
di Raffaele Bonanni ROMA (ITALPRESS) – A settimane di distanza dai fatti di Milano, colpisce meno il clamore iniziale e più il silenzio che ne è seguito. La politica ha perso l’occasione di aprire un confronto serio sulle regole che governano le nostre città. Nessuna istituzione ha avviato verifiche per capire se quanto accaduto sia stato un episodio isolato o il sintomo di un problema strutturale.
L’urgenza si è dissolta, e tutto rischia di tornare com’era. Eppure, quanto è accaduto ci riguarda da vicino. Il modo in cui progettiamo e costruiamo le città riflette il tipo di società che vogliamo essere. È una questione civile prima ancora che tecnica. Negli ultimi anni, il legame tra urbanistica e partecipazione si è indebolito. Il confronto pubblico è stato spesso evitato, considerato un ostacolo più che una risorsa.
Si è preferito decidere in fretta, delegando scelte cruciali a tecnici o funzionari nominati, lontano dai consigli comunali e dai cittadini. Risultato: meno trasparenza, meno controllo democratico. A questo si somma un sistema normativo disordinato e incoerente, frutto di interventi d’emergenza, deroghe continue e condoni.
I piani regolatori hanno perso centralità, e la riforma del Titolo V ha moltiplicato le leggi regionali, aumentando disuguaglianze e confusione. Anche per gli addetti ai lavori, il quadro è diventato quasi ingestibile. Il vero nodo è l’assenza di una visione nazionale. Nessuna legge quadro sull’urbanistica. Nessun piano condiviso tra governo centrale e Regioni. Eppure la posta in gioco è alta: si tratta di bilanciare crescita e sostenibilità, diritti collettivi e interessi privati, qualità urbana e coesione sociale.
Senza un intervento strutturale, le città rischiano di frantumarsi. Da un lato quartieri esclusivi, dall’altro periferie abbandonate. In mezzo, aree in lento declino. Il costo della casa aumenta, i servizi si allontanano, l’accessibilità si riduce, specie per chi ha meno. Un’urbanistica senza regole chiare e senza presidio democratico diventa uno strumento di esclusione. Serve un cambio di passo.
Occorrono regole semplici, coerenti e stabili. Una regia nazionale capace di tenere insieme le specificità locali. E soprattutto, una nuova fiducia nella partecipazione: riportare le decisioni nei consigli comunali, riaprire il dibattito pubblico, ricostruire il rapporto tra cittadini e istituzioni. Non è solo una riforma tecnica. È una scelta politica. È una questione di futuro.
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