Carnevale degenera con costumi da Hitler: un segno triste dei tempi

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Costume da Hitler per un bambino a Carnevale
Costume da Hitler per un bambino a Carnevale

Il carnevale si celebra nei Paesi di tradizione cristiana e in particolare in quelli di rito cattolico è una festa mobile e mista. Una festa “metà cristiana e metà pagana”, quelle feste ibride, presenti in tutte le religioni che io sono totalmente incapace di collocare in un quadro divino.

Con me il compromesso non esiste, o è bianco, o è nero. Mi piace la riflessione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger (quando non era ancora il Grande Papa che è stato…) “In merito al Carnevale non siamo forse un po’ schizofrenici? Da una parte diciamo molto volentieri che il carnevale ha diritto di cittadinanza proprio in terra cattolica, dall’altra poi evitiamo di considerarlo spiritualmente e teologicamente. Fa dunque parte di quelle cose che cristianamente non si possono accettare, ma che umanamente non si possono impedire? Allora sarebbe lecito chiedersi: in che senso il cristianesimo è veramente umano?”.

Questa riflessione è parte del libro Speranza del Grano di Senape, Meditazioni per ogni mese dell’anno, è un libro di Benedetto XVI (Joseph Ratzinger) pubblicato da Queriniana e in commercio dal 1974.

Carnevale e malati
Carnevale e malati

Riflessione che fa parte del mio piccolo bagaglio di ricordi (del tipo, ricordo di averlo sentito, letto, visto ma non ricordo dove) e che rispolvero quando mi trovo ad affrontare confronti pesanti, come quella esposta nel link che mi è stato inviato, relativo al Carnevale 2019 di Napoli.

Il carnevale dovrebbe essere “divertimento”, la possibilità di vedere l’immagine che vorremmo essere almeno per un giorno, il sogno momentaneo di poterci permettere tutto, compreso il lusso di poter essere diversi, di non passare inosservati. Non si dovrebbero, però, mai oltrepassare i confini del rispetto dell’individuo umano.

Il travestimento “fuori regola” rivela la natura del travestito, l’andare oltre l’apparenza, l’essere in divenire, la trasformazione ed è tutto questo mi lascia attonita. Qui non si mescolano più abitudini, stili di vita, goliardia, stravaganze ma ci si addentra in una pericolosa comunicazione, che non percorre una complessità culturale, ma vomita sulla strada il vissuto personale. Adotta una simbologia legata al proprio modus vivendi e operandi che dovrebbe far riflettere.

Carnevale e auguri di morte
Carnevale e auguri di morte

Quando si travestono i bambini da Hitler, Deportati, prostitute e mafiosi o altro l’addebito va fatto ai genitori, probabilmente parte di quei mondi,  il bambino è complice naturale ed involontario. Controllando la fonte, mi sono accorta che non è un caso singolare, anche nel 2018 Napoli non ha proprio scherzato con le maschere.

Questi genitori che ironizzano sulla Shoà, sulla malattia, sulle disgrazie gravi della società non sono in grado di esercitare il loro ruolo genitoriale, per me anderebbero arrestati immediatamente, condannati all’ergastolo, senza attenuanti e senza alcuna possibilità di patteggiamento. Dolore, disperazione e morte non possono essere ridicolizzati e non dovrebbero mai essere inseriti in un contesto di divertimento. Questa non è ironia, ma demenza!

Sui carri allegorici della mia generazione c’erano i politici, i presidi, i professori, i preti, le suore, qualche mignotta adulta. Adesso le figure menzionate sono già maschere ibride, che camminano al nostro fianco, le mignotte sono troppe, Scaramacai è morta (si chiamava Pinuccia Nava), Arlecchino, Gianduia, Meneghino, Fracanapa, Colombina, Pantalone, Tartaglia, Pulcinella e tutti gli altri sono stati assorbiti dalla “globalizzazione”, dall’ignoranza e privati del loro ruolo e della loro identità.

Al loro posto sono comparse figure di Bambini ghettizzati in campi di sterminio, malati terminali e mafiosi.  Per fortuna che farò in tempo a morire, prima di vedere il proseguo!ì

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Paola Farina
Nata a Vicenza il 25 gennaio 1954, studentessa mediocre, le bastava un sette meno, anche meno in matematica, ragazza intelligente, ma poca voglia di studiare, dicevano i suoi professori. Smentisce categoricamente , studiava quello che voleva lei. Formazione turistica, poi una abilitazione all’esercizio della professione di hostess di nave, rimasta quasi inutilizzata, un primo imbarco tranquillo sulla Lauro, un secondo sulla Chandris Cruiser e il mal di mare. Agli stipendi alti ha sempre preferito l’autonomia, ha lavorato in aziende di abbigliamento, oreficeria, complemento d’arredo, editoria e pubbliche relazioni, ha girato il mondo. A trent’anni aveva già ricostruito la storia degli ebrei internati a Vicenza, ma dopo qualche articolo, decise di non pubblicare più. Non sempre molto amata, fa quello che vuole, molto diretta al punto di apparire antipatica. Dove c’è bisogno, dà una mano e raramente si tira indietro. E’ generosa, ma molto poco incline al perdono. Preferisce la regia alla partecipazione pubblica. Frequenta ambienti ebraici, dai riformisti agli ortodossi, dai conservative ai Lubavitch, riesce nonostante il suo carattere a mantenere rapporti equilibrati con tutti o quasi. Sembra impossibile, ma si adegua allo stile di vita altrui, in casa loro, ovviamente.