmosfera del tutto familiare e distesa, sebbene la sala fosse gremita, si è dato infine l’avvio all’immancabile dibattito. Sicché, dopo aver ascoltato l’intervento di qualche scontento dell’attuale politica d’accoglienza ai migranti, ho sentito di non poter più tacere. Il partito di ex democratici e dei democratici per necessità mi ha dato la parola, ma ho speso più di una battuta per una captatio benevolentiae che nelle mie intenzioni avrebbe dovuto consentire cinque minuti d’intervento ininterrotto.

Dunque ho chiesto a Bersani della famosa “Ditta“, concetto che col suo frasario popolare rende più difficile imbarcare equivoci se si tralascia l’agguato delle metafore: come quella del “maiale tutto prosciutto” che ho persino capito, siccome l’ha corredata di aneddoto interpretativo. E quindi del climax esposto da lui stesso con la ditta qualche anno prima, quando volle esplicitare il grado di lealtà di un parlamentare. Lealtà alla ditta, dunque, poi alle istituzioni (Governo e Parlamento) e infine al popolo Italiano.

Gli ho fatto notare che la sensibilità più diffusa in Italia avrebbe preferito il percorso inverso, dove la lealtà e la devozione maggiore fossero state offerte prima al popolo, invece che a un’associazione privata. Ad esempio, quel fantasma che si aggira per l’Europa e che in Italia ha il suo centro, parlo del fantasma a 5 stelle, non avrebbe mai anteposto le regole del Movimento agli interessi del popolo, e le sue stesse regole, quelle del Movimento, sono state fatte per tutelare il popolo dai tradimenti della classe politica.

Difatti, pur nella debolezza dell’impianto ideologico del M5S, l’orizzonte operativo che viene sperimentato è quello del trasferimento della cultura di governo dalla classe dirigente tradizionale, largamente inadempiente, alla gente, e non dico nemmeno popolo, giacché si presta ad essere concetto mistificabile quale invenzione della classe dominante. Insomma, un progetto di democrazia compiuta. La ditta, a cui Lei si riferisce, Bersani, è forse quella che Le ha ordinato di votare tutte le nefandezze renziane fino allo scadere della legislatura – prima fra tutte il referendum – interpretando il “vincolo e la libertà di mandato” come la rinuncia a dimettersi senza cambiare partito?

E’ forse fallita la ditta solo a due mesi dalla scadenza elettorale, quando dal partito di provenienza nessuno vi avrebbe più candidato? Avete sentito l’urgenza di creare infine una forza politica che potesse raccogliere le opposizioni da voi stessi create negli anni? Dite allora, ma… la fedeltà, è fedeltà allo stipendio, e quindi alle prebende e ai vitalizi?

E allora lui fuor di metafora, e dandomi un “tu” da compagno, mi dice: “Rispondo prima al climax!” Riafferma dunque le garanzie della sua amicizia ai 5 stelle, e la sua intenzione di dialogare con loro più di ogni altro. Ha proseguito con la necessità inderogabile del primato della politica, e quella di ristabilire alcune categorie passate totalmente di moda, anche molto prima del politico di Bettola (persino per Marx, dunque, e certamente per Althusser), categorie della destra e della sinistra, e una dialettica tra queste entro cui il popolo elettore si possa riconoscere. Spero non gli sia sfuggito il risolino che a questo punto gli ho regalato.

Ha continuato affermando che il M5S se non è né di destra né di sinistra, allora è di centro, dunque ha il dovere di federare non di separarsi. “La ditta, a cui io mi riferisco“, ha detto alla fine, “è quella che promuove, non quella che testimonia, perché noi siamo una sinistra di governo“.

E ne ero certo, ho cercato di dire ormai coperto dalla calca, la ditta, non è più quella di Gramsci, e confonde le conquiste civili con quelle sociali; impedisce al popolo una volontà chiara, generando leggi elettorali buone per la palude delle buone intenzioni. Qualche compagno (anche amico) ma con ghigno malcelato, mi dice se sono venuto a provocare, ma ormai l’assemblea ha fretta di correre ad intasare il traffico del centro cittadino e occupare i tavoli del Vecio Portego.