Antonio Rosmini: la società e il suo fine. La Voce del Sileno, anno 3

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Antonio Rosmini
Antonio Rosmini

All’antica politica dunque della giustizia fu sostituita la politica nuova dell’utilità pubblica.” (Antonio Rosmini)

  1. Introduzione

“La Filosofia applicata alla Politica si solleva a investigare que’principi immutabili, universali, da’ quali ajutata la mente del savio, giudica rettamente di tutto ciò che può influire a bene o a male della civil società.” Con queste parole Antonio Rosmini inizia la sua riflessione politica nel saggio La società ed il suo fine[1]. E’ chiaro che il filosofo intende investigare non quanto nella contingenza dell’amministrazione della società viene compiuto, ma di quelli che debbono invece essere i criterj politici, che determinano modificazioni buone o malvagie allo stato sociale. Infatti, è compito della Politica considerare tutto quanto porta la società ad un legittimo fine o nella direzione contraria. Un’analisi che non si limita ad indicare una prospettiva, ma a valutare e tener conto anche di quanto possa o no determinare un esito negativo. Quei criterj politici “ non sono che altrettante regole secondo le quali egli è uopo misurare il valore o positivo o negativo di tutte le forse che impellono e muovono la società civile” Anche quando Rosmini si impegnò in prima persona per le vicende dell’Unità d’Italia, egli lo fece con un grande disegno operativo, tanto che lo stesso progetto per uno Statuto per lo Stato Pontificio non propendeva né per l’anticostituzionalismo dei tradizionalisti, né per il modello “alla francese”, ma si inverava nel particolare dello Stato pontificio, scindendo il problema degli affari civili da quelli spirituali, in conformità a quanto detto già ne Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, particolarmente la Quarta. Nella prospettiva di impegno politico diretto non viene mai dimenticato il progetto del fine autentico della società e dello Stato, che è quello morale. [2]

In questa prospettiva mi sembra opportuno fare un’ulteriore considerazione preliminare. Il Filosofo non dimentica mai che egli coniuga il suo pensiero con la sua fede e in questa direzione la politica non è una parte a sé stante, ma è costantemente connessa con il più vasto problema del vero, cioè l’indagine intorno all’esstrere, alla morale, ovvero la riflessione sulle possibili azioni orientate al bene di cui la politica è parte e il tutto nella Carità. Lo scopo, il fine della politica, come per la dimensione morale, deve essere il bene ed i mezzi per raggiungerlo altrettanto. Così per la politica, il fine deve essere per il bene comune, ottenuto anche attraverso la finalità del diritto, cioè la giustizia, ma anche i mezzi debbono essere giusti e ordinati al bene comune. Ambedue politica e diritto non sono che espressioni nella realtà del consorzio umano, dello Stato di quel Bene che la morale indica. Con chiarezza ciò viene precisato da Rosmini: ”se l’uomo s’inganna circa il bene di cui va in cerca, e invece di trovare un bene reale, trova un vero male, la sua azione è perduta per lui, ella non ha verun prezzo, ovvero ha un prezzo negativo. Si applichi questo concetto alla società. Se questa non conduce gli uomini al bene, a un bene, vero e reale; e se in quella vece sott’apparenza di bene li travolge ed inganna facendoli riuscire all’acquisto di ciò che è veramente un male; ella si rende loro inutile e dannosa: tradisce il suo fine naturale e necessario: la società non ha più alcun prezzo o ne ha solamente uno negativo.”[3] Bene reale e necessario per il fine della società e concorde a questo i mezzi per raggiungerlo.[4] Reale e necessario per tutti e non per una parte della società, né per una singola persona individua. Il bene è per tutti e in questo ogni persona-individua si riconosce, perché egli è, per utilizzare un pensiero di Rosmini, il diritto sussistente,[5] che non dipende dalla volontà della persona “bensì nel senso che esso trova il proprio fondamento nella natura della persona umana che, per l’individuo è norma soggettiva e oggettiva ad un tempo: soggettiva perché la normatività richiede come condicio sine qua non la libertà del soggetto o, se si vuole, il soggetto semplicemente; oggettiva, perché la norma non dipende dalla volontà del soggetto (in questo caso essa non sarebbe regola per il soggetto ma regola del soggetto, ma dalla sua essenza che è un « dato» per lui e per chiunque sia chiamato a regolamentare il suo agire o, comunque, a intervenire su esso.”[6] Si tratta del delicato problema della libertà che trova sua espressione nel diritto, ma fondamento nella politica e questa nella morale.[7]

Ma, tutto ciò sarebbe solamente nell’orizzonte umano e quando riflettiamo su Rosmini, non possiamo dimenticare che la sua filosofia è sì un’indagine a livello razionale, ma nella prospettiva della carità.[8] Non deve esserci preoccupazione alcuna per i filosofi se colgono questo aspetto, esso appartiene al pensatore e il pensatore lo traduce anche nell’Istituto di Carità da lui fondato. In questo modo, infatti, la carità diviene carità intellettuale[9] ovvero dalla fondamentale sapienza cristiana arriva ad un’organica visione della dottrina filosofica. Questa è elaborata a sé, ma si avvale anche della Rivelazione, che è fondativa e riferimento non casuale o inconsapevole, tanto che essa è da considerarsi come percezione intellettiva e regolativa del pensiero stesso e quindi anche della stessa politica, perché una cosa è mescolare indistintamente il sacro con il mondano/temporale e altro è affermare che la regolatività del sacro sul mondano/temporale.

 

  1. Consorzio umano e politica

 

Abbiamo riferito che senza una precisa analisi dell’essere umano e del consorzio umano non è possibile comprendere l’analisi della politica.

L’essere umano, non è considerato da Rosmini ristretto nella sua dimensione terrena. Si tratta di superare le visioni della filosofia sensista e positivista, che fa dipendere l’essere dell’uomo dal suo essere terreno, perché l’uomo è l’unico essere/ soggetto intellettivo e volitivo,[10] una realtà-essere- spirituale, capace di intuire l’Essere indeterminato, ovvero Dio. Proprio l’apertura all’infinito dell’uomo è la sua principale caratteristica, che egli deve costantemente tener presente e insieme a ciò la sua libertà, ossia la capacità volitiva per il bene[11]. In questa direzione quindi è il bene che sorregge la direzione delle azioni, in quanto inteso come vero. Ciò consente all’uomo una capacità di relazione:” L’uomo ha de’ rapporti colle cose e colle persone. I rapporti appartengono all’ordine ideale. Ma oltre a’ rapporti, l’uomo stringe altresì tanto colle cose che lo circondano, quanto colle persone de’ vincoli affettiva i quali appartengono all’ordine delle realtà. I rapporti, necessari, immutabili, costituiscono altrettante leggi, che debbono essere dall’uomo rispettate. I vincoli non sono che de’ fatti, i quali o si trovano conformi alle leggi, o dalle leggi difformi: ovvero sono arbitrari, cioè né positivamente voluti, né positivamente proibiti dalle leggi. […] Le cose hanno verso l’uomo il rapporto di mezzo, e le persone hanno verso l’uomo il rapporto di fine.”[12]. Attraverso il fine l’uomo stabilisce relazioni umane, ovvero stabilisce i consorzi umani, che sono nell’ordine: la Chiesa, la famiglia, lo Stato.[13]

Per ogni consorzio è da stabilire il fine, affinché i mezzi siano in relazione e proporzionati al fine medesimo. Si tratta quindi del bene dell’uomo e per l’uomo e deve essere tale sia per la persona individua sia per l’insieme, cioè il popolo. Questo bene è intrinseco e oggettivo: il bene comune, infatti, è il bene di ogni uomo in quanto uomo e, perciò comune a tutti gli uomini. Non è frutto di un dato momento storico, seppur nella storia se ne vedano gli effetti. Il bene comune, cioè di tutta l’umanità non è legato né alle etnie, né alle minoranze o alle ricchezze, perché “la salute dunque della società in ultima analisi si dee cercare nella probità e nella virtù morale degli individui che la compongono. Ecco l’unica vera e stabile guarentigia della sua utilità ed esistenza. Diciamolo di nuovo: nel privato si dee cercare il pubblico bene; nella giustizia dell’individuo si dee cercar quella della società; nel fondo del cuore umano si dee porre la prima pietra dell’edificio sociale: questa pietra si è la virtù.”[14]

 

  1. Il fine della politica

 

E’ quindi in primo luogo necessario nella riflessione politica indagare su quale sia il fine legittimo per il quale una società civile esiste, ovvero viene costituita, dato che è il consorzio umano a costituire uno Stato e non viceversa: “La società di cui prendiamo ad oggetto de’nostri ragionamenti si è la civile. Questa non è che una società speciale. Tuttavia troppo sovente la società civile si confonde colla società umana, o col’universale socievolezza, ovvero colla società presa genericamente ed in astratto.”[15]

In secondo luogo si deve conoscere la natura della società; in terzo luogo si debbono calcolare, afferma Rosmini, le forze che sono atte a muovere la società e che appartengono o alla natura delle cose o all’arte e di queste quali si possano utilizzare per il legittimo fine e quali no.

Infine vanno analizzate le leggi del movimento o progresso sociale che non possono contraddire alle leggi naturali secondo le quali una società si muove.

Si può in questo modo costituire quella logica politica, fondata su principi universali e immutabili che non sono costituiti ad arbitrio degli uomini, secondo le sole circostanze di tempo e di luogo, ma hanno a loro riferimento la società umana nella sua naturale costituzione e l’Essere.

Ciò però è pensato dal filosofo roveretano non in una velleitaria considerazione, né in uno studio di prospettiva, che indichi che cosa dovrà essere la società civile, ma in un’analisi che, individuando il fine: ” procacciarsi qualche bene”, sia consapevole che una società non è la somma di unità a sé stanti, ma di persone, che “associate non formano dunque tutte insieme che una persona morale: il bene che colla società si procaccia, e che è il fine della società stessa, è bene di questa persona morale, della quale le persone individue non sono che parti. Dunque ciascuna delle persone associate, per la natura stessa della società, desidera il bene di tutte; perocchè ciascuna desidera il fine sociale, che è comune a tutte. Questo desiderio che ciascun membro ha del bene di tutto il corpo, è ciò che noi chiamiamo benevolenza sociale.[16]

Non si riflette per Rosmini nella dimensione della Politica, considerando una possibile e magari fantasiosa delineazione di un futuro politico, -egli è immune da utopismi – retto, come proprio ai suoi tempi si andava affacciando, dal solo benessere materiale, ma, considerando l’uomo capace di sviluppare nelle persone associate al fine morale, il bene, esaminando anche nel contempo ciò che, pur presente, non contribuisce a questo fine o magari distoglie e determina condizioni malvagie di essere della società.[17] Infatti, non si può proporre una via diversa; anche qui non possiamo però mai dimenticare che Antonio Rosmini sviluppa la sua riflessione nella prospettiva cristiana e dell’impegno anche negli Istituti di perfezione da lui fondati,[18]  tanto che la riflessione filosofica come quella politica sono al servizio di Dio, Qui Charitas est et Ea  urget nos.

La morale quindi e non la politica, il diritto e l’economia sono i referenti della persona e delle persone associate. I mezzi e i vincoli, ossia le relazioni che costituiscono i rapporti ideali tra le persone debbono essere adeguati, ovvero non sono nell’arbitrio della soggettività, ma si inseriscono nel problema del Bene più ampio. In questa direzione quindi la considerazione che la società umana tenda al vero bene, appare come fondamentale e proprio lo sforzo di ciò appare fondamentale. Non si tratta di pretendere la perfezione in ciò, ma la tensione.[19]’. Infatti “L’Antropologia dimostra che tutte le potenze dell’uomo, e gli appetiti che le accompagnano, si riducono ultimamente in due classi, cioè in potenze soggettive e in potenze oggettive, in appetito di beni soggettivi e in appetito di bene oggettivo”.[20] I primi dilettano, ma deve essere il diletto morale, i secondi sono per il bene che anch’esso richiede approvazione morale, dato che vengono svolgendosi secondo una capacità intellettiva che deve essere riconosciuta.

. Possiamo quindi con Rosmini affermare che il fondamento per tutte le azioni umane è la morale, perché è il suo fine che informa, dirige e regola. In questa prospettiva è coinvolta prima di tutto la capacità della persona, cioè la sua libertà di assumere la visione morale come elemento fondativo, stile di vita si potrebbe chiamare, perché il fine delle azioni è anche il suo presupposto, e questo è il Bene. La via della società umana è quella delle persone che la compongono, di tutte le persone,[21] e dalla tensione comune verso il fine proprio di una società secondo il suo necessario ordine e nella capacità di accordare l’atto intellettivo della volontà con entità ideali e reali delle cose.[22] Non a caso, obiettando al Romagnosi a proposito del rapporto tra equilibrio delle vite umane con i mezzi di sussistenza, Rosmini, ricorda che non è l’umana giustizia il Regno di Dio in terra, ma una prospettiva morale che il filosofo indica nel celibato cristiano, “ cioè una continenza spontanea, santa, beata a quanti l’esercitano, a loro più cara d’ogni tesoro…”[23] Ricordo questa indicazione del Filosofo per riaffermare il principio che è la prospettiva morale, non quella giuridica o dell’utile a fondamento della società che si costituisce in Stato. Ciò è riaffermato anche nel testo, spesso dimenticato, La Costituzione secondo la giustizia sociale,[24] che riprende i temi del saggio Della naturale Costituzione della società civile del 1827, invitando gli Italiani, ad avviare la stesura di una Costituzione, ricordava che gli Stati non nascono quando non c’è “un disegno premeditato”, quando si rappezza e rattoppa “incessantemente secondo il contrasto delle forze sociali e l’urgenza degli’istinti e de’ bisogni popolari”,[25]  “voler sottomettere il fatto alla ragione, la pratica alla teoria fu un generoso pensiero: nulla è più sublime d’una vera e compiuta teoria; essa è cosa eterna e divina, e il fatto temporale ed umano vi si dee uniformare: la natura dell’essere intelligente – la persona – la dignità dell’uomo lo richiede.”[26]

Il centro è la persona-individua e la sua libertà come creatura di Dio al quale per natura essa tende. Dio è il riferimento, nella società civile; non si può, come fecero le Costituzioni francesi, “abbandonare la religione alla mercé degli interessi politici”, che spogliano la Chiesa della sua libertà, che è la più preziosa di tutte le libertà del popolo”. [27] Infatti “ tutti i diritti degli uomini si riducono a due gruppi, al gruppo di quelli che si raccolgono sotto il nome di libertà, e sono il libero onesto esercizio di tutte le facoltà, e al gruppo di quelli che si raccolgono sotto il nome di proprietà.”[28] Ciò stabilisce che il Governo debba occuparsi di giustizia e utilità e non di prescrivere, ad esempio “il dovere vago della beneficenza – oggi solidarietà -; “questo che non può essere intimato se non al cuore, non può venire che da Dio: il modo e l’estensione ond’egli si deve eseguire. E’ necessario che venga anch’esso determinato nel fondo di ciascun cuore, dove quel dovere segretamente si promulga, e dove può trovarsi un tribunale competente a portarne giudizio.”[29]

Sempre e costantemente quando Rosmini riflette sulla società e il suo fine, sempre è affermato il principio che è la capacità di discernimento della Verità e la libertà della persona-individua a consentire il raggiungimento del fine della società, che non è quello di accrescere i bisogni sopra i mezzi di soddisfarli generano passioni e promuovono la negazione della prospettiva morale che invece una società deve prospettare e dove i beni temporali, insegnò il Cristianesimo, non debbono essere considerati “ come fine, ma come semplici mezzi al suo fine”.[30] Da un lato quindi la persona e la sua libertà nella ricerca del fine ultimo come persona, e contemporaneamente là dove la sua vita si svolge, prima di tutto nella famiglia, come unione di persone tese al medesimo bene e dipoi nella società e nello Stato, dove la Costituzione deve reggersi su pochi principi, su leggi uguali,[31] e dove l’unità non sia mai a discapito delle persone e della loro importanza in quanto tali. Il fine di una società che deve essere verso la perfezione morale, consapevole dei limiti dettati dalla condizione umana, dalle diversità. Ne è esempio la considerazione intorno al problema risorgimentale: “L’Unità nella varietà è la definizione della bellezza. Ora la bellezza è per l’Italia. Unità la più stretta possibile in una sua naturale varietà: tale sembra dover essere la formula della organizzazione italiana”[32] è sempre quello morale perché le parti – le persone – concorrono insieme all’armonia possibile, armonia nel realizzare il Bene, che è anche appagamento dell’animo che il governo deve promuovere come dovere morale, che è “ quello di non mettere ai membri della società alcun ostacolo al conseguimento della propria virtù e del proprio morale appagamento.”

La società organizzata quindi promuove il bene di ogni persona, perché non è nei beni materiali che possiamo individuare l’autentico bene e fine di una società,[33] ma altrettanto negativo è quel governo che non promuovesse il bene morale come proprio fine e che tendesse a impedire a ciascun individuo- persona l’autentico e naturale fine dell’uomo cioè il Bene come affermazione della carità.

Anche nell’elaborazione del governo di una società Rosmini si preoccupa prima di tutto del Bene, della persona e del fine che tutte le persone riunite in un umano consorzio debbono perseguire. Ciò non per privilegiare la dimensione della politica, ma per riaffermare che questa è sempre al servizio del fine morale.

La decadenza dello Stato è ben individuata da Rosmini e deriva dalla politica che “nacque – nasce oso dire – da una filosofia materiale e del tutto immorale. Questa politica distrusse l’antico principio che « il governo non può fare nulla di ciò che è contrario alla giustizia» e ad un sì alto e liberale principio, il quale di sua natura impedisce ogni arbitrio governativo, sostituì questo nuovo, che è la formola di un dispotismo estremo, quale fino a’nostri giorni fu inaudito sopra la terra: « il governo può fare tutto quello che crede utile alla società, e quello che fa per questo fine, qualunque cosa egli sia, è giusto appunto perché è utile.» All’antica politica dunque della giustizia fu sostituita la politica nuova dell’utilità pubblica.”[34] In questo A. Rosmini chiarisce che lo Stato non è una semplice organizzazione, un utile strumento, ma è anch’esso per permettere il conseguimento di una perfezione morale, giacché il fine delle azioni umane non può che essere, ribadisco con il filosofo, morale.[35]

Conclusione

“E detto questo, è tempo di chiudere il nostro breve” esporre” E lo chiuderò, ripetendo con Rosmini, “che lo stesso governo della divina provvidenza non seguita da altra norma da quella, che noi abbiamo accennata essere il principio supremo degli umani governi, la norma dico del tener salda la sostanza, lasciando andare gli accidenti. Conviene, a vederlo, gittare profondo uno sguardo per entro la divina provvidenza circa il genere umano.”[36]

Per la Politica è  quindi necessario conoscere e indagare sui principi necessari e lasciare l’accidentale che ”dà luogo a perpetua illusione, a incessante menzogna, a continua incertezza, a indeterminabile distruzione.” Infatti “ nell’universo intiero non vi sono che due entità, l’una ministra di suprema misericordia, l’altra ministra di suprema giustizia. Tale intenzione divina nel creare, nel mantenere, nel governare le cose risplende ovunque, e dimostra e insegna qual sia il principio di ogni governazione.” Tanto che il filosofo afferma “ i principi del cristianesimo non esser altro che le leggi del mondo divinizzate.”[37]

Da questi discendono i principi per la società civile e lo Stato e il fine speciale cui tende, ossia “ ogni società, di qualsiasi forma e natura, conviene che tenda ultimamente al vero bene umano, tanto è richiesto dall’essenza della società: senza di ciò mancherebbe il fine essenziale di qualsivoglia associamento; questo sarebbe nullo di diritto e di fatto.[38]

In questa prospettiva è lecito parlare di una necessità di razionalità della politica che è la scoperta della sua natura e del suo fine, ossia realizzazione di quella natura razionale che è propria dell’uomo, senza per questo nascondere quanto di difficile, di male possa anche esserci nelle azioni dell’uomo.[39] Proprio nella politica, infatti, non parliamo mai di male, come se esso nel consorzio umano non esistesse, anzi fosse morto,[40] e nullificato dal preteso superamento della morale, determinato dalla nascita di una visione dapprima individualista e successivamente singolarista delle azioni, tanto che l’arbitro del bene e del male, in realtà di quello che voglio, è unicamente il singolo.

Non stupisca che l’esito sia quello della richiesta di determinazioni di diritti, senza tener conto mai che il diritto stesso non è autonomo, ma dipende dalla dimensione del bene, perché la giustizia non può essere contraria al bonum e al verum, ne discende semmai.[41] Un uomo, meglio un singolo, liberato dalla morale può ancora partecipare autenticamente ad una società, ad uno Stato, però egli penserà al consorzio umano, allo Stato come il luogo di appagamento del proprio utile, si appagherà e sarà appagato dallo Stato solo e soltanto quando questo esaudirà il volere che il singolo chiede e pretende sia legge: quod mihi placuit lex debet esse. Ciò non significa che il diritto coincida con l’etica, né che ad essa competa la determinazione particolare della politica e del diritto, ma che esse non mettano tra parentesi le esigenze dell’umano vivere secondo il Bene, ossia del “fare bene quello che di bene c’è da fare”[42] in ogni campo delle attività dell’uomo, con particolare riguardo proprio alla vita comune e alle leggi che la regolano.[43]

Da ciò possiamo infine ricavare che il consorzio umano non è figlio della sola storia umana, che la politica non è l’arte di governare, ma semmai questa dipende dalla visione di principi e fine della politica.  Infatti, ad esempio, “ l’uso del diritto che hanno gli individui di usare mezzi migliori alla virtù e al proprio morale appagamento, non possa essere ristretto dal governo a nessuno, se non a chi abusa del medesimo uscendo da’suoi confini a pregiudizio del diritto altrui”.[44]  Ma questo è possibile se ogni persona non distrugge le fonti stesse della giustizia e dei diritti, in modo che si realizzi quella felicità pubblica, frutto di una coscienza eudemonologica in sintonia con la morale e non come calcolo del proprio interesse, non come sottomissione a determinazioni dei governi contro il fondamento e il fine morale, ma come possibilità di bene vivere, pur nella coscienza che l’umano consorzio non può essere in sé perfetto. Ciò sarà possibile “Quando si cesserà dunque di andar cercando la felicità, quasi direi colla lanterna pei fori, pe’ teatri, alle banche mercantili, su’ campi di battagli insanguinati, più tosto che nel fondo dell’animo dell’uomo dove solo ella si ritrova”.[45]  A questo dialogo interiore con se stessi e con l’autentica comunità degli uomini si richiama Antonio Rosmini, la sua non è una soluzione di amministrazione del consorzio umano, quanto piuttosto l’indicazione del fine verso cui i mezzi si dirigono, tanto che essi non possono che essere in sintonia con il fine che perseguono.

La distruzione della politica come autentica elaborazione del fine morale che essa, in sintonia con la morale, deve perseguire, ha dapprima condotto alla machiavellica sospensione di giudizio etico in politica e poi nella riduzione di questa all’utile, nelle prospettive di una visione nella quale il consorzio umano esiste solo per la soddisfazione dei bisogni materiali e finisce nella “solitudine dell’uomo, senza nemmeno più diritto.[46] La società non può essere trattata alla stregua di quella commerciale; lo statista non è un amministratore delegato. Il fine di quest’ultimo è il maggior guadagno, non la soddisfazione e la felicità dei soci, mentre il fine di un uomo, che si occupa della società è la risposta a tutto quanto interessa all’uomo, tanto che egli non s’adopera per gli individui o i gruppi (partiti), ma per l’intiero. Lo Stato è al servizio dell’uomo, non viceversa. Per cui valga il principio fondamentale: la persona è il diritto stesso sussistente; al centro della città c’è la persona, non astratta, ma concreta. Per cui l’umanità fa la politica e impedisce che l’egoismo prevalga. La stessa ricchezza autentica dei popoli e degli Stati non sta tanto nelle risorse delle ricchezze materiali, ma nelle risorse delle persone, della loro intelligenza, della loro volontà razionale al bene e anche nella loro fantasia nel determinare le possibili fonti di benessere e di bene. Questa è la prospettiva, perché non dobbiamo mai dimenticare che A. Rosmini, la sua filosofia e in particolare la riflessione sulla Politica non hanno a fondamento della propria vita e della propria opera che il Cristianesimo, la cultura e la civiltà che da esso sono nate.

 

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[1] A. Rosmini, La società è il suo fine, in Id. Opere, Napoli, 1842, p. 47; cfr. G. Camparini, A. Rosmini, il fine della società e dello Stato, Roma, Ed. Studium, 1988.

[2]  Cfr. A. Rosmini, Della missione a Roma di A. Rosmini, a cura di L. Malusa, Stresa, Edizioni Rosminiane, 1998 e cfr. Aa. Vv., Rosmini e Roma, a cura di L. Malusa e P. De Lucia, Stresa, Edizioni Rosminiane Sodalitas, 2000 e F. Traniello, Società religiosa e società civile in Rosmini, Brescia, Morcelliana, 1997, part. pp. 281- 291.

[3] A. Rosmini, La società è il suo fine, op. cit. p. 94.

[4] Non vi potrebbe essere una legge che sia ingiusta come ad esempio la legge della Repubblica Italiana sull’aborto, la 194/78.

[5] A. Rosmini, Filosofia del diritto, in ID, Opere, a cura di R. Orecchia, Padova, Cedam, 1967, p. 192.

[6] D. Castellano, L’ordine politico-giuridico «modulare» del personalismo contemporaneo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007, p.135.

[7]  Certo ciò è antitetico rispetto alla prospettiva del positivismo giuridico, dove il diritto, soprattutto quando è rivisitato alla luce della filosofia analitica, è “essenzialmente linguaggio prescrittivo, senza fondamento ontologico” divenendo così strumento dell’ideologia dominante.  M. Bettiol, Metafisica debole e razionalismo politico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, p.75.

[8]  E’ la consapevolezza che “nessun sapere, nessuna filosofia è concepibile, senza la confessione: io credo.” C.G. v. Loewenstein, Primi elementi d’un sistema di filosofia cristiana. Presentazione di A. Rosmini, Novara, G. Miglio, 1847.

[9]  Ben precisato è ciò nelle Costituzioni dell’Istituto di Carità, n.799: “Poiché la carità è via alla verità e sua pienezza, la Società che prende il nome dalla carità deve custodire in modo preclaro, contemplare e indagare la verità, ed essere ottima ed instancabile promotrice della cognizione della verità fra gli uomini. Di qui deriva il genere di carità che abbiamo chiamato intellettuale, il quale tende immediatamente a illuminare e arricchire di cognizioni l’intelletto umano.” Cfr. M.A. Raschini, Rosmini, pensatore europeo, Milano, Jaca Book, 1989.

[10] In questo Rosmini tiene certo presente la tradizione scolastica di san Tommaso che sosteneva l’essere razionale dell’uomo la differenza costitutiva di quest’essere stesso rispetto agli altri, e ciò anche in relazione a quanto Aristotele sosteneva nella Politica. Cfr. S. Tommaso, Summa Theologiae, I, q.76, a.3 e Aristotele, Politica, I, 123 a.

[11] L’uomo fu creato capace di libertà, non come determinazione psicologica basata sulla facoltà di appetizione sensibile, che può variare a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, ma appetizione intellettiva ovvero capacità di intendere quale sia il fine buono delle azioni. La libertà esprime la sovranità dell’uomo su se stesso, il più gran dono che Dio fece all’uomo, ricorda Dante (Paradiso, 5-19). Fu un dono che l’uomo usò per il male, perché, non esercitando la capacità intellettiva in relazione alla volontà, pose come equivalenti bene e male. Nella Teodicea (Napoli, C. Batelli e C., 1847, 363, pp. 150-151, citazione tratta dal testo di P. Piovani, La teodicea sociale di Rosmini, op. cit., pp. 25-26), così si esprime il filosofo: ” La bontà divina in verso all’uomo non potea essere somma, se non l’avesse lasciato libero al bene e al male; ed anzi se non gli avesse lasciato la maggior quantità possibile di libertà d’indifferenza; giacché, ove non manchino le altre condizioni del merito, questo è più grande, quant’è maggiore nell’uomo la libertà. Dunque non convenia, in generale parlando, che Iddio, movendo al bene l’uomo, diminuisse la sua libertà togliendole o diminuendone l’indifferenza.”

[12]A. Rosmini, La società è il suo fine op. cit., p. 53

[13] In breve: la Chiesa ha come fine il Bene nel senso più ampio cioè Dio, la famiglia i beni della natura umana, sapendoli connettere con il Bene più ampio, infine il consorzio umano che realizza lo Stato è nel fine di realizzare la naturale socievolezza, unione di famiglie, e di regolare convenientemente i loro diritti. I singoli cittadini sono garantiti per il vantaggio di tutti, ma ciò sempre in relazione al fine, ossia il bene morale e quindi questo al Bene più ampio, ossia Dio.

[14] A. Rosmini, La società è il suo fine op. cit. p., 124 e cfr. D. Castellano, Dalla comunità al comunitarismo, in “Instaurare omnia in Christo” 27 (2008), n.1. pp.5.6.

[15] A. Rosmini, La società è il suo fine op. cit. p.49.

[16] A. Rosmini, La società è il suo fine, op. cit., p.54.

[17] Cfr. il mio La proprietà non è un furto, op. cit. Anche da quest’angolo prospettico Rosmini mostra chiaramente che non possa mai venir assolutizzata una parte o una riduzione ad una parte. Infatti, se si riduce l’uomo ad una visione parziale, quella dei beni materiali, egli non può esprimere al meglio né il suo fine personale né quello della società che si organizza. Per il filosofo di Rovereto il tema della proprietà è discussione sul fine morale della persona e della società stessa e non della proprietà in quanto tale, come ad esempio il marxismo o il positivismo. Se la proprietà viene assunta come finalità, o se essa è il presupposto di una società, allora solo un potere assoluto potrà eliminare gli eventuali conflitti e questa eliminazione porterà con sé inevitabilmente la nascita di un regime, che varia nei tempi, ma che ha una sola prospettiva, quella del dominio.

[18] U. Muratore, Un fondatore filosofo,”Charitas” 82 (2008), n.5, p.132-134.

[19] E’ ben nota la posizione di Rosmini sul perfettismo e sulla sua negatività, che conduce alla dimensione totalitaria diremo oggi.

[20] A. Rosmini, La società è il suo fine op. cit. p. 95

[21]  In questo si deve intendere che non è “persona” unicamente l’essere capace di intendere e volere, perché questa appare riduttiva rispetto a persone come il neonato o il feto o la persona con disabilità o che è in coma o che dorme. L’actus essendi della persona non si riduce ad una comprensione intellettuale, ma è appartenenza all’essere.

[22] A. Rosmini, Storia comparativa e critica de’ sistemi intorno al principio della morale, Milano, Pogliani, 1838, p. 279.

[23] A. Rosmini, Della sommaria cagione per la quale stanno o rovinano le umane società, Milano, Pogliani, 1837, p.25.

[24] A. Rosmini, La Costituzione secondo la giustizia sociale, op. cit.

[25] La Costituzione secondo la giustizia sociale, op., cit., Ivi, p, 3.

[26] Ibidem

[27] Ivi, p.5.

[28] Ibidem

[29]A. Rosmini, La società è il suo fine, op. cit., p. 115 e ID, Storia comparativa e critica de’ sistemi intorno al principio della morale, Milano, Pogliani, 1837, p. 279. Apparirebbe non del tutto “rossiniano” il secondo articolo della Costituzione della Repubblica Italiana che prescrive il dovere inderogabile della solidarietà politica sociale ed economica.

[30] A. Rosmini, La società e il suo fine, op. cit. p. 196.

[31]  A. Rosmini, La Costituzione secondo la giustizia sociale, Napoli, Batelli, 1848, op., cit., p.7: ” art. 2 I diritti di natura e di ragione son o inviolabili per ogni uomo”

[32] A. Rosmini, Appendice: Sull’unità d’Italia, in ID, La Costituzione secondo la giustizia, op. cit., p.65.

[33] A. Rosmini, La società e il suo fine, op. cit. p. 196: ” Finché gli uomini pretendono di trovare il proprio fine ne’ beni terreni, essi cercano in essi ciò che non vi posson trovare, perché non vi è, onde con vana e disperata fatica si spossano e vengon meno.”

[34] A. Rosmini, La società è il suo fine op. cit., p. 113; cfr. D. Antiseri, Rosmini, l’antiautoritario, “Avvenire”, 1 nov. 2007.

[35] Ne è prova la visione che Rosmini ebbe della proprietà, che non dipende da quanto lo Stato può stabilire, perché se si ritiene che lo Stato sia il datore della possibilità legale della proprietà, allora il diritto prevarica la libertà della persona che può servirsi della proprietà per il fine morale che egli stesso indica a sé in relazione alla più vasta comunità delle altre persone. Cfr. il mio, La proprietà non è un furto. A. Rosmini: la persona, la proprietà, e lo Stato, Roma, Luiss-Working Paper, 1998 il cap. IV La giustificazione della proprietà, in. P. Piovani, La teodicea sociale di Rosmini, op. cit., pp. 169- 237 e A. Mingardi, A Sphere Around the Person: A. Rosmini on Property, in “ Journal of Markets &Morality” / (2004), n.1, pp.63-97.

[36] A. Rosmini, Della sommaria cagione per la quale stanno o rovinano le umane società, op. cit., pp.72-73 e p. 74.

[37]  Ibidem

[38] A. Rosmini, La società è il suo fine op. cit., p. 94.

[39] D. Castellano, La razionalità della politica, Napoli, Ed. Scientifiche Italiane, 1993, pp.21-23.

[40] Cfr. il mio Il male è morto! Per ripensare alla morale. In Aa.Vv., Mysterium iniquitatis. Il problema del male, a cura di G.L. Brena, Padova, Gregoriana, 2000, pp.331-344.

[41] Cfr. L. Bulferetti, A. Rosmini nella Restaurazione, Firenze, F, Le Monnier, 1942, p. 211: ”La «forma della giustizia », «come forma della verità», non racchiudendo alcun individuo, può essere conosciuta con un lavorio di astrazione, cogliendo il comune in più giudizi, i quali, per formarsi, abbisognano di esso.”

[42] L’espressione è del Beato Luigi Monza, presbitero ambrosiano e fondatore de Le piccole Apostole della carità e de La Nostra Famiglia, che si preoccupa della riabilitazione, secondo una prospettiva di presa in carico globale delle persone con disabilità, secondo metodi e procedimenti scientifici, non disgiungendoli dalla visione cristiana e dell’intero sociale.

[43] Ben sviluppato è stato da P. Piovani il tema della teodicea e società in Rosmini nel volume La teodicea sociale di Rosmini, op. cit., 1997, pp.1- 49, soprattutto in relazione al fatto che bene e male nella società assumono non una valenza quantitativa, quanto qualitativa.

[44]  Ivi, p.111.

[45] Ivi, p.115.

[46] E’ la posizione che spesso non è ricordata, quella di M. Striner, L’unico e la sua proprietà, Milano, Casa Editrice Sociale, 1922, p. 431 e 445: “La Verità è il libero pensiero, l’idea libera, lo spirito libero; la verità è ciò che è libero in rapporto a te; quello che non appartiene a te e che non è in tuo potere” e conclude: “Io sono il proprietario della mia potenza; e tale divento appunto nel momento stesso in cui acquisto la coscienza di sentirmi Unico. Nell’Unico, il possessore ritorna nel Nulla creatore dal quale è uscito. Qualunque essere superiore a me, sia esso Dio o Uomo, deve inchinarsi davanti al sentimento della mia unicità, e impallidire al solo di questa mia coscienza. Se io ripongo la mia causa in me stesso, l’Unico, esso riposa nel suo creatore effimero e perituro che da se stesso si consuma; quindi potrò veramente dire: – Io ho riposto la mia causa nel nulla”. Ne segue che il singolo è l’unico elemento esistente e lui decide ciò che vuole e quindi non vi è la possibilità di un diritto sopra di lui. Il diritto è morto e con lui la giustizia.  Cfr. il mio La solitudine dell’uomo e la fine della possibilità del diritto, in Retoriche della devianza: criminali, fuorilegge e deviati nella storia, Acta Histriae, 15 (2007) vol. I, pp. 87 -102.

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Italo Francesco Baldo
Italo Francesco Baldo nato a Rovereto, residente a Vicenza è stato ordinario di Storia e Filosofia nel Liceo Classico "A.Pigafetta" di Vicenza.Si è laureato con una tesi su Kant all’Università di Padova, ha collaborato con l'Istituto di Storia della Filosofia dell’Università di Padova, interessandosi all’umanesimo, alla filosofia kantiana, alla storiografia filosofica del Settecento e alla letteratura vicentina in particolare Giacomo Zanella e Antonio Fogazzaro Nel 1981 i suoi lavoro sono stati oggetto " di particolare menzione" nel Concorso al Premio del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali per il 1981 cfr. Rendiconto delle Adunanze solenni Accademia dei Lincei vol. VIII, fasc.5. ha collaborato con Il Giornale di Vicenza, L’Arena, Il Tempo, La Domenica di Vicenza e Vicenzapiù Tra le diverse pubblicazioni ricordiamo La manualistica dopo Brucker, in Il secondo illuminismo e l'età kantiana, vol. III, Tomo II della Storia delle storie generali della filosofia, Antenore, Padova 1988, pp. 625-670. I. KANT, Primi principi metafisici della scienza della natura, Piovan Ed., Abano T. (Pd) 1989. Modelli di ragionamento, Roma, Aracne Erasmo Da Rotterdam, Pace e guerra, Salerno Editrice, Roma 2004 Lettere di un’amicizia, Vicenza, Editrice Veneta, 2011 "Dal fragor del Chiampo al cheto Astichello", Editrice Veneta, 2017 Introduzione a A. Fogazzaro, Saggio di protesta del veneto contro la pace di Villafranca, Vicenza, Editrice Veneta, 2011. Niccolò Cusano, De Pulchritudine, Vicenza, Editrice Veneta 2012. Testimoniare la croce. Introduzione a S. Edith Stein, Vicenza, Il Sileno, 2013.