Regionali, la candidata presidente Simonetta Rubinato dice no al tris di Zaia: “anche nella Serenissima c’era un limite”. E ricorda Galan…

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Rubinato
Rubinato

Se i sindaci non possono candidarsi per più di due mandati, in Veneto dopo i quindici anni di Giancarlo Galan, finiti male per lo scandalo Mose, c’è un altro presidente di Regione che si appresta a piazzare il tris a palazzo Balbi.

Luca Zaia, nonostante in molti nel suo partito lo vorrebbero a trainare la Lega a Roma, si ricandiderà a Governatore per la terza volta consecutiva, in attesa dell’ufficialità del 20 di agosto, termine ultimo per presentare liste e candidati.

Simonetta Rubinato che è stata sindaca oltre che parlamentare col Partito Democratico, ha annunciato in questi giorni con il comitato che la sostiene l’avvio della raccolta delle firme per una sua lista autonoma alle prossime elezioni della Regione Veneto. E ha portato all’attenzione il caso del “codicillo” inserito dalla maggioranza di Zaia tra le disposizioni transitorie e finali della legge regionale n. 5 del 2012:

ritarda l’applicazione del divieto di ricandidarsi per chi ha già ricoperto ininterrottamente due mandati solo a partire dalle elezioni del 2015 – spiega Rubinato – in poche parole grazie a questo espediente normativo il primo mandato di Zaia, quello dal 2010 al 2015, non viene conteggiato, ma in questo modo viene eluso il principio fondamentale che era stato fissato dalla legge n. 165 del 2 luglio 2004 per favorire un ricambio e un rinnovamento degli organi di vertice della democrazia rappresentativa negli enti locali, come avviene anche per i sindaci”.

Rubinato, avvocata di professione che ama definirsi liberale, democratica e federalista, ha spedito con la collaborazione del giornalista Gianni Montagni una lettera-appello a Zaia (sotto il testo completo).

“Lei che si ispira alla Venezia Serenissima – è scritto nella lettera – segua l’esempio di buongoverno della Repubblica veneta fondato sulla limitazione nel tempo degli incarichi di potere rinunciando a candidarsi per il terzo mandato consecutivo. Di ‘doge’ nel recente passato ne abbiamo già conosciuto uno e abbiamo visto quello che può succedere quando la familiarità con il potere si prolunga troppo nel tempo”.

Il riferimento è a Galan e per rafforzare la sua tesi Rubinato chiama in causa anche un saggio del 2016 del costituzionalista Mario Bertolissi: “evidenzia come il legislatore nazionale nello stabilire il limite dei mandati ha avuto riguardo – ricorda la politica autonomista – non tanto alla persona che si candida per la terza volta al vertice del potere esecutivo locale, quanto al dato oggettivo della durata dei mandati, per preservare la convivenza politica dai rischi della concentrazione e della personalizzazione del potere politico, evitando anche possibili contaminazioni della funzione pubblica in linea con i principi di imparzialità e trasparenza. Ragioni che sono state avvalorate anche da una recente sentenza della Corte Costituzionale”.

Nessun attacco alla persona di Zaia – tiene infine a precisare in conclusione Rubinato – sulla cui popolarità anche a livello nazionale nessuno nutre alcun dubbio, come pure sulle sue legittime aspirazioni ad ambire ad un ruolo di governo nazionale che potrebbe essere determinante per il negoziato sull’autonomia. Si tratta invece di difendere i principi da lui stesso condivisi qualche anno fa, quando aveva auspicato l’applicazione del limite a due legislature anche per i consiglieri regionali e dichiarato pubblicamente non solo la sua assoluta contrarietà ai ‘politici di professione’, ma anche che il suo secondo mandato sarebbe stato l’ultimo”.


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La lettera completa di Simonetta Rubinato al Presidente Luca Zaia

Gentile Presidente,

superata la fase dell’emergenza pandemica, che il sistema della sanità veneta sotto la Sua guida ha ben gestito, vi è da parte di tutti il desiderio di tornare a una vita il più possibile normale. Tra le varie normalità invocate, in particolare da parte Sua, spiccano anche le scadenze elettorali, in particolare quella che riguarda la nostra Regione. Per questo credo sia giusto, prima che inizi la campagna elettorale, affrontare una questione che riguarda la nostra democrazia rappresentativa, ovvero il rispetto del principio della “non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto”.

Un principio fondamentale

Si tratta del principio fondamentale stabilito dall’art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2 luglio 2004 che, in attuazione dell’art. 122, comma 1, della Costituzione, in materia di ineleggibilità del Presidente della Giunta regionale ha posto un divieto, quello del terzo mandato, che avrebbe dovuto essere applicato sin dalle elezioni regionali del 2005, anche in difetto dell’intervento legislativo regionalei, in linea con la giurisprudenza costituzionale che ha sottolineato il carattere autoapplicativo dei principi fondamentali “nel caso in cui pongano divieti che i legislatori locali debbono solo rispettare”ii.

Sono passati da allora ben quindici anni e tuttavia oggi si dà per scontata sia la Sua ricandidatura, sia la Sua riconferma plebiscitaria nonostante Lei due mandati pieni da Presidente si avvii ormai a concluderli.

Per questo, così come ho condotto altre battaglie che riguardavano la vita democratica del nostro Veneto – prima fra tutte quella del referendum per l’autonomia -, mi permetto di scriverLe per invitarLa ad un gesto di responsabilità, rinunciando a ricandidarsi per il terzo mandato consecutivo nelle prossime elezioni.

Comprendo che, per chi ha avuto l’onore di rappresentare la nostra Regione negli ultimi dieci anni e sembra oggi acclamato affinché continui a farlo, non è facile decidere un passo indietro, ma Le assicuro che la consapevolezza di un agire coerente e rispettoso dei principi della democrazia ripaga sempre.

L’esempio della Serenissima

Se volessi portare a questa mia sollecitazione un sostegno ideale legato alla nostra terra, ricorderei che nella Venezia Serenissima non solo nessuna magistratura concentrava il potere nelle proprie mani, poiché ogni organo era soggetto al controllo di un altro, ma la stessa breve rotazione delle cariche rendeva impossibile la concentrazione del potere da parte di individui o fazioni e difficile la corruzione perché nessuno rimaneva abbastanza in carica per essere utile a tali scopi. 

Per tutti i Magistrati veneziani, a eccezione del Doge, l’incarico durava un periodo di tempo limitato a un massimo di 16-20 mesi, scaduto il quale i Magistrati uscenti entravano in contumacia per un periodo altrettanto lungo. La contumacia comportava infatti l’impossibilità di venire rieletti alla carica appena scaduta nonché ad ogni altra carica che con quella avesse attinenza diretta.

Il tratto caratterizzante di questo fluido sistema normativo era il “senso dello Stato”, reso vivo e attivo dalla partecipazione diffusa dei cittadini. Una rigorosa elettoralità per i “carichi pubblici”, una ferrea “contumacia” – divieto d’immediata rielezione allo stesso carico – e la brevità della relativa durata garantivano che in molti potessero contribuire al governo della Serenissimaiii.

La Repubblica Veneta non c’è più, da oltre due secoli, eppure il richiamo alle sue istituzioni è utile a sottolineare un esempio di buongoverno fondato sulla limitazione del potere che resta patrimonio storico della nostra terra e può aiutarci a comprendere il senso profondo dell’attuale divieto del terzo mandato per le cariche di vertice esecutivo degli Enti locali, quali il sindaco e il presidente di Regione.

Il codicillo del Legislatore veneto

Con un ritardo di ben otto anni il Consiglio regionale del Veneto ha recepito, con legge regionale n. 5 del 16 gennaio 2012, il principio del limite dei mandati, stabilendo che “non può essere immediatamente ricandidato alla carica di Presidente della Giunta chi ha già ricoperto ininterrottamente tale carica per due mandati consecutivi” (così l’art. 6, comma 2).

Divieto che Lei ha voluto fosse esteso anche agli assessori e tre anni dopo – con la legge n. 1 del 27 gennaio 2015 – agli stessi consiglieri regionali. Questi ultimi, peraltro, due anni fa si sono aboliti il limite dei due mandati con la legge n. 19 del 25 maggio 2018. Iniziativa che Lei non ha apprezzato, “visto che il limite dei due mandati consecutivi era stato uno dei suoi cavalli di battaglia, specie nei confronti del Movimento Cinque Stelle”iv.

Perché allora sollecitare con questa lettera una Sua dichiarazione che non si ricandiderà alle prossime elezioni, visto che Lei due mandati pieni li ha già svolti dal 2010 ad oggi e dunque dovrebbe essere un fatto scontato?

Perché tra le disposizioni transitorie e finali della legge regionale n. 5 del 2012 la Sua maggioranza consiliare ha inserito all’art. 27, comma 2, un codicillo per ritardare ulteriormente l’applicazione del principio a partire solo dai mandati successivi alle elezioni del 2015v. Un espediente per non ‘conteggiare’ il Suo primo mandato, quello dal 2010 al 2015, eludendo il principio fondamentale in vigore dal 2004.

Credo dunque sia il caso di ricordare le ragioni profonde che stanno alla base di questo principio, ragioni che a suo tempo Lei aveva mostrato di cogliere, dichiarando anche in un evento pubblico, nel dicembre del 2015, che il suo secondo mandato sarebbe stato anche l’ultimovi.

Sono in gioco i valori fondanti della democrazia

L’attenzione del legislatore nazionale nel dettare il principio del limite dei mandati non è tanto sulla persona candidata ad un terzo mandato al vertice del potere esecutivo regionale, quanto sul dato oggettivo della durata dei mandati in sé e per sé considerata del sindaco o del presidente di Regione.

Come ha spiegato limpidamente il prof. Mario Bertolissi nel saggio del febbraio 2016 “Piccoli principi. Notabilato locale e crisi della rappresentanza politica”, si tratta di preservare la convivenza politica dai rischi della concentrazione e della personalizzazione del potere politico, favorendo il ricambio ed il rinnovamento di chi è da tempo al vertice del governo degli enti locali: “Sottesa a questa concezione è l’opzione per una attività politica tendenzialmente non professionale, ma piuttosto intesa come munus, per una idea di democrazia diffusa, partecipata e non affidata” essendo volto il divieto a “evitare il rischio di un uso strumentale della carica in ragione dei poteri e della visibilità che a essa sono connessi, al fine precipuo di assicurare la regolarità del procedimento elettorale, evitando che possano assumere nella competizione elettorale peso rilevante e/o decisivo il valore aggiunto della notorietà e della familiarità con i meccanismi del potere amministrativo, anche a prescindere dall’effettiva capacità di governo dimostrata, soprattutto in fasi di stanco coinvolgimento popolare nelle vicende elettorali e di preponderante influenza e di incontenibile suggestione mediatica”vii.

Ciò in quanto sia il sindaco che il presidente di regione sono eletti direttamente dal popolo “con tutti i rischi in termini di concentrazione di potere, capacità di influenza e pericolo di derive populiste che, opportunamente, il legislatore ha voluto scongiurare con la disposizione in commento”viii.

Perciò il principio del limite dei mandati mira ad assicurare, con specifico riguardo alle elezioni regionali, “la libera e genuina espressione del voto popolare, nonché la primaria esigenza della autenticità della competizione elettorale (…) E che questi obiettivi debbano essere preservati anche – se non soprattutto – rispetto alla carica di presidente eletto, si può ben comprendere alla luce dei pregnanti poteri che esso è chiamato a esercitare (…) quali la nomina e revoca degli assessori, nonché la facoltà di dimettersi decretando automaticamente lo scioglimento della Giunta e del Consiglio, che fanno del Presidente eletto ‘l’unico soggetto esponenziale del potere esecutivo nell’ambito della Regione’ e che denotano con ogni evidenza quei caratteri di ‘decisività e di gestione della cosa pubblica’, nei quali la Corte ha ravvisato ‘requisiti essenziali al fine di scongiurare ragionevolmente il pericolo che una determinata carica pubblica possa essere utilizzata per acquisire illecitamente consensi elettorali’”ix.

E questo ci porta ad un’altra ragione ispiratrice del principio, “che coincide con il fondamento costituzionale di tutte le previsioni in tema di anticorruzione di recente previste nel nostro ordinamento, che non a caso impone una limitazione degli incarichi anche di natura amministrativa, lì dove ne richiede la rotazione”, “perché non vi è dubbio che l’esercizio del potere… può creare anche le condizioni per un certo malaffare, che si accompagna alle clientele e le alimenta”x.

Ragioni tutte che trovano conferma in una recente sentenza della Corte Costituzionale, la n. 173 del 10 luglio 2019: “la peculiare ed essenziale finalità” del divieto è quella “di valorizzare le condizioni di eguaglianza che l’art. 51 Cost. pone alla base dell’accesso ‘alle cariche elettive’. Uguaglianza che, nella sua accezione sostanziale, sarebbe evidentemente compromessa da una competizione che possa essere influenzata da coloro che ricoprono da due (o più) mandati consecutivi la carica per la quale si concorre e che abbiano così potuto consolidare un forte legame con una parte dell’elettorato, connotato da tratti peculiari di prossimità. Il divieto del terzo consecutivo mandato favorisce il fisiologico ricambio all’interno dell’organo, immettendo ‘forze fresche’ nel meccanismo rappresentativo (nella prospettiva di assicurare l’ampliamento e la maggiore fluidità dell’elettorato passivo), e – per altro verso – blocca l’emersione di forme di cristallizzazione della rappresentanza; e ciò in linea con il principio del buon andamento della amministrazione, anche nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza…”xi.

Sulla scia della giurisprudenza costituzionale anche la Corte di Cassazione ha rilevato che il limite del doppio mandato “tende a tutelare la sovranità popolare, la libertà di voto e la buona amministrazione, impedendo forme di permanenza per periodi troppo lunghi nell’esercizio del potere degli enti locali, che possano dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo e incidere quindi sulla libertà di voto dei cittadini e sulla imparzialità dell’amministrazione”xii.

Proprio nella nostra Regione, con i quindici anni di presidenza di Giancarlo Galan, rieletto per tre mandati consecutivi e che per il suo dominio ininterrotto dal 1995 al 2010 è stato indicato dalla stampa come “il doge”, abbiamo avuto un esempio di quello che può – può: è una eventualità naturalmente, non una certezza – succedere quando la familiarità con il potere si prolunga troppo nel tempo. Ma potremmo ricordare anche il caso del Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, eletto per ben quattro mandati consecutivi, rimanendo in carica ininterrottamente dal 22 aprile 1995 al 18 marzo 2013, quando dovette sciogliere anticipatamente la legislatura a causa di indagini per corruzione.

E’ anche una questione di etica pubblica

Credo, infine, valga la pena di riprendere alcune annotazioni svolte nel saggio già citato dal prof. Mario Bertolissi sull’insegnamento di Max Weber, dal quale può raccogliersi una lezione decisiva sulle qualità indispensabili all’uomo politico (ovvero: passione, senso di responsabilità, lungimiranza) e sul suo peggior difetto e nemico di sempre: ovvero la vanità, il bisogno di porre se stesso in primo piano, la convinzione di essere insostituibile, la gestione della sua funzione per mantenere il potere.

Mentre la regola fondamentale dovrebbe essere quella dell’avvicendamento nelle cariche, per evitare possibili contaminazioni della funzione e per permettere alle generazioni che si succedono di dare il loro apporto al governo della società.

Pertanto la limitazione della durata in carica “ha di mira, attraverso la discontinuità, il recupero alla politica sia dell’etica dei principi sia dell’etica della responsabilità”xiii. Perché aldilà del rispetto della norma giuridica “sono in gioco la funzione pubblica e la relativa corrosione prodotta dal tempo. Come dire: l’irragionevole – nel senso di eccessivo – prolungamento della durata della titolarità di una carica politica è fattore di discredito delle istituzioni, perché il cittadino (soprattutto, oggi, il cittadino che si astiene dal voto) non sopporta più i professionisti della politica, che mirano unicamente a conservare il potere attraverso l’acquisto del consenso.”xiv

Vale la pena ricordare al riguardo che la partecipazione degli elettori veneti alle ultime elezioni regionali del 2015, già in drastico calo a partire dagli anni ’90, ha toccato un minimo storico: “solamente” il 57,16% degli aventi diritto si è recato alle urne. Quasi un elettore su due è dunque rimasto a casa.

Peraltro anche Lei ha dichiarato di essere “assolutamente” contrario ai “politici di professione” nell’intervista che le fece Giovanni Minoli nel 2017 nella trasmissione Faccia a Facciaxv. E dunque non credo che Lei possa negare la necessità di favorire la crescita costante di una classe politica responsabile, che solo dal continuo ricambio può trarre alimento.

Non Le paiono questi dei buoni motivi per sostenere il deciso no al terzo mandato come Presidente?

Se è una questione di etica, allora margini di discrezionalità ed espedienti non possono essere accettati. E Lei ha l’opportunità di dimostrare che la politica non deve diventare professionismo amministrativo in cui “il potere, da funzione, si trasformi in potere per il potere: in una parola, in potere senza responsabilità, che si materializza, soprattutto, quando la preoccupazione unica o quasi è di acquisire il consenso per occupare la carica oltre il limite di ciò che è ragionevole.”xvi

Proprio ciò di cui ha dato una palese dimostrazione il Consiglio regionale uscente, il quale ha deliberato a maggio scorso la riduzione del periodo utile per raccogliere le firme degli elettori per la presentazione di nuove liste da 30 a soli 20 giorni (dal 1° al 20 agosto!), mentre non ha ritenuto di ridurre il numero delle firme stesse (quasi 12mila) con l’evidente obiettivo di scoraggiare la presentazione di forze civiche libere non aventi l’appoggio dei partiti o dei consiglieri regionali uscenti (che tra l’altro sono esonerati dal raccogliere le firme perché sono già in Consiglio regionale). Non è forse questa una manifestazione di come la politica si riduca talvolta a casta pur di conservare il potere? Solo per l’intervento del Parlamento nazionale il numero delle sottoscrizioni necessarie per presentare nuove liste è stato ridotto ad un terzo, ma rimane una sfida quasi impossibile in ragione del perdurante stato di emergenza da Covid.

Se dunque il limite ai mandati mira ad escludere che le elezioni si trasformino in mere riconferme e che il potere diventi strumento fine a sé stesso, allora è la democrazia stessa ad essere messa a rischio dall’esercizio troppo prolungato del potere da parte delle medesime persone. Perché è evidente la tendenza di molti politici a costituirsi in casta e a favorire derive plebiscitarie.

Ma notabilato e deriva plebiscitaria – Lei converrà – sono fenomeni che intercettano la democrazia e interferiscono con essa. E noi questo non lo possiamo accettare.

Sta a Lei scegliere

Una Sua pubblica presa di posizione nel senso di voler rispettare il principio del limite dei due mandati contribuirebbe non poco a una decisa riaffermazione di fondamentali valori di democrazia e buon governo, testimoniando un esempio di buona politica anche alle giovani generazioni.

L’occasione di mostrare coerenza rispetto a scelte di cui Lei si vantava qualche anno fa non va sottovalutata. È vero che l’elettorato dimentica facilmente le dichiarazioni dei leader politici, ma Lei non può dimenticare i valori in cui un tempo diceva di credere.

L’osservanza del limite dei mandati permetterà inoltre quell’avvicendamento di nuovi volti e personalità che può favorire un rinnovato dibattito pubblico, non più concentrato sulla contrapposizione pro o contro la Sua figura, ma sulle esigenze reali della Comunità veneta – come quella di una vera autonomia necessaria ad affrontare nel modo più efficace la crisi economica e sociale conseguente alla pandemia – e su un nuovo modello di sviluppo economico sostenibile e integrante condiviso con tutti gli attori sociali.

Questa mia lettera non è quindi un attacco alla Sua persona, ma un appello che Le rivolgo a proteggere i principi fondanti della nostra democrazia rappresentativa. Del resto la Sua popolarità anche a livello nazionale non è mai stata così ampia e Lei ha la possibilità di capitalizzare la credibilità che ha acquisito come amministratore, in particolare grazie alla performance dimostrata dal sistema sanitario regionale nell’emergenza pandemica, non tanto e solo in termini politici personali, ma soprattutto a favore della Comunità veneta. Perché non pensare allora di andare a svolgere un nuovo “servizio” politico là dove la voce dei Veneti non è ascoltata a sufficienza e il negoziato per l’autonomia si è arenato, ovvero a Roma, per collaborare con il prossimo governo regionale, mettendo a frutto in un ruolo diverso la Sua esperienza amministrativa e capacità comunicativa per il bene del Veneto e della Repubblica?

Certo, le elezioni politiche saranno probabilmente fra due anni ed è comprensibile che Lei ambisca a nuovi incarichi sulla scena nazionale, ma non sarebbe giustificabile che per questo motivo la prossima Legislatura regionale dovesse interrompersi anzi tempo, nel bel mezzo di una fase strategica per la ripartenza.

Confidiamo nel Suo senso di responsabilità e lungimiranza.