
Il discorso sullo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen quest’anno non è stato soltanto un catalogo di misure su clima, industria e digitale. Se è vero che i passi più corposi hanno riguardato il sostegno alle filiere delle batterie e la modernizzazione delle reti energetiche, anche il passaggio sulla libertà di stampa ha suscitato un momento di grande attenzione, e uno degli applausi più lunghi dell’aula. Un tema che, da Bruxelles, non viene più trattato come cornice etica, ma come questione politica e strutturale per il futuro dell’Unione.
Una fotografia a più velocità
La libertà di stampa in Europa appare oggi divisa come il mercato del lavoro o le politiche energetiche: a più velocità. Da una parte i Paesi nordici e alcuni dell’Europa occidentale, che guidano stabilmente gli indici di Reporters Without Borders e garantiscono pluralismo e indipendenza. Dall’altra, aree dove i media pubblici sono stati progressivamente politicizzati o dove le concentrazioni editoriali riducono lo spazio critico. Il caso ungherese è da tempo emblematico, con redazioni vicine al governo che occupano quasi tutto il panorama televisivo. La Polonia, pur avendo cambiato governo, sta ancora affrontando i nodi lasciati dalle riforme dell’era PiS. Per non parlare dell’Italia, dove i vari episodi di sorveglianza tramite spyware, i problemi relativi alle infiltrazioni mafiose e l’annosa questione del cda Rai troppo legato ai vari governi, continuano a posizionare il nostro Paese molto basso nelle classifiche. Insomma, una mappa frammentata, che mette in discussione l’idea stessa di standard europei comuni.
Il Media Freedom Act come risposta
È in questo contesto che, nel 2024, la Commissione ha promosso e fatto approvare il Media Freedom Act, la prima normativa europea pensata espressamente per tutelare l’informazione. La legge introduce vincoli contro le interferenze governative, obblighi di trasparenza sulla proprietà dei media e misure contro le querele temerarie – uno strumento spesso usato per scoraggiare inchieste scomode. Von der Leyen, nel discorso di oggi, ha rivendicato questa normativa come “una conquista europea che non ha precedenti” e ha avvertito che l’attuazione sarà seguita da vicino. “Senza informazione libera non c’è fiducia nelle istituzioni”, ha affermato, legando la libertà di stampa al più ampio tema della legittimità democratica.
Il nodo italiano
Tra i Paesi osservati speciali c’è anche l’Italia, dato il sistema mediatico italiano è spesso giudicato fragile su molteplici fronti delle tutele. Infatti, la concentrazione della proprietà dei giornali e delle televisioni in pochi grandi gruppi è elevatissima, peraltro inserita in un mercato caratterizzato da una debolezza strutturale fortissima, che rende molte testate dipendenti da contributi pubblici o da finanziatori privati. Negli ultimi anni si sono aggiunti due elementi di preoccupazione: le querele temerarie e l’uso di spyware governativi. Il caso Paragon, che ha fatto emergere intercettazioni digitali su giornalisti investigativi ha sollevato interrogativi sul livello di protezione delle fonti, mentre l’abuso delle cause civili per diffamazione continua a rappresentare un rischio economico per le redazioni più piccole. A ciò si somma una cronica crisi di sostenibilità del settore, con la chiusura di numerose testate locali e la precarizzazione diffusa del lavoro giornalistico. Se in Scandinavia la libertà di stampa non è messa in discussione perché sostenuta da sistemi di welfare e da sindacati forti, in Italia la combinazione di vulnerabilità economica e pressione politica lascia spazi di fragilità. È proprio in questo scenario che il Media Freedom Act potrebbe avere l’impatto più concreto, fornendo un quadro di garanzie minime europee che la legislazione nazionale non ha mai realmente consolidato.
Von der Leyen ha scelto di collocare la libertà di stampa accanto alle grandi sfide economiche e climatiche, segnalando che senza un’informazione libera nessuna transizione può essere realmente condivisa dai cittadini. Un messaggio che guarda tanto all’interno quanto all’esterno: Bruxelles non può difendere la democrazia in Ucraina o contrapporsi alla disinformazione russa e cinese se, al proprio interno, tollera zone grigie.