Distretto concia Agno-Chiampo e su Presa Diretta ennesima figuraccia: denunce confermate di Massimo M. Follesa di Cittadinanza Attiva Trissino

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Acque del Chiampo e distretto della concia
Acque del Chiampo e distretto della concia

La puntata di Presa diretta andata in onda due giorni fa su Rai tre – scrive Massimo M. Follesa di Cittadinanza Attiva Trissino nella nota che pubblichiamo – fotografa per l’ennesima volta un comparto della concia che si cuce addosso il diritto a contaminare l’ambiente nella più totale impunità pasciuta grazie ai soavi silenzi della Regione veneto.

Massimo Follesa
Massimo Follesa

Il distretto Agno-Chiampo fa l’ennesima figuraccia: arroganti e grezzi senza misura, il che sommato alla nomea di evasori fiscali che rimane incollata addosso al comparto sin dai temi dell’altra memorabile inchiesta di Presa diretta ai tempi del caso Dirty leather, la dice lunga su quanto il comprensorio in questi anni sia rimasto al palo.

Ora ci aspettiamo che l’autorità giudiziaria batta un colpo. Ascoltare per l’ennesima volta che la catena di controllo fa acqua da tutte le parti è un insulto anche a quegli imprenditori che le regole le rispettano. Ascoltare che ad Arpav venga chiesto di non vagliare alcuni illeciti ambientali patiti dal depuratore del distretto, la cui dirigenza sembra addirittura inerme, a causa della condotta di molte imprese, è agghiacciante e ridicolo al contempo. Faccio quindi appello alle donne, ossia a una donna: alla neo-presidente di Confindustria Laura Dalla Vecchia. È stata eletta per svecchiare e fare pulizia in una delle più importanti associazioni datoriali del Paese.

È arrivato il momento di prendere le distanze da certi personaggi. Personaggi che sono arrivati al parossismo di criticare la Volvo perché a breve la casa svedese vuole produrre veicoli leather free. L’Ovest vicentino non ha bisogno di personaggi coi lembi cerebrali foderati in pelle che cercano di mascherare l’imbarazzo della loro miseria umana guidando suv tanto rumorosi da riuscire a coprire la loro parlata: né dialetto, né italiano, ma grezzo. L’idioma concia style per affari di bassa lega. Pensare che occorra disboscare un pezzo di Amazzonia per permettere al settore nostrano di fornire il semilavorato per alimentare una industria del lusso che scarica i costi ambientali e quelli sociali sui deboli e sulla collettività non è terribile, è ignobile: ma soprattutto è idiota perché questa giostra non è sostenibile.

Faccio appello a chi tra gli industriali pensa che la concia sia o sia stata una tara del sistema sociale e produttivo più moderno e sostenibile: un appello affinché, ci si perdoni il francesismo, la si finisca di mettere merda chimica nel ventilatore dell’ambiente e si avvii una serie riconversione di quel comparto produttivo. Le alternative ci sono e vanno programmate. I professionisti e gli imprenditori che la pensano in questo modo sono tanti ma hanno paura di far sentire la loro voce. Se questo cambio di passo non avverrà, credo che sarà lecito appellarsi a chi in Europa controlla i cordoni della borsa, perché ogni singolo euro del Pnnr usato per continuare a conciare così tutto il Paese venga restituito. Se tale andazzo dovesse proseguire sarà lecito chiedere all’Europa ossia al Paese leader cioè la Germania, di tagliare i fondi destinati a tutte quelle grandi opere a tutti quegli investimenti ambientalmente urticanti e socialmente inaccettabili. La cupola degli inquinatori è ora sotto i nostri riflettori. La loro narrazione è stata ancora una volta smascherata.

Massimo M. Follesa