
(Adnkronos) – L’Intelligenza artificiale come leva strategica per il futuro del settore della prevenzione incendi. Questo uno dei temi centrali della seconda giornata di Safety expo prevenzione incendi in corso a Bergamo. La transizione digitale, favorita dai progressi tecnologici e dall’adozione di approcci innovativi, offre ai progettisti strumenti sempre più sofisticati per ottimizzare la sicurezza antincendi. In questo contesto, l’Intelligenza artificiale si sta affermando come tecnologia abilitante capace di trasformare processi e metodologie. Parallelamente, è emerso con forza un punto cruciale: l’Intelligenza artificiale apre opportunità straordinarie, ma comporta anche il rischio di una semplificazione eccessiva, che richiede un approccio consapevole e attento. Come ha spiegato Maddalena Rostagno, coordinatore task group generative AI-FA1 European material modelling council e leader WG innovation construction Iam-I (EC platform): “Le potenzialità dell’intelligenza artificiale nella prevenzione degli incendi sono straordinarie, soprattutto sul fronte delle analisi predittive basate su deep learning e machine learning. Oggi, grazie a calcolatori molto più potenti rispetto al passato, è possibile elaborare milioni di dati, combinare variabili non lineari e arrivare a previsioni sempre più ampie e precise, anche su processi naturali estremamente complessi. E' qui che possiamo compiere un vero salto in avanti”. Ma a queste grandi opportunità si affiancano anche rischi e criticità, come il pericolo di semplificare troppo l’approccio all’Ia e di non costruire basi adeguate per la sua applicazione. “Allo stesso tempo – ha precisato Maddalena Rostagno – dobbiamo muoverci con grande cautela. Esiste infatti un rischio concreto di investire male: spesso si cerca di implementare algoritmi per processi che non hanno realmente bisogno di essere migliorati con l’Ia. A volte la soluzione non è un modello predittivo, ma un rafforzamento del capitale umano – ad esempio più competenze specialistiche – che può portare risultati molto più concreti. Prima di applicare l’intelligenza artificiale, è indispensabile un’analisi strutturale dell’azienda: capire dove ci sono dati utilizzabili, valutare se un algoritmo può realmente migliorare quel processo o se servono invece altri interventi organizzativi. Il problema di fondo è che la trasformazione digitale non è ancora sufficiente. Molte aziende non hanno abbastanza dati o non hanno ancora sviluppato una vera cultura del dato. Le informazioni sono disperse in archivi cartacei, computer e cartelline non classificate: manca una strutturazione interna che permetta di rendere i processi leggibili e utilizzabili da un punto di vista analitico”. Un’accelerazione forzata sarebbe quindi controproducente. “Su tutto questo – sottolinea l’esperta – pesa una spinta mediatica fortissima che porta a pensare di dover adottare l’intelligenza artificiale a tutti i costi. Ma non è così: senza fondamenta solide – digitalizzazione, raccolta e classificazione dei dati, cultura organizzativa – nessun progetto può funzionare davvero. Lo confermano anche i dati del Mit, secondo cui oltre il 90% dei progetti di Ia avviati a livello globale fallisce proprio per la mancanza di basi adeguate. A complicare il quadro c’è poi l’impatto della cosiddetta Ia generativa, che ha accorciato le distanze percepite dalle aziende, facendo sembrare che basti usare un chatbot o uno strumento generativo per ‘fare intelligenza artificiale’. In realtà, questi strumenti automatizzano soprattutto task semplici o amministrativi, mentre la vera rivoluzione è altrove: nelle analisi predittive, che possono trasformare davvero i processi e aiutare a prevenire rischi e criticità”. —lavoro/datiwebinfo@adnkronos.com (Web Info)