Usb: la forbice salariale espone le donne ad un ulteriore sfruttamento

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Gruppo manifestanti USB con esponenti sindacali Annarita Simone, seconda da sinistra, Massimo D’Angelo e Germano Raniero (primo da destra)
Gruppo manifestanti USB con esponenti sindacali Annarita Simone, seconda da sinistra, Massimo D’Angelo e Germano Raniero (primo da destra)

(Articolo sulla parità di genere di Massimo D’Angelo, responsabile legale di USB Veneto da Vicenza Più Viva n.3 dicembre 2023-gennaio 2024 sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

La violenza contro le donne è un fenomeno sistemico che permea tutti gli aspetti delle loro vite, con i femminicidi che ne rappresentano solo la punta dell’iceberg. La mancanza di indipendenza economica è un elemento critico di vulnerabilità quando le donne cercano di sfuggire da situazioni di violenza.

Il Forum Economico Mondiale ha stimato che, in base alle attuali tendenze e dati, ci vorranno almeno 217 anni per colmare il divario salariale tra uomini e donne a livello globale. Questo divario salariale più ampio e la crescente precarietà lavorativa aumentano la ricattabilità delle donne con il part-time forzato, le molestie sessuali e l’innalzamento dell’età pensionabile.

Nei luoghi di lavoro, le donne sono spesso utilizzate in modo simile ai migranti per ridurre le tutele e i diritti per tutti, mantenendole in una posizione di subordinazione invece di consentire loro di affermare autonomia e autodeterminazione.

Nonostante il loro livello di istruzione, i dati statistici dimostrano che il lavoro delle donne non è pienamente valorizzato: native o migranti che siano, spesso sono costrette a rimanere confinate nel lavoro domestico per colmare il vuoto creato dai tagli e dalla privatizzazione del welfare. La concezione errata della “naturale” inclinazione delle donne verso il lavoro riproduttivo e di cura oscura la realtà del lavoro gratuito e altamente sfruttato, come nel caso delle badanti.

Le politiche di conciliazione tra lavoro e vita familiare non libereranno effettivamente tempo per le donne e, nell’attuale contesto di produzione, possono portare a una maggiore flessibilità senza protezioni e sicurezza, come nel caso dello smart working, spesso svolto in solitudine e senza possibilità di organizzare rivendicazioni e lotte collettive.

Le disuguaglianze economiche e sociali sono un aspetto fondamentale del modello sociale nel nostro paese. In Italia, l’indice di concentrazione della ricchezza è tra i più alti in Europa (32,7% rispetto al 30,3% nell’UE), e al suo interno, vi sono distribuzioni diseguali delle opportunità di autodeterminazione basate su genere, età, residenza e luogo di nascita.

La ricattabilità delle donne nella sfera privata si estende anche al contesto lavorativo, in cui si trovano a rischio di abusi e violenze economiche. Oltre un milione e 404mila donne hanno subito molestie o ricatti, includendo tutte le forme di discriminazione che le donne subiscono nel mercato del lavoro, dall’ingresso all’occupazione continua, tra cui differenze salariali, scarsa qualità del lavoro e segregazione occupazionale.

Il divario retributivo di genere complessivo (il salario medio annuale percepito da uomini e donne), in Italia è del 43,7%, mentre nell’UE è del 39,6% ed è influenzato da vari fattori discriminatori, tra cui retribuzioni orarie inferiori, minori ore lavorate (con un’alta incidenza di contratti a termine per le donne rispetto agli uomini, pari al 19,6% contro il 17,7%, e un numero significativamente maggiore di lavoratrici a tempo parziale involontario).

Un rinnovato impegno nei confronti del welfare pubblico e degli investimenti nelle infrastrutture sociali non solo creerebbero nuovi posti di lavoro ma consentirebbero alle donne di liberare il tempo dedicato al lavoro non retribuito, spesso impiegato per le cure familiari, emancipandole dalla loro condizione di subalternità all’interno della famiglia e, ancor più importante, dalla ricattabilità e segregazione che subiscono nel mercato del lavoro.