
Speciali weekend, nuova sezione. Recentemente su La Gazzetta Italo Brasiliana Online, il direttore Giuseppe Arnò, anche presidente di Asib (Associazione Stampa Italiana in Brasile), del cui Consiglio consultivo ho l’onore di far parte, ha pubblicato un’analisi brillante e provocatoria dal titolo: “Missili, bunker e messaggi cifrati: la lezione iraniana e il telegramma (non troppo) criptato agli amici di Washington”. Un articolo che, tra ironia e lucidità geopolitica, affronta le tensioni tra Iran e Stati Uniti, rileggendole alla luce di una cultura strategica — quella iraniana — tanto millenaria quanto sottovalutata. Ne parliamo con l’autore, in un’intervista che tocca bunker, deterrenza, comunicazione politica e… l’arte della guerra (alla romana, tanto più che il nostro presidente del Consiglio cita i nostro antenati col loro “si vis pacem para bellum“).
Gli Stati Uniti, ci dice Arnò, quando vogliono farsi capire, non usano il galateo diplomatico.
Niente lettere formali, niente e-mail istituzionali e nemmeno tweet presidenziali in maiuscolo. Loro preferiscono i B-2 Spirit, le GBU-57 “spacca-bunker” e qualche Tomahawk spedito con ricevuta di ritorno.
C’è posta per Xi, Putin e Kim Jong-un e non solo?
L’ultima spedizione ha avuto come destinatario l’Iran, ma il mittente – sia chiaro – voleva raggiungere ben altri indirizzi: Pechino, Mosca, Pyongyang e tutte le capitali dove si coltiva il sogno nucleare come un giardino privato.
L’eleganza della minaccia perfetta?
L’incursione americana è stata, prima di tutto, uno spettacolo di tecnologia militare: bombardieri invisibili, sottomarini lanciamissili, portaerei schierate come in un videogioco e una tempistica che sembrava sincronizzata da un direttore d’orchestra.
Non è stata solo un’azione militare: è stata una dimostrazione di forza raffinata. Un’operazione “chirurgica”, come piace chiamarla al Pentagono, che ha mandato fuori uso impianti strategici iraniani senza provocare – almeno per ora – un’escalation fuori controllo.
Il messaggio? Chi pensava che l’arsenale americano fosse un gigante addormentato, incrostato di vecchi successi e impantanato in questioni interne, ora dovrebbe aggiornare le proprie convinzioni. Gli USA possono ancora colpire ovunque, con precisione spietata e senza rimetterci un solo soldato.
Teheran come vetrina globale?
Certo, gli effetti a lungo termine restano da verificare: Fordow, Natanz ed Esfahan sono davvero fuori gioco? Lo scopriremo. L’Iran chiuderà lo Stretto di Hormuz? Poco probabile. Il regime teocratico vacillerà? Difficile, almeno nel breve.
Ma il vero scopo non era cambiare i regimi, bensì ricordare a tutto il mondo – e soprattutto a chi si crede intoccabile – che nessun bunker è abbastanza profondo e nessuna distanza è davvero sicura quando Washington decide di premere il grilletto.
Non è un caso che, dopo il raid, la reazione sia stata relativamente contenuta. La lezione iraniana è servita su un piatto freddo: più che una guerra, una dimostrazione. Più che una rappresaglia, una prova di efficienza.
E mentre i protagonisti maneggiano i missili, in Occidente si leva il solito, tiepido coro dei pacifisti di salotto: quelli che si svegliano solo quando le bombe le sgancia qualcun altro. Questa volta, stranamente, regna un certo silenzio. Anche l’Europa, maestra nelle indignazioni selettive, ha preferito abbassare lo sguardo e fare finta di nulla, probabilmente occupata dall’omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni o a discutere di qualche regolamento sulle lampadine.
Un telegramma diretto a Xi e Putin?
E chi doveva capire, ha capito. Xi Jinping, che osserva silenzioso ma manovra instancabile; Vladimir Putin, impegnato in scenari multipli tra Ucraina e alleanze scomode; Kim Jong-un, l’eterno enfant terrible con le sue parate missilistiche da operetta. E, ovviamente, Khamenei e compagni, che ora devono guardarsi anche dall’alto, oltre che da dentro.
L’America, per ora, non ha interesse a lanciarsi in nuove avventure medio-orientali: la priorità si chiama contenimento della Cina, e il vero campo di battaglia è l’Indo-Pacifico, non il deserto persiano.
Il raid sull’Iran è quindi una cartolina preannunciata, un avviso da parte di chi si dice “stanco di fare il poliziotto del mondo” ma che, all’occorrenza, sa ancora sparare meglio di chiunque altro.
Lo Sceriffo è ancora il più veloce?
Uomo avvisato, mezzo salvato. Con lo Sceriffo americano – imprevedibile, irascibile, ma sempre pronto – non si scherza. Le GBU-57 non sono coriandoli e il B-2 Spirit non è un drone da supermercato. Putin, Xi, Kim, Khamenei e tutti gli aspiranti nuclearisti di domani: il telegramma è stato consegnato. Non serviva decifrarlo, era in chiaro.