Assange, pericolo per sé e per le sue fonti: l’inviata del FQ da Londra racconta il via al processo

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Julian Assange come è ridotto oggi
Julian Assange come è ridotto oggi

È solo l’inizio di una vicenda ancora lontana dal concludersi, ma il primo giorno del processo di estradizione negli Stati Uniti per Julian Assange, ieri, ha dato una idea chiara di posta in gioco, linea dell’accusa e della difesa e ruolo dell’opinione pubblica. Udienza a Woolwich Crown Court, Londra, tribunale vicino alla prigione di Belmarsh dove Assange è rinchiuso da aprile, prima in un isolamento che aveva peggiorato molto le sue condizioni e, solo da qualche settimana, in un regime meno severo. Fuori, un centinaio di sostenitori molto rumorosi, tanto che il magistrato Valerie Baraitser è intervenuta, infastidita, per chiedere moderazione. Lo stesso Assange, presente in aula con la sua famiglia, ha dichiarato: “Non riesco a concentrarmi. Tutto questo rumore non aiuta, anche se ne capisco il motivo e sono molto grato del supporto pubblico. Devono essere disgustati…”.

“Disgustati” dalle accuse del governo statunitense che cerca di inquadrare Assange come colpevole di furto di dati e spionaggio: avrebbe “cospirato con Chelsea Manning per violare i computer del ministero della Difesa”, ottenendo così le informazioni militari e diplomatiche classificate pubblicate nel 2010. “L’estradizione è richiesta perché la pubblicazione dei loro nomi ha messo informatori, dissidenti e attivisti dei diritti umani a rischio di tortura, abuso o morte”, ha dichiarato in aula James Lewis, avvocato del governo statunitense.

Accuse respinte dalla difesa con tre argomentazioni principali. La prima: ai tempi delle rivelazioni Assange era il direttore di una pubblicazione giornalistica. Rivelare al mondo una serie di abusi e crimini di guerra perpetrati dal governo Usa all’insaputa del grande pubblico rientra nella libertà di stampa. Avrebbe quindi agito nell’interesse generale e il suo caso ricadrebbe nell’articolo 10 della Dichiarazione europea dei Diritti dell’uomo che impedisce l’estradizione per attività giornalistica. La seconda: la sua estradizione sarebbe una intimidazione verso tutti i giornalisti del mondo. È una preoccupazione condivisa: per la liberazione di Assange si sono schierati il New York Times e il Guardian, mentre un appello online ha raccolto le firme di 1300 giornalisti investigativi in 98 nazioni. La terza: le accuse e la detenzione di Assange sarebbero politicamente motivate. Lo ha sostenuto ieri l’avvocato della difesa Edward Fitzgerald: “Non stiamo parlando di giustizia penale, ma di manipolazione di un intero sistema per garantire che gli Stati Uniti facciano di Assange un esempio per tutti”.

È un punto su cui la difesa ha il supporto, fra gli altri, di Nils Melzer, relatore speciale sulla Tortura delle Nazioni Unite. Ha ammesso di essere stato scettico sul caso Assange, ma di aver cambiato idea una volta esaminate le carte: “Di qualunque cosa si accusi Assange, ha diritto a un processo equo. Ma questo diritto gli è stato sistematicamente negato, tanto in Svezia, quanto negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Ecuador. È evidente che qui abbiamo a che fare con una persecuzione politica”. Intanto un altro degli avvocati di Wikileaks ha depositato una richiesta di asilo politico in Francia rivolgendosi direttamente al presidente Emmanuel Macron, proprio nel giorno in cui emissari dei Gilet gialli sono arrivati a Londra in sostegno di Assange. Nel 2017, Wikileaks pubblicò i #macronleaks, oltre 20 mila email compromettenti relative alla sua campagna presidenziale. Cosa farà le Président?

di Sabrina Provenzani da Londra per Il Fatto Quotidiano