Presentato a Roma il docufilm “Non chiamatelo call center”

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ROMA (ITALPRESS) – Un viaggio che attraversa il Sud, scardina i pregiudizi, mette al centro le persone e racconta una nuova idea di impresa. È stato presentato in anteprima nazionale ieri, 13 ottobre, al Cinema Barberini di Roma, il docufilm “Non chiamatelo Call Center”, prodotto da LuckyHorn Entertainment in collaborazione con TP Italia.

Dopo la proiezione si è svolto un dibattito moderato dal giornalista RAI Mattia Iovane, con la partecipazione di Diego Pisa, CEO di TP Italia; Gianluca Bilancioni, CFO e direttore HR TP Italia; Maristella Massari, giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno” e Marco Fanizzi, autore del docufilm. “Non chiamatelo Call Center” è un’opera che intende ridefinire, attraverso una narrazione autentica e profonda, l’identità di un’azienda e di un intero settore, troppo spesso ridotto a stereotipi. Il docufilm racconta la trasformazione radicale di TP Italia, oggi tra le principali realtà italiane nel campo dei servizi integrati di customer experience, digitalizzazione e business support. Un’evoluzione che ha portato la società con sedi a Taranto e Fiumicino con oltre 2000 persone impiegate a ottenere nel 2025 il primo posto come “Best Workplace” nella classifica Great Place to Work tra le aziende italiane con oltre 1000 dipendenti.

“Questo documentario non è ‘unoperazione di immagine, ma un atto di trasparenza”, dichiara Diego Pisa, CEO di TP Italia. “Raccontiamo la verità di un cambiamento che ha richiesto coraggio, ascolto e determinazione. Le nostre persone sono oggi il vero centro strategico del business”.

Attraverso lo sguardo della giovane Gea, neolaureata romana che decide di recarsi a Taranto per lavorare in un’azienda che sa ascoltare, il racconto diventa testimonianza concreta del potenziale del Mezzogiorno e di un nuovo modo di fare impresa. Nel contesto di una città segnata da decenni di monocultura industriale – Ilva, Eni, Marina Militare – l’arrivo, nei primi anni 2000, del Gruppo Teleperformance (solo recentemente diventato TP) ha rappresentato un’alternativa occupazionale concreta. Ma è solo dal 2016, con la guida del nuovo management (Diego Pisa chiamato a ricoprire il ruolo di amministratore delegato e Gianluca Bilancioni quello di CFO e direttore HR), che l’azienda ha intrapreso un percorso coraggioso, centrato su ascolto, welfare di comunità e sostenibilità sociale.

Un percorso di trasformazione che ha coinvolto l’intero territorio e non solo, come testimoniano anche le voci che compongono il docufilm: Don Alessandro Argentiero, giovane prete di periferia, della parrocchia “SS.mi Angeli Custodi” del quartiere Tamburi di Taranto; Teresa Tatullo, fondatrice dell’associazione Alzaia ETS che opera contro la violenza sulle donne. E ancora, Piero Romano, direttore dell’Orchestra della Magna Grecia, Fiorella Tosoni, presidente dell’associazione Andrea Tudisco di Roma. Nel film emergono chiaramente i tratti distintivi del nuovo modello aziendale di TP Italia, avviato con un’idea semplice ma rivoluzionaria: dare ascolto, vero, alle persone.

Ne sono derivati tanti progetti di welfare ideati sulle richieste dei lavoratori: dallo sportello psicologico anche per i familiari, all’introduzione dello smartworking strutturale, con il primo accordo di questo tipo sottoscritto coi sindacati di settore. Poi, i tanti piccoli progetti di responsabilità sociale nel territorio tarantino, per portare un po’ di azienda nei quartieri dove vivono i dipendenti. Dall’altro lato, la grande sfida della tecnologia con un team di ingegneri e ricercatori a lavoro per trasformare l’intelligenza artificiale in un supporto al lavoro umano, non in una minaccia. Il racconto di Gea – affiancata dalle voci esperte di Massari e Brachino, che nel docufilm inquadrano le dinamiche sociali e mediatiche della crisi vissuta da Taranto e del settore – diventa così una metafora del cambiamento possibile: per un’azienda, per una città, per un’intera generazione di lavoratori. La scelta del titolo è una dichiarazione d’intenti. TP Italia non è più – e non vuole essere percepita – come un semplice “call center”, ma come una piattaforma di servizi evoluti che mette al centro l’esperienza umana, il rispetto, la dignità e la crescita professionale. Una trasformazione che ha portato, in pochi anni, risultati economici tangibili: l’assenteismo passato dal 12 al 3%, i bilanci in attivo dal 2021, dopo una perdita di 9 milioni di euro registrata nel 2020. A certificare il cambiamento, le classifiche sulle migliori aziende nelle quali lavorare basate sulla soddisfazione dei dipendenti.

– ufficio stampa zwan –

(ITALPRESS).