
Il caso del vitalizio dell’ex presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, torna al centro dell’attenzione con una nuova evoluzione. Galan, attraverso un ricorso depositato dal suo avvocato Maurizio Paniz, chiede al Consiglio regionale del Veneto la restituzione dei suoi assegni di pensione.
Si tratta di una somma che supera i 150 mila euro, versata in questi anni dall’Ente al Fondo unico di garanzia di Equitalia. Galan rivendica questi fondi come “soldi che mi spettano da persona che ha lavorato per anni e che ha sempre versato i contributi”, chiedendo non solo gli arretrati ma anche gli accreditamenti futuri per una pensione che dovrebbe ammontare a circa 1300 euro netti al mese.
Il Consiglio regionale, per voce del suo presidente Roberto Ciambetti, ha confermato di essere in attesa della notifica del ricorso e di voler continuare, nel frattempo, a versare i contributi al fondo di garanzia.
A fronte di questa richiesta, il Consiglio regionale del Veneto ha deliberato la costituzione in giudizio.
Ciambetti, ha chiarito in una nota la posizione dell’Ente, specificando che la decisione di costituirsi in giudizio in riferimento al ricorso promosso da Galan è volta a ottenere la restituzione parziale del vitalizio trattenuto in forza di due sentenze esecutive. Ciambetti ha voluto precisare che “gli articoli apparsi sulla stampa nei giorni scorsi hanno ingenerato alcune suggestioni non esatte”, poiché “il Consiglio regionale non si oppone al diritto alla difesa dell’ex consigliere, ma ha il dovere giuridico di tutelare sé stesso in qualità di ente pubblico esecutore di provvedimenti dell’autorità giudiziaria”.
Dal 2017, ha spiegato Ciambetti, il vitalizio dell’ex presidente Galan è “interamente devoluto all’Agenzia delle Entrate-Riscossione sulla base di due sentenze dei Tribunali di Padova e Rovigo, relative a debiti per un totale di circa 5,8 milioni di euro”. Il Consiglio ha quindi agito esclusivamente “come soggetto terzo pignorato, eseguendo ciò che i giudici hanno disposto”.
La normativa del 2022, che ha riconfigurato il vitalizio in senso para-previdenziale (introducendo, tra gli altri, il limite di pignorabilità di un quinto), non può essere applicata autonomamente dal Consiglio. Perché i nuovi criteri possano entrare in vigore, ha sottolineato Ciambetti, “è necessaria una nuova sentenza, che al momento non esiste”. Per questo motivo, il Consiglio “non può modificare da sé una disposizione giudiziaria in vigore“.
Il punto cruciale che ha reso necessaria la costituzione in giudizio, come ha specificato il Presidente, è la richiesta di condannare il Consiglio stesso a restituire le somme versate all’Agenzia delle Entrate. Una tale impostazione, secondo l’Ente, “porterebbe a un grave paradosso giuridico: il Consiglio dovrebbe versare due volte le stesse somme: la prima volta, come esattore, allo Stato; la seconda volta, al consigliere cessato”. Come chiarito dai legali del Consiglio, se un giudice dovesse mai stabilire la restituzione di tali somme, “sarà semmai l’ente che le ha incassate, ovvero l’Agenzia delle Entrate, a doverle eventualmente restituire, non il Consiglio regionale, che ha solo adempiuto a un ordine giudiziario”.
La linea adottata dal Consiglio è la medesima già applicata in passato per situazioni analoghe, a conferma di un approccio “istituzionale, coerente e imparziale”. L’Ente, ha concluso Ciambetti, “difende la propria correttezza amministrativa e il principio di legalità, senza entrare nel merito delle singole posizioni personali”.