Processo Miteni, la sentenza: 11 manager condannati e risarcimenti milionari. Vittoria anche delle Mamme no Pfas

I commenti di Masolo e Zanoni (Europa verde): "I giudici di Vicenza hanno stabilito, dopo 4 anni di dibattiti in aula, che almeno 350.000 Veneti sono stati avvelenati con consapevolezza e disinvoltura." Zaia: "Un passaggio fondamentale di giustizia"

430
Mamme No Pfas processo miteni la sentenza

Undici condanne da 2 a 17 anni e maxi risarcimenti, tra cui 58 milioni di euro al Ministero dell’Ambiente: è arrivata, dopo sei ore di camera di consiglio, la sentenza più attesa dell’anno, quella del processo Miteni per l’inquinamento da Pfas. Un caso di contaminazione delle acque dalle proporzioni angoscianti, che per oltre un decennio ha coinvolto 350mila persone nelle province di Vicenza, Verona e Padova.

Il processo era iniziato nel 2021 e si è concluso oggi 26 gennaio in Corte d’Assise a Vicenza con la condanna di undici manager ed ex manager della Miteni, di Mitsubishi Corporation, e di International chemical investors group (Icig) e risarcimenti milionari per le parti civili.

Soddisfazione alla lettura della sentenza da parte da parte delle Mamme No Pfas, dei comitati e delle parti civili presenti, che sulla vicenda non hanno mai abbassato la guardia, continuando a raccogliere informazioni, a coinvolgere autorità e a sensibilizzare la popolazione.

Masolo-Zanoni: “Ci hanno avvelenati sapendo di farlo”

Sulla sentenza sono intervenuti i consiglieri regionali di Europa Verde Renzo Masolo e Andrea Zanoni: “Abbiamo atteso questa a fianco dei comitati, associazioni, sindacati e cittadini presso il Palazzo di giustizia affollato e rovente. I giudici di Vicenza hanno stabilito, dopo 4 anni di dibattiti in aula, che almeno 350.000 Veneti sono stati avvelenati con consapevolezza e disinvoltura. Miteni sapeva cosa stava facendo. Ma questa sentenza ha anche confermato che di Pfas si può morire, non è invenzione delle Mamme No-Pfas, dei medici dell’ISDE o di coloro che hanno perso i loro cari”.

i due consiglieri poi hanno ricordato che la questione, purtroppo, non riguarda solo il caso Miteni, perché i Pfas sono presenti in moltissimi prodotti di uso comune: “I cosiddetti inquinanti eterni hanno reso più brevi le vite di tanti cittadini e tutto questo continuerà a ripetersi fino a quando il Parlamento non farà la sua parte, imponendo, a difesa della salute pubblica, lo stop a questi veleni.”

Masolo ha poi allargato il discorso alla situazione del territorio veneto: “La contaminazione da PFAS riguarda una parte vasta della nostra regione, che resta tra le più inquinate d’Europa. Questa sentenza deve sancire una volta per tutte il principio che chi inquina paga. Deve essere un monito per tutte le aziende: la salute non può essere sacrificata in nome del profitto o del lavoro.”

Zanoni, che segue la vicenda dal 2013, si è soffermato sui numeri della sentenza: “La sentenza prevede più di 140 anni contro i 121 richiesti dai pm, la vittoria per questo grado di giudizio è evidente, quindi possiamo dire di avere ottenuto giustizia. Il processo, dopo 130 udienze, con oltre 300 parti civili sarà ricordato come un processo storico per i crimini ambientali. Il parlamento dimostri che quanto è accaduto non è stato vano, ma legiferi per vietare per sempre questi veleni. Mentre la Regione Veneto – ha concluso Zanoni – dopo i 7000 carotaggi promessi da Zaia per la caratterizzazione dello stabilimento Miteni, effettui la bonifica e un adeguato contenimento delle sostanze pericolose che ancora vengono rilasciate a distanza di anni.”

Zaia: “Un passaggio fondamentale di giustizia per il Veneto.”

Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha definito la sentenza della Corte d’Assise di Vicenza un passaggio fondamentale di giustizia per le comunità venete colpite e ha rivendicato il ruolo della Regione nella gestione del problema Pfas e nel processo che ha portato alla sentenza odierna. “Fu proprio la Regione del Veneto, su mio mandato, nel 2013, a segnalare per prima alla magistratura, tramite ARPAV, gli effetti gravissimi e irreversibili dell’inquinamento da PFAS, scoperto nell’ambito di una ricerca sperimentale del CNR e del Ministero dell’Ambiente su inquinanti emergenti nei principali bacini fluviali italiani. In un quadro normativo allora assente – ha continuato Zaia – la Regione ha agito con determinazione, imponendo ai gestori idrici la filtrazione delle acque, stanziando fondi per la messa in sicurezza e attivando, nel 2016, un Piano di Sorveglianza Sanitaria aggiornato nel 2018, che ha coinvolto 127.000 cittadini dell’Area Rossa. Abbiamo investito risorse regionali, richiesto e ottenuto lo stato di emergenza nel 2018, e sostenuto in sede giudiziaria una tra le più ampie documentazioni tecnico-scientifiche mai prodotte in un processo ambientale in Italia”.

La sentenza riconosce alla Regione Veneto, costituitasi parte civile, un danno superiore ai 6,5 milioni di euro: “È il riconoscimento del ruolo istituzionale svolto con dedizione, scientificità e trasparenza: un ruolo che ci ha visti in prima linea non solo nel denunciare, ma anche nel rimediare, con l’installazione di barriere idrauliche, filtri a carbone attivo e la predisposizione del progetto di bonifica del sito Miteni. Ringrazio tutti coloro che in questi anni hanno lavorato con rigore, passione e senso civico: tecnici, legali, amministratori. Questa sentenza rafforza il nostro impegno e ribadisce un principio essenziale: chi inquina paga. Il Veneto continuerà a battersi per l’ambiente e la salute, con la stessa determinazione dimostrata sin dall’inizio”.