Smart working, rivoluzione mancata. la Repubblica: aziende verso modello misto, per Manageritalia non ci sarà il lavoro agile per tutti

184
Smart working nella Pubblica Amministrazione
Smart working nella Pubblica Amministrazione
Di Rosaria Amato. Da la Repubblica. Alla fine saranno in pochi a trasferirsi in un borgo ameno a decine di chilometri dalla città, magari all’estero. Il modello di smart working post pandemia che sta emergendo è sempre più ibrido, “misto”, un po’ dentro e un po’ fuori, ma mantiene quasi sempre l’ufficio come centro di riferimento. Con varie differenze: si va da uffici ormai pieni quasi al 100%, soprattutto nella Pubblica Amministrazione, visto che sono state abrogate le soglie minime di lavoro agile, ad aziende che si sono organizzate per un lavoro in presenza a rotazione, firmando anche protocolli con i sindacati per proiettarsi già al futuro dopo la pandemia. E anche se il decreto “Riaperture” ha prorogato al 31 dicembre la possibilità per le aziende di proseguire con lo smart working “semplificato”, che fa a meno dell’accordo con il lavoratore previsto dalla legge 81/2017, la tendenza è sempre più a far rientrare a poco a poco i lavoratori, proprio come sta avvenendo all’estero persino nei colossi del web come Apple e Google.
Chi sosteneva che dopo la pandemia nulla sarebbe tornato come prima ha ragione solo in parte: da un’indagine Manageritalia emerge che, se prima del virus solo il 7% delle aziende faceva lavorare da remoto una quota superiore al 75% dei dipendenti, dopo la pandemia a farlo sarà una percentuale di poco più alta, l’11%. Più significativo il passaggio a un’organizzazione mista: prima della pandemia il 21% delle aziende aveva in smart working una quota compresa tra il 10 e il 70% dei lavoratori, in futuro saranno il 55%, mentre si dimezzano quelle che non sanno cosa sia il lavoro agile. «Superata la fase emergenziale – dice Mario Mantovani, presidente Manageritalia – si sta procedendo verso un modello più normalizzato, che prevede che almeno il 50% del tempo venga passato in ufficio, l’attività in comune non è sostituibile con una o due presenze al mese, servono almeno uno o due giorni la settimana in modo strutturale».
Un lavoro perennemente da remoto resta un sogno per pochi. E dall’estero per pochissimi: «Il dipendente che ha scoperto che può lavorare benissimo da Parigi, dove la fidanzata ha un appartamento, può creare all’azienda problemi legali dal punto di vista fiscale e contributivo – rileva Giuseppe Merola, giuslavorista dello studio Pirola Pennuto Zei & Associati – Le tasse, dopo 183 giorni, si pagano nel posto in cui l’attività lavorativa viene svolta. Per i contributi il periodo può essere anche più breve. E poi c’è la questione sicurezza: in caso di infortunio, l’Inail potrebbe rifiutarsi di indennizzare il lavoratore».
Per il resto, le aziende che più credono nello smart working hanno già abolito le scrivanie fisse e disposto una presenza a rotazione e su prenotazione: «La nostra policy prevede dieci giorni al mese di lavoro da remoto a regime – dice Ruggero Dadamo, direttore risorse umane Sisal – in continuità con un progetto avviato già nel 2016 in collaborazione con il Politecnico di Milano». Molte sono invece già pronte al “rientro”: «Noi siamo un’azienda della grande di stribuzione, da remoto eravamo in pochi – spiega Manuel Modolo, direttore risorse umane di Maxidi – Ora siamo tornati tutti in presenza, con grande gioia. Alla fine anche chi sperava di avere più tempo da passare con i figli ha sperimentato le difficoltà ».
Rientro quasi pieno anche per la Pubblica Amministrazione, non senza contestazioni: «C’è voluto un virus per imporre lo smart working negli uffici pubblici, ma adesso il rischio è che si perdano i passi in avanti verso la digitalizzazione e il lavoro per obiettivi che si era stati costretti a fare», osserva Tiziana Cignarelli, segretaria generale Codirp (dirigenza pubblica). Il “rientro” lascia insoddifatta anche una parte dei dipendenti privati: «Il rischio è che ci siano situazioni come quelle di Apple, dove i dipendenti hanno chiesto di non essere costretti a tornare in ufficio – dice Mariano Corso, responsabile scientifico Osservatorio Smart Working del Polimi – Anche se si vuole alternare il lavoro in presenza a quello agile, bisognerebbe farlo in modo da consentire ai dipendenti di vivere lontano dall’ufficio. Altrimenti chi non vuole ritornare alla routine 9-18 in ufficio farà di tutto per cambiare lavoro».