I 26 anni del trattato UE–Mercosur. Dal Brasile Giuseppe Arnò (ASIB): festeggiati senza firma, tra trattori in marcia e leader in retromarcia

Trattori contro l'accordo UE - Mercosur a Bruxelles
Trattori contro l'accordo UE - Mercosur a Bruxelles

Dal Brasile si capisce una cosa che in Europa si finge di ignorare: il tempo non è infinito. Solo a Bruxelles scorre al rallentatore, come se ventisei anni fossero il prezzo naturale da pagare per non scontentare nessuno… Eppure l’accordo UE – Mercosur, più longevo del Ponte sullo Stretto di Messina (che almeno è diventato proverbio), continua a promettere senza mantenere.

Quando sembra pronto a dire “sì”, arriva la “Corte dei Conti” dell’agricoltura europea a ricordare che il matrimonio non s’ha da fare, o almeno non così.
Il copione è noto: la Commissione accelera, Ursula von der Leyen annuncia la volata finale, mentre Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron si sfilano con la grazia di chi chiede tempo “per le garanzie agli agricoltori”. Traduzione simultanea: l’intesa va bene, purché non faccia male a casa. E siccome a casa il consenso è un animale timido, meglio nutrirlo con cautela.
Nel frattempo, la piazza agricola europea ha riscoperto il suo antico mestiere: farsi vedere. Pochi trattori hanno acceso la miccia, poi mille mezzi e diecimila agricoltori hanno puntato Bruxelles. Cartelli, slogan, gas lacrimogeni. La risposta? Patate, barbabietole e uova. Un confronto rustico, quasi bucolico, che fa rimpiangere la civiltà delle molotov: almeno quelle non sporcano le strade di tuberi. A pochi passi, i leader dei Ventisette discutevano di futuro, mentre il presente bussava con le ruote chiodate.
Il nodo, naturalmente, è sempre lo stesso: la concorrenza. L’accordo con i Paesi del Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay e Bolivia) promette importazioni agricole a prezzi più bassi. Per l’agricoltore europeo, però, “più basso” non è un avverbio: è una minaccia. La concorrenza viene definita “sleale” perché prodotta con standard ambientali e sanitari diversi. È l’eterna dialettica europea: aprire i mercati chiedendo al mondo di diventare Europa, ma senza rinunciare ai privilegi dell’essere Europa.
Da qui le richieste: revisione profonda della PAC, nuovi sostegni al reddito, assicurazioni contro le tempeste del mercato globale, e una grande Conferenza europea dell’agricoltura per disegnare una strategia di lungo periodo. L’Europa ama le conferenze: sono il luogo ideale dove il lungo periodo resta lungo e la strategia rimane disegnata.
Dal lato brasiliano, l’impazienza non è una posa ma una necessità. Lula, che conosce il valore del tempo perché ne ha già perso parecchio, ha reagito come reagiscono i presidenti che non hanno intenzione di fare da comparsa: “Se non lo facciamo ora, il Brasile non firmerà più finché sarò presidente”. Scadenza 2026. Il Mercosur, per Brasilia, non è un esercizio di stile ma una leva geopolitica. E l’Europa, se indugia, rischia di scoprire che il mondo non aspetta il suo parere.
Ursula von der Leyen, prima del rinvio a gennaio, sperava nella firma a Foz do Iguaçu, sabato, luogo simbolico dove le acque si incontrano con fragore. Sarebbe stata un’immagine perfetta: l’Europa che decide finalmente di attraversare il ponte, non quello sullo Stretto, ma quello commerciale, verso l’America del Sud. Sarebbe difficile? Probabile. Sarebbe impossibile? Non necessariamente. A patto di accettare che l’accordo non è un atto di purezza, ma un compromesso. E che il compromesso, in Europa, è l’unica ideologia rimasta.
C’è poi il dettaglio che nessuno ama confessare: l’UE–Mercosur non è solo un trattato agricolo. È una scelta di campo in un mondo che si riorganizza a colpi di dazi, sussidi e alleanze. Rinviare significa scegliere, anche quando si finge il contrario. E scegliere il rinvio equivale spesso a lasciare che altri decidano.
Forse la chiave sta in un vecchio adagio, di quelli che spiegano più dei documenti ufficiali: il mondo procede per mezzo del malinteso. È grazie al malinteso universale che ci si mette d’accordo; perché se, per sventura, ci si comprendesse davvero, non ci si accorderebbe mai. L’Europa, maestra nel non capirsi, ha quindi una chance storica.
Finale. Se l’accordo nascerà, sarà figlio di un equivoco ben riuscito: l’agricoltore convinto di essere protetto, il politico persuaso di aver vinto, il partner sudamericano certo di aver ottenuto l’accesso. Se non nascerà, resterà un altro monumento nazionale all’intenzione, accanto al Ponte sullo Stretto. Con una differenza: il ponte, almeno, nessuno lo mangia. Il trattato sì. E fa indigestione a tutti.