Formia: la leggenda del fantasma di Tulliola, figlia di Cicerone

2896
Formia, Tomba di Tulliola.
Formia, Tomba di Tulliola; ph. Fausto Forcina.

A 100 metri in linea d’aria dalla Tomba di Cicerone, sulla collina soprastante, è possibile scorgere i resti di un altro piccolo mausoleo: la Tomba di Tulliola. Si tratta di una costruzione di epoca augustea tradizionalmente attribuita proprio a Tullia, amatissima figlia dell’oratore; definita nelle sue lettere “Luce della mia vita” e “Più dolce della mia stessa vita“, Tulliola era proprio il nome affettuoso con cui il padre era solito chiamarla. Ma la storia di questa unione familiare va molto al di là di questo vezzeggiativo.

Secondo le testimonianze raccolte dagli studiosi, infatti, Cicerone avrebbe più volte scelto i mariti di Tullia in base alle alleanze politiche ed economiche più convenienti. Di questa figlia sensibile e istruita, però, si sa poco: qualcuno diceva fosse anonima e poco affascinante, qualcun altro che era sempre in accordo con il padre, qualcun altro ancora che fosse sopraffatta dal suo ruolo sociale.

Gli uomini di Tullia – Il primo matrimonio di Tullia fornì a Cicerone ottimi agganci nel campo aristocratico. C. Calpurnio Pisone Frugi pare fosse un plebeo e un buon marito, ma morì molto presto. Dopo i classici dieci mesi richiesti per la vedovanza, la giovane si riaccasò (forse si fidanzò soltanto, le fonti non sono chiare) con il ricco Furio Crassipede, ma l’unione durò meno di tre anni; sembra che lo sposo fosse dedito alla bella vita. A questo punto, Tulliola oramai era in là con gli anni e non aveva avuto figli: il divorzio le causò non poche difficoltà nel trovare un nuovo compagno di vita… almeno finché non venne scelto – sembra, questa volta, proprio da Tullia e sua madre Terenzia – P. Cornelio Dolabella, una vecchia conoscenza di Cicerone, nonché un giovane molto chiacchierato. Il matrimonio partì con tutti i migliori presupposti, ma naufragò per una serie di motivi politici e coniugali: Dolabella si rivelò totalmente inaffidabile. Le divergenze con il suocero si inasprirono al punto che, nel 49, Cicerone salpò per la Grecia: Tullia lo accettò, ma non venne mai perdonata né dalla madre, che cominciò a trascurarla, né dal marito. La nascita di un figlio morto e i continui tradimenti del consorte costrinsero la giovane a trasferirsi da Terenzia. Quando Cicerone tornò a Roma, Dolabella partì per l’Africa: al suo ritorno la coppia si riunì e concepì un figlio, ma le cose precipitarono nuovamente, fino al divorzio.

Quando Tullia partorì era sola, stressata, debilitata: il padre la portò al Tuscolo sperando che si riprendesse (alcune fonti assicurano, però, che non ce ne fu nemmeno il tempo), ma purtroppo non ci fu più niente da fare. La sua Tulliola morì a soli 34 anni.

Il corpo di Tullia fuori Porta Pinciana? – Lungo l’Appia, nel 1485, presso un casale tenuto dai frati di Santa Maria Nova, venne ritrovato un sarcofago: cosa c’era al suo interno? Un corpo incredibilmente ben conservato; era quello di una giovane donna, che si ritenne fosse Tullia. Esposto per un certo periodo al Palazzo dei Conservatori, venne segretamente riseppellito fuori Porta Pinciana.

Il luogo in cui si trova la tomba, invece, è detto Acervara, da acerbam e ara, ad intendere la giovane età della povera defunta.

Il Mausoleo di Tulliola; ph. Fausto Forcina.
Il Mausoleo di Tulliola; ph. Fausto Forcina.

La leggenda del fantasma di Tulliola – C’è una leggenda, piuttosto inquietante, che riguarderebbe la Ciceronis filia.

Protagonista ne è la Villa dei Quintili, visitabile lungo l’Appia Antica ed eretta nel II secolo su una lingua di lava generata dalle antiche eruzioni del Vulcano Laziale. La villa si estende verso nord, fino al corso d’acqua del Fosso dello Statuario, ed è stata dell’imperatore Commodo, che se ne appropriò dopo aver ingiustamente accusato e fatto uccidere i proprietari, Sesto e Valerio Quintili.

Dopo essere stata villa imperiale, passò di mano in mano per varie istituzioni ecclesiastiche e famiglie nobiliari, fino ad arrivare alla lunga e articolata trattativa di compravendita tra gli ultimi proprietari, la facoltosa coppia americana Elena e Evan Ewan Kimble, e la Soprintendenza.

Compravendita che, si racconta, ebbe esito positivo proprio grazie… ad un fantasma.

I Kimble, infatti, si lamentavano spesso di venir svegliati durante la notte dal canto di una bambina, convinti di sentirne la presenza anche di giorno. Ricollegandosi al ritrovamento della “mummia” di Tulliola, si pensò che la sua anima tormentata stesse ancora vagando senza pace.

In effetti, su quella segreta sepoltura avvenuta in fretta e furia esistono delle ipotesi abbastanza probabili: la presenza del corpo di Tullia, così ben conservato, era ritenuta ingrombrante dalle autorità ecclesiastiche, perché il popolo aveva cominciato a venerarlo come fosse quello di una santa. E qui la storia si intreccia al mito: decisi a farla sparire gettandola nel Tevere, i clericali rimasero di stucco quando il corpo della ragazza, a contatto con l’aria, si dissolse. Le poche ceneri rimaste vennero sepolte in un luogo segreto (fuori Porta Pinciana?) mentre i romani gridavano al miracolo.

Ricostruzione ottocentesca della Villa dei Quintili.
Ricostruzione ottocentesca della Villa dei Quintili. Credits: Wikipedia.

Il fantasma di Tulliola, sofferente e in cerca di vendetta, avrebbe continuato a perseguitare i residenti del luogo del ritrovamento. Il fundus dei Quintili, infatti, dal XII secolo è citato proprio nel patrimonio di Santa Maria Nova.

Una seconda versione del racconto (a cura dello storico Wilheim Schrodter) accenna ad una tomba, scoperta per caso nel sedicesimo secolo, contenente una giovane galleggiante in uno strano liquido bluastro; i capelli biondi raccolti in un cerchietto d’oro, un aspetto fresco quasi come stesse dormendo, aveva ai piedi una lampada votiva ancora accesa che si sarebbe spenta a contatto con l’aria. Leggendo alcune iscrizioni, si capì che la salma era vecchia di 1500 anni e, da lì, si pensò a Tulliola. Il prosieguo della storia, da questo punto in poi, è lo stesso, ma in questo caso sarebbe stato proprio papa Paolo III a farla gettare nel Tevere, intimorito e imbarazzato dalla sua presenza e dalle riverenze del popolo.

 

Si ringrazia Marcello Zalonis per aver raccontato questa leggenda nei minimi dettagli, per quanto fumosi.