Usa, Trump festeggia il 4 luglio con il ‘Big Beautiful Bill’

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di Stefano Vaccara  NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Nel giorno in cui gli Stati Uniti celebrano il 249º anniversario della Dichiarazione di Indipendenza, Donald Trump si prepara a firmare la sua più grande vittoria legislativa da quando è tornato alla Casa Bianca.

Il “One Big Beautiful Bill” è passato per un soffio alla Camera giovedì, 218 a 214, dopo aver superato il Senato con il voto decisivo del vicepresidente Vance. Una “Maga legge” da quasi 900 pagine, che promette tagli fiscali, sicurezza ai confini, ma anche drastiche riduzioni allo Stato sociale. Il simbolismo non poteva essere più chiaro: Trump firma il suo capolavoro politico nel giorno dell’Indipendenza americana.

Ma questa firma, se da un lato mostra la forza del presidente all’interno del partito repubblicano dall’altro rivela i rischi di una presidenza sempre più imperiale, alimentata dalla recente decisione della Corte Suprema che ha conferito poteri straordinari al presidente, a scapito dei giudici federali.

Il leader democratico Hakeem Jeffries ha provato a rallentare l’avanzata del bill con un intervento-record alla Camera: otto ore e mezza di discorso, leggendo lettere di cittadini che perderanno l’assistenza sanitaria, i buoni pasto o gli aiuti per i figli disabili. Ma il suo sforzo non è bastato.

I “quattro repubblicani coraggiosi” non sono mai arrivati. Eppure fino a poche settimane fa sembrava improbabile che un testo così controverso – che taglia quasi 1.000 miliardi di dollari da Medicaid, cancella i crediti verdi voluti da Biden, e regala 4.500 miliardi in nuovi tagli fiscali – potesse passare in un Congresso con maggioranze così risicate.

Ma Trump ha fatto pressioni dirette, minacciato primarie, incontrato personalmente i recalcitranti, e infine ha vinto. Merito anche dello speaker del Congresso Mike Johnson, capace di tenere unito un partito lacerato dalle contraddizioni, ma ancora più dalla paura di sfidare il presidente.

Molti repubblicani hanno votato “sì” pur definendo la legge “terribile”. Come la senatrice Murkowski, che ha ottenuto qualche salvaguardia per l’Alaska ma ha ammesso: “Questo è stato un processo orribile”.

Come ha fatto anche il senatore Hawley del Missouri, che fino a maggio diceva che tagliare Medicaid era “moralmente sbagliato”. E come ha fatto il senatore Tillis della Nord Carolina, che ha annunciato il ritiro dalla politica subito dopo aver denunciato pubblicamente la legge come un tradimento delle promesse fatte agli elettori più vulnerabili. Una vittoria per Trump, ma forse una vittoria di Pirro.

Perché il “Big Beautiful Bill”, pur tagliando lo Stato sociale, aumenta il deficit di almeno 3.000 miliardi di dollari in dieci anni. E rischia di far perdere l’assistenza sanitaria a oltre 10 milioni di cittadini. I sussidi agli affitti, ai pasti scolastici, persino ai programmi per i disabili vengono falcidiati. Tutto questo per finanziare tagli fiscali che beneficeranno in maggioranza il 20% più ricco del Paese.

Trump, però, è galvanizzato. Ha detto che “è stato facile” convincere i riottosi. E intanto minaccia chiunque lo critichi: dal candidato socialista a sindaco di New York, Zohran Mamdani, che il presidente ha pubblicamente attaccato chiamandolo “comunista” e minacciandolo di incarcerazione, fino a Elon Musk, che si era opposto al bill definendolo “un boomerang economico”.

Trump ha risposto ipotizzando di bloccare i contratti federali a Tesla e SpaceX e di rispedirlo in Sud Africa. Nel frattempo, l’opposizione democratica arranca. E il giorno dell’Indipendenza americana si apre con una domanda inquietante: quale sarà la prossima mossa di un presidente sempre più libero dai vincoli del check and balance? Dopo la sentenza della Corte Suprema che ha riconosciuto una quasi totale immunità presidenziale, Trump si muove con sempre meno freni, nel Congresso come nella giustizia. La firma sul Big Beautiful Bill potrebbe diventare il simbolo non solo di un’agenda economica, ma di un cambiamento profondo dell’equilibrio dei poteri negli Stati Uniti.

Infine, mentre giovedì Trump parlava con Putin in una telefonata in cui, secondo il Cremlino, non ha ottenuto nulla di concreto per una tregua in Ucraina, resta l’impressione che il presidente americano sia forte solo in patria ma debole con gli autocrati. Come con Netanyahu, al quale avrebbe cercato di imporre una tregua su Gaza, ma si è sentito rispondere dal premier israeliano che la tregua sarà valida solo in assenza della presenza di Hamas. Trump sembra inarrestabile.

Il prossimo banco di prova sarà il Midterm del novembre 2026. Ma se il presidente continuerà a governare con questi poteri allargati, chi potrà davvero contrastarlo? Nel giorno in cui il paese celebra la sua nascita, Trump si prepara a incidere il suo nome nella pietra della storia americana.

Chissà cosa ne penserebbero George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln – scolpiti a Mount Rushmore – di avere accanto un presidente che festeggia il 4 luglio firmando una legge che taglia i diritti ai più deboli e regala miliardi ai più ricchi.

– Foto IPA Agency –

(ITALPRESS)