Se l’Italia fosse una monarchia: vantaggi ipotetici e ironici di uno Stivale col re e la regina, nel giorno della festa della Repubblica

Lunga vita ai "regni" di Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella e a quelli di Luca Zaia e Vincenzo De Luca

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Italia, repubblica o monarchia?
Italia, repubblica o monarchia?

Ogni 2 giugno celebriamo la nascita della Repubblica Italiana, figlia (ufficialmente) della libera scelta popolare espressa nel referendum del 1946. Una scelta storica, certo. Ma cosa sarebbe successo se quel giorno — complici l’annullamento di voti femminili per colpa del rossetto contestato da alcuni presidenti di seggio come “identificativo” di chi votava o i famigerati “brogli” su cui è rimasto un velo tanto più che fino a pochi mesi prima era fascista e “savoiarda” — avesse vinto la Monarchia? In un mondo che oggi flirta con l’estetica dei reali, dei divi e dei dinasti ereditari (soprattutto in politica), forse qualche vantaggio di immagine e marketing l’avremmo pure avuto, e non solo in senso satirico, noi che siamo stati al centro del mondo da repubblicani e imperiali romani.

Royal family italiana: un’occasione mancata per i rotocalchi?

Pensiamoci: con una monarchia parlamentare stile europeo, avremmo avuto una famiglia reale tricolore pronta ad attirare turisti a Roma come i Windsor fanno a Londra. Immaginatevi i tour a Palazzo del Quirinale (non come sede del Presidente, ma come residenza già reale e prima ancora pontificia), completi di cambio della guardia in stile Buckingham Palace, camerieri con guanti bianchi e un re che ogni Natale augura “Buon Natale e prospero spread a tutti”.

L’indotto economico? Favoloso. Pagine rosa dei giornali invase dai compleanni del principe ereditario, dai cappellini della regina e dai matrimoni trash-chic con contesse venete e influencer brianzole. Senza contare che qualche gossip di palazzo avrebbe distolto l’attenzione dai dati Istat sulla disoccupazione giovanile che anche per la regina Meloni non c’è.

Dal Regno Unito alla Svezia: monarchie redditizie (ma silenziose)

Nel Regno Unito, la famiglia reale è un brand da miliardi di sterline. Secondo Forbes, la monarchia britannica genera ogni anno più di 2 miliardi di sterline in turismo, merchandising e media. In Svezia, i Bernadotte fanno la loro figura tra galatei, silenzi istituzionali e fior di sponsor per eventi pubblici.

In Olanda, la casa reale sostiene l’immagine di uno Stato moderno ma ancorato a simboli rassicuranti. In Danimarca, la regina Margrethe ha recentemente passato lo scettro al figlio in diretta TV, generando picchi di audience che neanche Sanremo.

E noi italiani? Ci accontentiamo del Festival e di Mattarella, che sta a metà tra il nonno buono e il custode silenzioso del cortile condominiale.

Maestà, ci serve un piano di comunicazione

Con una monarchia avremmo potuto semplificare anche la comunicazione istituzionale. Invece delle continue polemiche sulla nomina del Presidente della Repubblica, ogni 7 anni (anzi di più da quando Napolitano prima e Mattarella poi sono diventati, per scelta di pochi, presidenti e un po’ monarchi di lungo corso…), avremmo un regnante a vita, magari formato in Svizzera, educato a Eton e con doti da PR internazionale. Perfetto per partecipare a Davos o all’inaugurazione della Mostra del Cinema di Venezia, senza rischi (forse) di gaffe politiche o selfie sbagliati con i Ferragnez.

Anche i nostri politici, notoriamente inclini alla teatralità e all’iperbole, avrebbero avuto una figura simbolica da evocare nei discorsi come garante dell’unità. E al posto del “Presidente Mattarella ha espresso preoccupazione”, oggi leggeremmo: “Sua Maestà, durante l’udienza al Premier, ha fatto intravedere un sopracciglio alzato, interpretabile come irritazione”.

Repubblica, ma a sovranità intermittente

Paradossalmente, molti dei simboli monarchici sono sopravvissuti nella Repubblica. Le cravatte di Lapo Elkann hanno più autorità di alcuni parlamentari. I talk show si affannano a intervistare aspiranti principesse del jet-set. E certi sindaci si sentono monarchi assoluti del proprio feudo, con tanto di giullari (uffici stampa) e cortigiani (consiglieri e consulenti).

E non dimentichiamo i “regni” regionali: Zaia e De Luca parlano ai sudditi con più impatto di un messaggio reale, e con il seguito social di un sovrano moderno.

In fondo, abbiamo scelto la Repubblica, ma sogniamo la monarchia?

Forse no. Ma è innegabile che, oggi più che mai, una riflessione laica e anche un po’ sarcastica sulla simbologia del potere serve. Perché, come disse Totò: “Siamo uomini o caporali?”. E aggiungiamo noi: o aspiranti reali con il passaporto repubblicano?

Buona Festa della Repubblica a tutti. E lunga vita alla satira.