Processo Miteni, la Corte d’Assise si prende altri tre mesi per le motivazioni

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La Corte d’Assise di Vicenza ha prorogato di tre mesi il termine per il deposito delle motivazioni relative alle condanne del processo Miteni. La sentenza, emessa lo scorso 26 giugno, ha condannato 11 dei 15 ex manager della Miteni, azienda di Trissino, a pene che vanno dai 2 ai 17 anni, per un totale complessivo di 141 anni di reclusione.

I giudici hanno riconosciuto gli imputati colpevoli di reati gravi come avvelenamento doloso delle acque, disastro innominato ambientale, inquinamento ambientale gestione illecita di rifiuti speciali pericolosi e bancarotta fraudolenta.

La lunga attesa delle motivazioni è considerata un passaggio cruciale per comprendere appieno le ragioni che hanno portato a una sentenza storica e di grande rilevanza a livello nazionale.

Processo Miteni: la ricostruzione della vicenda e il processo

Il “caso Pfas” ha avuto inizio quando è emerso che le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), prodotte nello stabilimento ex Miteni di Trissino, avevano contaminato l’acqua potabile in una vasta area del Veneto, la cosiddetta “zona rossa“, interessando centinaia di migliaia di persone.

L’indagine, avviata dalla Procura di Vicenza, ha portato a un lungo processo che ha visto alla sbarra i vertici e i manager dell’azienda. Il procedimento, durato anni, ha coinvolto centinaia di parti civili, tra cui il Ministero dell’Ambiente, la Regione del Veneto e vari Comuni, che hanno chiesto e ottenuto risarcimenti per i danni subiti.

La sentenza di condanna è stata salutata come una vittoria da parte dei comitati e delle associazioni, come le “Mamme No PFAS” e Greenpeace, che hanno lottato per anni per la bonifica del territorio e la tutela della salute pubblica.

Le malattie professionali degli ex operai

La sentenza della Corte d’Assise rappresenta una nuova opportunità per riaprire le indagini sulle malattie contratte dagli ex operai della Miteni, che non hanno ottenuto risarcimenti in questo processo. Come spiegato a ViPiù da Giampaolo Zanni, del Dipartimento Salute e Sicurezza della Cgil Veneto, questo procedimento non riguardava i reati legati a malattie o decessi sul lavoro, ma si focalizzava su crimini ambientali e societari.

La Cgil aveva già presentato un esposto nel 2019, che era stato archiviato per prescrizione dei reati e mancanza di un nesso causale. Tuttavia, il recente studio dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), che ha classificato il PFOA (una delle sostanze più presenti negli operai) come cancerogeno per l’uomo, unito alle risultanze della sentenza di primo grado, sono elementi validi per richiedere la riapertura delle indagini sui danni alla salute dei lavoratori.

La Cgil ha già ottenuto un importante successo in sede civile, con il Tribunale di Vicenza che ha riconosciuto il nesso causale tra l’esposizione ai Pfas e il tumore al rene di Pasqualino Zenere, un operaio della Miteni deceduto.