Referendum taglio dei parlamentari, Pd diserta le Tribune elettorali. La Stampa: cresce il fronte del No

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Una scena così originale, in 60 anni di Tribune elettorali, non si era mai vista. Sono le 17,05 del 19 agosto, su Raidue è in programma la Tribuna con rappresentanti del Sì e due del No in vista del referendum sul taglio dei parlamentari, ma a sorpresa la giornalista di Rai Parlamento Federica De Vizia annuncia: «Il Pd ha rinunciato allo spazio e il Movimento Cinque stelle non ha potuto garantire la presenza di un proprio esponente. Sono invece presenti gli esponenti del No…». Trascorrono 24 ore e su Raitre va in onda una nuova puntata e stavolta tocca al direttore Antonio Preziosi replicare: Pd e Cinque stelle «hanno rinunciato».

Una sequenza che hanno visto in pochi e infatti non se ne è saputo nulla, ma si tratta di due forfait a dir poco irrituali, che raccontano di un crescente imbarazzo nei principali partiti di governo in vista del referendum del 20 e 21 settembre. La rinuncia dei Cinque stelle a mettere la faccia su una riforma fortemente voluta (la riduzione dei parlamentari da 945 a 600) è una sorpresa che potrebbe preludere ad un impegno a mezzo servizio. E quanto al Pd, l’assenza alle Tribune Rai è solo l’ultimo atto di uno “squagliamento politico” sul fronte referendum, che sinora ha consentito a Nicola Zingaretti di non dire chiaro e tondo se il suo partito è per il Sì. O se all’ultimo momento glisserà sulla “libertà di coscienza”.

La storia che precede questa incertezza è nota solo nella parte che riguarda le votazioni in Parlamento: sinché era all’opposizione, il Pd si è espresso fermamente – e per tre volte – per il no alla riduzione dei parlamentari, ma una volta entrato al governo ha votato convintamente sì, in cambio dell’impegno (pentastellato) di convergere su riforme regolamentari, costituzionali ed elettorali che un anno dopo sono rimaste sulla carta.

Un atteggiamento ondivago che ha prodotto un fenomeno del tutto inatteso, che è la vera “notizia” di questi giorni: a sinistra – in modo carsico, spontaneo e non organizzato – si è sviluppata una diffusa corrente di opinione a favore del no al taglio dei parlamentari. L’aspetto più originale sta nell’identità frastagliatissima di questo fronte: organizzazioni della sinistra tradizionale come l’Anpi e l’Arci, ma anche i ragazzi delle Sardine; intellettuali come Alberto Asor Rosa, Mario Tronti, Massimo Cacciari ma anche decine di migliaia di “mi piace” che sulla Rete stanno gratificando i fautori del No.

Se uno dei leader della Cisl come Marco Bentivogli esce allo scoperto contro la riforma, il prolungato silenzio dei capi della Cgil sembra escludere una campagna a favore del Sì. E ancora: contro il taglio dei parlamentari si schiera un giornale come il Manifesto, ma anche personaggi che durante la Prima Repubblica si sono combattuti e che fanno ancora opinione, come il comunista Emanuele Macaluso (quelli del Pd «hanno calato le braghe»), il democristiano Ciriaco De Mita («con freddezza voterò no»), il socialista Rino Formica: «Se vince il Sì, ci sarà un’ondata antiparlamentare: sarà la breccia di Porta Pia capovolta».
In pochi giorni una breccia si è intanto aperta nel Pd: dietro gli apripista Tommaso Nannicini, Matteo Orfini, Gianni Pittella, Giorgio Gori, Gianni Cuperlo e i Democratici per il No, sta per posizionarsi a sorpresa un personaggio come il governatore della Campania Vincenzo De Luca. E proprio in una delle regioni dove si voterà in abbinata col referendum.

Certo, questo smottamento a sinistra per ora non illude i fans del No sulla possibilità di una vittoria, anche perché il taglio dei parlamentati è passato alla Camera col 97,1 per cento di voti favorevoli.

Ma il Pd di Zingaretti sta architettando contromisure decisamente originali, pur di pronunciarsi il più tardi possibile e in ogni caso per impedire che il 2,9 per cento di no in Parlamento diventi un 30-40 per cento di no popolari. Dice Carmine Fotia, dei Democratici per il No: «Nella storia di un partito strutturato come il Pd non si era mai visto che una decisione così strategica venga presa senza il voto negli organismi di partito». Altrettanto hard la decisione che era stata assunta dai vertici del Pd sulla festa nazionale dell’Unità in programma a Modena: vietato parlare di referendum nei 19 giorni di dibattiti. Poi l’ex presidente del partito, Gianni Cuperlo, si è fatto sentire, ha dovuto litigare per spiegare che far finta di nulla era inconcepibile.

È stato “concesso” un confronto con Maurizio Martina.

Durerà un’ora.