Succede in Perù… ma non è interessante perché è una questione di democrazia

237
Manifestazioni in Perù dopo il voto, ancora non ufficializzato
Manifestazioni in Perù dopo il voto, ancora non ufficializzato

Quello che succede in Perù non è interessante?

Poche le notizie che vengono divulgate dagli organi di informazione nostrani. Qualche velina, al più, che non spiega niente di quello che sta succedendo in quell’importante paese latinoamericano. Eppure è in atto qualcosa che dovrebbe attirare l’attenzione, invece tutto è offuscato da un silenzio sostanziale.

Ma cosa sta succedendo? Il 6 giugno scorso si è svolto il secondo turno delle elezioni presidenziali. Un ballottaggio tra Keiko Fujimori della destra e Pedro Castillo Terrones della sinistra. Un esito che sembrava indirizzato a dare la vittoria alla candidata della destra, ben presto, con l’arrivo dei voti delle zone rurali e minerarie, si era ribaltato a favore di Pedro Castillo. Pochi voti, per carità, poco più di 44.000 (lo 0,250%) ma comunque una vittoria dell’esponente del partito di sinistra “Perú Libre” e dei suoi alleati. In pratica con il 100% delle schede scrutinate e verificate dall’ONPE (l’ufficio elettorale nazionale) il maestro Castillo avrebbe dovuto essere proclamato nuovo Presidente del Perù. Il condizionale è d’obbligo perché a oggi, tutto è fermo. La signora Fujimori (figlia del famigerato ex-presidente del Perù negli anni ’90, oggi in carcere per frode e crimini contro l’umanità) impugnava un numero di verbali per irregolarità. Senza prove chiedeva che venissero annullati decine di migliaia di voti provenienti dalle regioni dove il maestro Castillo aveva trionfato. “Per fermare il comunismo”, questa la parola d’ordine, prontamente raccolta da Mario Vargas Llosa, il premio Nobel per la letteratura che vive a Madrid e da là sentenziava che uno come Castillo non poteva essere dichiarato vincitore.

Le motivazioni sono diverse. Castillo è uno del popolo più umile e povero, un indio che ha studiato perché la sua missione è insegnare a chi non può studiare per questioni economiche. Una persona che parla in maniera pacata e chiaramente. Dice che la prima questione del Perù, quella sulla quale bisogna investire è l’istruzione che deve essere garantita a tutti. Così come devono essere garantiti ad ognuno i diritti alla salute. Dice anche che le multinazionali che hanno depredato le risorse mineriare e agricole del paese non potranno più farlo, che bisogna tassare i grandi profitti che queste “imprese” straniere hanno avuto da uno sfruttamento che ha impoverito la maggioranza dei peruviani che vivono nelle zone più ricche di risorse. E dice che è ora di finirla con la corruzione dilagante. E, questo, è un punto fondamentale se si vuole cercare di capire la situazione perché la “signora” Keiko Fujimori è sotto processo per frode e corruzione rischiando oltre 30 anni di carcere. Per il momento è “tutto sospeso” per il fatto della sua candidatura, ma se non vincesse le elezioni …

Così la destra peruviana, con l’appoggio dell’imprenditoria e dell’informazione (ci ricorda qualcosa?) sta facendo di tutto perché non vada al potere il “comunista” Castillo che ha vinto le elezioni. Chiamano alla frode elettorale (senza prove e senza riscontri), se non andasse questa, chiedono ai militari di intervenire (da più parti si chiede a gran voce il colpo di stato). E comunque è bene “tirare per le lunghe” non sia mai che le elezioni vengano invalidate e si debbano rifare.

Tutto questo sta succedendo dopo due settimane dal secondo turno elettorale e dalla pubblicazione dei risultati. Ufficiosamente si sa già che ha vinto Castillo ma, non essendoci la proclamazione, bisogna aspettare. I cavilli stanno dilatando i tempi dell’attesa. Intanto la borghesia “meno illuminata” scende in piazza a sostegno della corrotta Keiko Fujimori. Invoca l’annullamento delle elezioni e il colpo di stato. Le persone più umili, le lavoratrici e i lavoratori scendono nella capitale dalle regioni andine e della selva. Arrivano dal sud, dal centro, dal nord del paese e sono centinaia di migliaia a sostegno di Pedro Castillo e della loro dignità. Perché si sappia che, per la prima volta dopo tanti decenni, gli “indios”, i “cholos”, i minatori, gli agricoltori, gli operai, gli studenti… i poveri, insomma, vogliono contare. Pretendono una cosa ovvia: il loro voto deve valere quanto quello della borghesia e degli imprenditori della capitale e delle regioni costiere più ricche.

Intanto l’informazione del “mondo democratico”, così attenta a gridare alla repressione di chi viene indicato come “dittatore”, non dice niente. Eppure anche il silenzio della dittatura opprime i popoli e nega la libertà di una nazione di eleggere democraticamente il proprio presidente. No, meglio tacere. Meglio seguire quello che dice il padrone nordamericano, meglio aspettare. Meglio comportarsi, per esempio, come è stato fatto con Evo Morales in Bolivia nel 2019 quando con un colpo di stato gli è stata tolta la vittoria elettorale. In definitiva le ragioni sono sempre le stesse: se la destra vince è “democrazia”, se perde è “frode”. Se poi chi vince è socialista o comunista, è “dittatura”. Se, infine, chi vince è un “indio” che fa parte del proletariato, è semplicemente innamissibile.

Invece bisogna fare qualcosa, informare, dire che la maggioranza degli elettori peruviani vogliono una svolta nella politica del loro paese e che pretendono di non essere più governati da gente corrotta che svende la ricchezza del paese a multinazionali straniere e a imprenditori senza scrupoli.

Forse quello che sta succedendo in Perù non è interessante perché è una questione di democrazia.

Articolo precedenteUna mostra permanente della bicicletta per Vicenza: la mozione con la proposta del consigliere comunale Cristiano Spiller
Articolo successivoCovid in Veneto e in Italia: monitoraggio settimanale di Luca Fusaro al 21 giugno (ore 17 epidemia) e al 22 giugno (ore 6.12 vaccini)
Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.