«Ai mitra del checkpoint rispondiamo con l’arma del rosario»

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Dal 2004, ogni venerdì alle 17.30 o 18 (a seconda dell’orario stagionale) le suore Francescane Elisabettine di Padova si recano davanti al checkpoint israeliano n. 300 a recitare il rosario. Non c’è sole, pioggia che le fermi. E non sono mai sole. Con loro pregano fedelmente i fratelli delle scuole cristiane lasalliane, una signora palestinese che abita vicino al muro,  saltuariamente altre suore e le monache del Monastero dell’Emmanuele situato vicino al checkpoint. «Altri Palestinesi vorrebbero unirsi alla preghiera, ma temono ritorsioni – racconta suor Lucia Corradin, 51 anni, dirigente infermieristica al Caritas Baby Hospital di Betlemme, originaria di Mason Vicentino, in Palestina da 17 anni -. Inoltre, soprattutto d’estate, ci sono gruppi di pellegrini italiani e capita anche di arrivare a 100 persone. La processione parte dal checkpoint e qualche volta può succedere che i soldati ci puntino il mitra addosso perché temono cortei di protesta, ma noi rispondiamo mostrando il rosario: la nostra “arma”». Si cammina così lungo il muro fino alla fine del rosario e si conclude con il canto del Salve Regina, normalmente cantata in latino, davanti all’icona della Madonna dipinta sul muro dall’artista inglese Ian K.  

Suor Lucia qual è il significato di  questo gesto?

«Noi suore abbiamo visto con i nostri occhi la costruzione del muro, voluto dagliisraeliani, ma realizzato anche dai Palestinesi pur di guadagnarsi il pezzo di pane. L’idea del Rosario è nata perché alcuni bambini malati, ricoverati al Caritas Baby Hospital che necessitavano interventi delicati sono stati fermati al checkpoint e non hanno fatto in tempo a raggiungere l’ospedale di Gerusalemme.  Di fronte a queste assurde ingiustizie ci siamo chieste cosa potevamo fare. Parlando con altri amici è nata l’idea di andare a pregare il rosario non in casa, ma al checkpoint e di andarci di venerdì per ricordare la Passione del Nostro Signore».

Perchè proprio il Rosario?

«Il Rosario è la preghiera conosciuta da tutti, rivolta a Maria, Madre di tutta l’umanità, la mediatrice per eccellenza della misericordia di Dio e della Sua pace». 

Che cosa chiedete? 

«Un venerdì dopo l’altro tutti insieme chiediamo a Dio l’abbattimento dei muri che sono nei nostri cuori e nel cuore di chi ha la facoltà di decidere per la pace in Terra Santa. Il rosario viene recitato in lingue diverse a seconda delle persone presenti: di solito in inglese, arabo, italiano, francesce e a volte anche in tedesco, o portoghese. Nessuno è obbligato a recitarlo, molti si uniscono semplicemente per curiosità, oppure perché condividono l’iniziativa e lo scopo per cui è nata: pregare perché il muro cada, perché si frantumi sotto la sua pesante assurdità». 

Che cosa rappresenta per lei il muro?

«Come gli Ebrei hanno il loro “muro” e vanno a pregare, anche noi possiamo vedere il muro come una opportunità di preghiera. Pregare perché  quella barriera, che è simbolo di tante barriere che sono dentro il cuore e la mente dell’uomo, cada! Al posto del muro vogliamo che venga costruito un ponte. Da qui è nata l’iniziativa di preghiera chiamata appunto: “Un ponte per Betlemme”. Il primo marzo di ogni anno, anniversario della prima lastra posata a Betlemme nel 2004, tanti amici presenti in tutto il mondo pregano per il dono della Pace in Terra Santa e si uniscono a  noi ogni venerdì pregando da casa, in compagnia, in parrocchia il rosario. La Madonna di Ian K. tende l’orecchio al grido dei suoi figli, è incinta e soffre le doglie del parto. Nell’icona è poi rappresentata anche una porta aperta che fa intravedere Gerusalemme, così che quando il Principe nascerà troverà un valico per portare pace da una parte e dall’altra. Le sorelle hanno chiesto ai pellegrini  di tappezzare il muro di immagini di Maria perché c’è bisogno di segni e di vicinanza».