Artemisia Gentileschi: la fenice seicentesca trasforma la sua vita distrutta dall’ignobile violenza subita ed emerge come donna e come pittrice

758
Artemisia Gentileschi, autoritratto come allegoria della pittura
Artemisia Gentileschi, autoritratto come allegoria della pittura fonte

La fenice, creatura mitologica che rinasce dalle sue ceneri, viene spesso accostata all’immagine della donna. Una donna che affrontato l’inverosimile, si rialza più forte di prima. Una donna che è libera dal peso sociale che gravava su di lei e diventa padrona della propria vita. Artemisia Gentileschi, grande pittrice del 1600 è la perfetta incarnazione di questo essere mitologico. Trasforma infatti la sua vita, apparentemente distrutta dall’ignobile violenza subita, in una fiorente carriera ed emerge sia come donna che come pittrice. 

Artemisia Gentileschi, Ester e Assuero
Artemisia Gentileschi, Ester e Assuero – fonte

Nata nel 1593 a Roma, culla delle belle arti, Artemisia è figlia di Orazio Gentileschi, noto pittore. Sin da bambina cresce, quindi, tra tele e pennelli dimostrando subito il suo talento e diventa una pittrice in un mondo di soli pittori. Un mondo che tenta, però, troppo presto di trascinarla nel baratro, rendendola vittima di una terribile violenza, sia fisica che psicologica. Agostino Tassi, artista con cui collabora il padre della ragazza, è il carnefice della terribile vicenda. La sua reputazione non è delle migliori però Orazio Gentileschi, che esegue con lui anche alcuni lavori e non si ferma ai pregiudizi, crede sia la persona giusta per insegnare a sua figlia la tecnica della prospettiva.

Iniziano così gli incontri tra i due, durante i quali Tassi si “espone” in modo esplicito nei confronti della giovane pittrice ma lei lo respinge. Nonostante il suo rifiuto, lui insiste finché raggiunge il suo obbiettivo violentando Artemisia. La ragazza subisce, così, un trauma fisico e psicologico che si ripercuote sia in ambito professionale che personale. Poiché nel ‘600 lo stupro è considerato un’offesa più a livello sociale piuttosto che un danno alla persona fisica, Tassi le promette di sposarla, così da sistemare la questione con un matrimonio riparatore. Artemisia continua, quindi, ad intrattenersi col suo aggressore in attesa che questa falsa promessa divenga realtà ma ben presto scopre che lui è già sposato.

A questo punto Orazio Gentileschi invia a Papa Paolo V una denuncia contro Tassi e così ha inizio un tormentato processo. Artemisia deve affrontare umilianti visite mediche che dovrebbero confermare la veridicità dell’accusa e subisce terribili torture. Il suo grande coraggio le dà però la forza di resistere a tutta questa triste circostanza, finché l’artista incriminato viene dichiarato colpevole. Purtroppo la sua pena rimane solo sulla carta e non paga per l’orrore commesso, mentre la reputazione di Artemisia e la sua persona sono segnate per sempre.

Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni
Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni – fonte

A questo punto la pittrice ha due opzioni: sprofondare nel dolore oppure appellarsi alla sua forza e ribaltare la situazione. Lei è cosciente del suo valore e delle sue capacità, perciò, proprio come la fenice rinasce dalle sue ceneri, Artemisia si riscatta e rinasce una seconda volta. Si reca a Firenze dove riscuote un grande successo ed è addirittura la prima donna ad essere ammessa all’Accademia delle Arti del Disegno. Abbandonata la Toscana viaggia e raggiunge varie città come Genova, Napoli e Londra. Torna anche a Roma dove, donna padrona del proprio destino e della propria vita, è ammirata da tutti e cammina a testa alta, lasciandosi le sue ceneri alle spalle.