
Tocca anche il Veneto l’ennesima inchiesta su truffe ai danni dello Stato. A guidare il sistema smascherato dalla GdF di Treviso un imprenditore padovano recidivo: prometteva salvataggi d’impresa, lasciava fallimenti e lavoratori senza stipendio.
Prometteva di “salvare” aziende in difficoltà come un moderno angelo degli affari, ma in realtà le acquisiva, le svuotava e le conduceva al fallimento per poi passare al prossimo bersaglio. Questa la tecnica messa a punto da un imprenditore padovano, pluripregiudicato, al centro di una rete criminale smantellata dalla Guardia di Finanza di Treviso, con l’arresto ai domiciliari del presunto capofila e la denuncia di altri 10 soggetti. Il sodalizio è accusato di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e all’autoriciclaggio, con una truffa accertata da 1,7 milioni di euro ai danni dello Stato.

Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Treviso, hanno svelato un meccanismo truffaldino raffinato e seriale: il gruppo rilevava aziende, spesso in difficoltà, le svuotava degli asset, spesso tramite “prestiti infragruppo” privi di fondamento economico, e poi le lasciava fallire. Nel frattempo, i fondi pubblici venivano richiesti e ottenuti in modo fraudolento, simulando attività mai svolte. È quanto accaduto, in particolare, con due aziende trevigiane, dirette “in modo occulto” dall’imprenditore, che hanno beneficiato indebitamente di finanziamenti pubblici erogati da SIMEST S.p.A. per progetti legati all’internazionalizzazione (in Kuwait e Albania) e al rafforzamento patrimoniale.
Peccato che, secondo la Finanza, nessuno dei progetti sia stato effettivamente realizzato. I dipendenti non sono mai partiti per missioni all’estero, né vi sono state partecipazioni a fiere internazionali. Anche i bilanci presentati per ottenere fondi sarebbero stati falsati. Le indagini hanno ricostruito come buona parte delle somme fosse stata destinata a spese personali, liquidità accantonata per altre acquisizioni, o girata ad altre società del gruppo attraverso una fittizia “rete d’impresa”, inventata ad hoc per mascherare i flussi finanziari.
Il danno economico è ingente, ma lo è ancor di più il colpo sociale: i 56 dipendenti delle due aziende finite in liquidazione giudiziale hanno perso il lavoro, senza possibilità di ricollocazione. L’operazione, sottolineano le Fiamme Gialle, “è anche una risposta alla necessità di tutelare il corretto utilizzo della spesa pubblica, a difesa dell’economia legale e dei contribuenti onesti”.
Il comunicato, diffuso con autorizzazione della Procura di Treviso, ribadisce che tutti gli indagati devono ritenersi innocenti fino a eventuale sentenza definitiva, come previsto dalla normativa vigente. Resta però lo scenario inquietante di un sistema organizzato che, mentre prometteva rilanci e sviluppo, alimentava con metodo il degrado industriale di aziende, lavoratori e territori.