Stress test Eba promuove Intesa, Unicredit, Ubi e Bpm. Il 26 ottobre 2014 Bce promosse Veneto Banca e BPVi si salvò in corner Bankitalia: sapete come è andata!?

183

L’Eba (Autorità bancaria europea, cioè la vigilanza europea) ha comunicato a mercati chiusi alle 18 di oggi gli esiti dello stress test (qui la nota ufficiale) a cui, di concerto con la Bce, ha sottoposto le 48 maggiori banche europee tra cui per l’Italia Intesa, Unicredit, Ubi Banca e Banco Bpm mentre Mps è esclusa dall’esame, perché è sottoposta a un Piano di ristrutturazione concordato con le autorità europee. Lo scenario avverso considerato per gli stress prevede per l’Italia un calo del Pil cumulato del 2,7% nel triennio 2018-2020 mentre la fotografia si basa sui bilanci 2017. In questo quadro l’Italia si presenta in buone condizioni – scrive Antonio Pollio Salimbeni di Radiocor -, ma le quattro banche valutate si trovano in posizione differente.  


Nel 2020 solo il Cet 1 di Intesa Sanpaolo resterebbe sopra il 10%, Unicredit sarebbe tra il il 9 e il 10% mentre Bpm e Ubi si troverebbero tra l’8 e il 9%. Fanno peggio molte big tedesche, francesi e britanniche. 

Il Cet 1 di Deutsche Bank scenderebbe dal 14,65% a fine 2017 all’8,14% nel 2020, Commerbank dal 14,10% al 9,93%. Societe’ Generale passerebbe dall’11,38% a 7,61%. In fondo, tra i punteggi più bassi in questi test europei figurano tre importanti banche del Regno Unito: Lloyds Banking Group, Barclays (7,28%)e Royal Bank of Scotland.

Detto questo Il giudizio dell’Eba è positivo: lo stress test mostra che il rafforzamento del patrimonio delle 48 banche Ue sotto esame in generale ha migliorato la loro posizione in caso di peggioramento drammatico delle condizioni economiche. 

A questo punto non si può, per noi che scriviamo da Vicenza e dal Veneto, non andare indietro nel tempo con la memoria al 26 ottobre 2014, quando fu comunicato l’esito del primo stress della Bce, che nella vigilanza subentrò così a Banca d’Italia.

Quel giorno Veneto Banca, che pure a novembre 2013 era stata data per moribonda, fortemente invitata a consegnarsi “nuda e cruda” a un istituto di “adeguato standing”, la  Banca Popolare di Vicenza, cioè, per Visco e Barbagallo, e, quindi, indebolita con i suoi correntisti e clienti, che cominciarono la loro fuga, fu, invece, promossa con soddisfazione dei soci pur se, scrivemmo quel giorno stesso, «sul filo del rasoio: si salva per 24 punti base ma senza aver dovuto attuare misure aggiuntive rispetto a quelle con cui si era presentata agli esami.»

Mentre la banca di “adeguato standing”, la BPVi, ottenne la promozione solo in zona Cesarini superando gli stress test (30 punti base) ma dopo «la decisione presa dal Cda di ieri (25 ottobre, ndr) di convertire in azioni il “convertendo 2013-2018” del valore di 253 milioni».

Se Gianni Zonin brindò, da buon vignaiolo e secondo il suo solito stile, per quello che definì un successo, pur essendo “pagato” dagli obbligazionisti, tutti sappiamo come è andata a finire anche se nessuno la racconta tutta e con onesta semplicità come ora proviamo a fare noi (ancora una volta).

Esautorato il vecchio cda montebellunese, che poi si avvitò in una serie di rivolgimenti senza una guida reale (la si voleva affondare?), e intestardendosi, perché e chi solo i ciechi ancora non lo vedono mentre i muti continuano a non dirlo e i sordi a non sentirlo, a sostenere l’insostenibile, anche secondo la Bce, e a mantenere il più a lungo possibile Zonin al vertice della banca vicentina per poi sostituirlo ancora per un, bel, po’ con l’amico Stefano Dolcetta. All’interno delle mura della Popolare Vicentina, marcite tra favori e complicità che la Commissione d’inchiesta sulle banche non ha saputo (voluto?) svelare facendosi irretire nelle polemiche sulla bella ministra Boschi, si sostenne, infatti, che si potesse salvare anche il popolo di Veneto Banca.

Si arrivò, così, alla necessità dei due aumenti di capitale, dichiarati sufficienti dalla Bce, garantì 1.5 miliardi per Vicenza Unicredit, che, poi, si ritirò confermando che il suo era un pre impegno e non un accordo come giurava Francesco Iorio, mentre Intesa Sanpaolo con Imi scelse (fu un caso o l’occhio di Carlo Messina era lungo?) Veneto Banca come banca a cui assicurare un miliardo.

Se l’ad di Intesa, quando Unicredit si sfilò, dichiarò pubblicamente che Intesa, con Imi, era diversa  e manteneva gli impegni salvo poi defilarsi da lì a poco, aprendo la strada ad Atlante a fine aprile 2016 per la vicentina e a fine giugno per gli odiati cugini trevigiani, ai tempi che furono lunghissimi (per la finanza enormi) per (non) affrontare risolutamente una situazione che dal 26 ottobre 2014 (sufficiente per Montebelluna, così così per via btg. Framarin) era peggiorata di giorno in giorno fino al doppio crac di giugno 2017 a quel punto annunciato e al “banco!” di Messina sulla parte buona più 5.2 miliardi in cambio di un… euro cash, beh, se questa è la cronaca di quegli anni come non dire bravo da parte dei suoi azionisti al businessman di Intesa Sanpaolo ma come non chiamare a rispondere dell’affare fatto sulle spalle dei risparmiatori di BPVi e Veneto Banca chi le prese in carico dal 26 ottobre 2014 in poi?

Bankitalia, Consob, politici, media e magistrati, ferrei con Vincenzo Consoli (agli arresti domiciliari e “pignorato) ma umani con povero vecchio Zonin (libero… anche di donare i suoi beni), se ci siete battete un colpo! 

Ringraziando gli italiani, nella fattispecie soprattutto i veneti e i vicentini che pare ci godano a farsi sodomizzare, che di colpi veri non ne hanno sferrati contro chi li ha azzerati facendosi ancora prendere per il solito posto, di cui prima, anche dall’attuale governo che promette un po’ più delle briciole precedenti ma senza ancora renderle disponibili… 

P.S. Il ! del titolo è per chi ha capito da tempo come è andata a finire, il ? per chi non lo sapeva e alla cui domanda ora abbiamo dato noi una risposta. 

Se la verifica come giusta ci metta ora pure il !…