Vicenza, Travaglio premiato dal CSI tra conflitto di interessi e Assange dimenticato dalla stampa

Il direttore del Fatto Quotidiano ha spiegato la necessità di una legge seria sul conflitto di interessi e una sull'antitrust, per spaziare poi su temi di attualità dall'Ucraina a Biden, ricordando infine il caso Assange

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Marco Travaglio a Vicenza premiato dal CSI
Marco Travaglio a Vicenza premiato dal CSI

Sala gremitissima ieri sera di cittadini, meno di colleghi della stampa, al Patronato Leone XIII dove il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio ha ricevuto il premio legalità del CSI di Vicenza, che lo ha potuto conferire a lui grazie solo al disinteressato interessamento del nostro direttore dimenticato da parte dell’associazione e dei suoi vertici (poco lealmente in una serata dedicata alla legalità?).

Ma prima del conferimento del premio annunciato l’8 dicembre 2023, Travaglio ha parlato, con il suo stile tagliente e ironico e prendendo spunto anche dai suoi tre saggi pubblicati nel 2023: “Israele e la Palestina in poche parole”, “Il Santo” e “Scemi di guerra”, di diversi argomenti di attualità, soffermandosi molto sull’inadeguatezza del presidente americano Biden a causa della sua età avanzata che ne compromette la lucidità e sulla guerra in Ucraina. Lungi dal difendere Putin, Travaglio sostiene che bisognava trovare un accordo per la neutralità dell’Ucraina.

La guerra in Ucraina

Se il Messico, che si trova al confine con gli USA, si alleasse con Paesi che storicamente stanno dall’altra parte dello scacchiere, come Russia o Cina, penso che gli Stati Uniti ci metterebbero due secondi ad invaderlo” ha detto il giornalista, intendendo dire che, da un imperialista come Putin, ci si poteva e doveva aspettare una reazione violenta nel momento in cui vengono installate basi NATO appena fuori dai suoi confini. “Ma – ha aggiunto Travaglio – si poteva trovare un accordo subito dopo l’invasione“. Perché non si è ancora arrivati, dopo quasi due anni, a una tregua? Biden (presidente USA) e Johnson (allora premier dell’UK) non hanno voluto.

Qui entra in gioco la libertà di stampa, giacché, sostiene Travaglio, la retorica del “vinciamo noi, sconfiggiamo la Russia” era falsa fin dall’inizio ed era invece palese che ci si stava imbarcando in un conflitto lungo decenni, che avrebbe portato solo alla distruzione dell’Ucraina, a spendere miliardi in armi e lasciare moltissime vittime civili sul campo. Allora perché, si chiede Travaglio, nemmeno i giornalisti presenti in Ucraina hanno raccontato la verità sulle sorti del conflitto? Perché ci sono degli interessi che riguardano la produzione di armi e il business della ricostruzione.

Stampa condizionata dalle aziende: il caso Pantani

Travaglio, torinese e juventino, ha raccontato che ha iniziato, nella sua carriera, occupandosi anche di calcio e del processo a Pantani. “Se davi fastidio alla Juventus, ti sostituivano con un altro” ha detto. Poi ha aggiunto che se gli italiani idolatrano ancora un campione, che però si dopava, quindi ingannava, come Marco Pantani, è perché la stampa non riportava la verità su tutti i dettagli che emergevano durante il processo. L’idea, forse romantica, del campione sfortunato, vittima di un complotto, ha preso piede nelle menti delle persone al posto di quella, reale, di qualcuno che ha ottenuto risultati in maniera non onesta.

Anche se, aggiunge chi scrive, nel caso Pantani, come in altri casi fuori dallo sport, vedi Craxi, si potrebbe dire, senza giustificare o assolvere, che lo facevano tutti, o quasi tutti, ma le grosse batoste le ha prese uno solo, o pochi. Travaglio ha aggiunto che la scuderia di Pantani, la Mercatone Uno, condizionava fortemente la stampa. Del resto Travaglio è direttore di un giornale, che si è ampliato a casa editrice con Paper First e a televisione con TvLoft, che sbarcherà in Rai con la Confessione di Peter Gomez, che nel 2009 è stato fondato da giornalisti “che si sono rotti le scatole” e che hanno deciso di diventare editori di se stessi, proprio perché se l’editore è un imprenditore, avrà, da qualche parte, degli interessi, e il giornalista non sarà mai libero, a volte anche perché si autocensura e sceglie autonomamente, per opportunismo, di non dire tutta la verità.

Parmalat e banche venete

Nel caso del crac Parmalat, ha ricordato Travaglio, il primo ad ammonire sul disastro imminente non fu un giornalista, bensì un comico, cioè Beppe Grillo. La stampa avrebbe quindi taciuto la reale situazione dell’azienda, legata alle banche, che poi ha portato 40 mila persone a costituirsi parte civile in quanto danneggiate. Un caso che ricorda (lo fa chi scrive, memore degli articoli di documentata denuncia scritti a spron battuto su questa testata dall’11 agosto 2010, ma non il relatore della serata) quello delle banche venete fallite, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, in cui la stampa locale è arrivata dopo, a babbo morto, ma anche quella nazionale non ha indagato più di tanto sul ruolo della Banca d’Italia nella questione (per approfondire la questione ricordiamo i diversi libri disponibili nello shop di ViPiù tra cui “Vicenza. Città sbancata” che raccoglie proprie il nostro lavoro dal 2010).

Il conflitto di interessi

Secondo Travaglio non serve una legge sulla libertà di stampa, ma una legge seria, non come quella Frattini, sul conflitto di interessi. “Chi ha interesse non sente il conflitto, l’imprenditore non sente il conflitto, il politico non sente il conflitto. Il conflitto ce l’abbiamo noi cittadini, siamo noi i danneggiati. Anche perché come facciamo a sapere se è giusto mandare armi in Ucraina, come facciamo a sapere chi mandiamo in parlamento, come facciamo a scegliere i nostri governanti, se non sappiamo veramente come stanno le cose?

Se sei sottosegretario – ha aggiunto riferendosi al caso Sgarbisei pagato dallo Stato. Se vuoi essere pagato dai privati lo fai da libero cittadino, non da politico. Non sarebbe illiberale dire che chi ha interessi economici non debba investire nella stampa, è come dire di non bere a chi deve guidare: non è illiberale, non ti sto vietando di bere, ti sto dicendo che se bevi non guidi, è diverso. Se vuoi fare editoria ti spogli dei tuoi interessi, altrimenti l’informazione è otturata“.

L’antitrust

Così come – ha aggiunto il direttore- non sarebbe illiberale una legge seria sull’antitrust, per impedire le concentrazioni di soggetti imprenditoriali troppo grossi. Abbiamo sempre dovuto costruire le leggi antitrust basandoci sul trust di Berlusconi“.

Diffamazione e querele facili

Un altro freno alla libertà del giornalista di dire la verità, che è legata a quella del cittadino di decidere, è dato dalle querele. L’unico vincolo del giornalista dovrebbe essere quello di dire la verità, ma non può andare a processo ogni volta che un politico o un imprenditore si sente offeso da quella verità, o persino essere condannato, e quindi danneggiato economicamente, se il giudice non capisce una battuta, come ha raccontato Travaglio nel suo caso, con l’allora presidente del Senato Renato Schifani. Fermo restando che la stessa regola non vale al contrario, cioè i politici si sentono liberi di offendere e diffamare, avvalendosi dell’insindacabilità parlamentare, che Travaglio abolirebbe.

Il paradosso – ha spiegato Travaglio – è che la legge sulla diffamazione oggi mette sullo stesso piano l’attribuzione di un fatto determinato, grave, diffamatorio se falso, con le valutazioni, con il giudizio o con la battuta satirica del giornalista, in base al principio della continenza. Che però è un principio molto arbitrario. La continenza non è oggettiva, la decide il giudice di volta in volta. Bisognerebbe separare il diritto di denunciare se ci si sente diffamati, se io dico sei un ladro lo devo dimostrare, da quello che invece è il giudizio. Se c’è la prova che sei un ladro, ho il diritto di fare una battuta sul fatto che sei un ladro“.

Il caso Assange dimenticato dalla grande stampa

La settimana prossima a Londra si deciderà sull’estradizione del giornalista Julian Assange, che rischia 175 anni di carcere negli USA. Assange è fondatore di WikiLeaks e secondo Travaglio “ha pestato i piedi sbagliati”, cioè quelli degli Stati Uniti, rivelando delle verità scomode sulla più grande potenza mondiale e per questo non c’è, sulla stampa, lo stesso interesse e mobilitazione che c’è in altri casi di detenzione. Molte città stanno stentando a riconoscere al giornalista australiano la cittadinanza onoraria: a parole tutti dicono di volerlo fare, sarebbe solo un gesto simbolico ovviamente, perché non si può influire sulla decisione della corte di Londra, però poi, come a Roma, con sindaco PD, si dice “non è una priorità” e si blocca tutto.

Anch’io mi sento impotente di fronte a questo caso – ha detto Travaglio -, ma più di sensibilizzare non si può fare, purtroppo. Assange ha fatto bene il suo lavoro di giornalista, se si fosse fatto arrestare da Orban avrebbe un’altra visibilità. Sembra che alla nostra categoria non importi molto, ha rivelato i crimini di guerra americani e quindi è visto come una sorta di spia russa. Per Assange non ci sono, o ci sono meno, mobilitazioni della stessa portata di quelle, sacrosante, per Regeni, Navalny, Zaki”.