Chiese e monasteri venduti e trasformati in resort di lusso, Montanari sul Fatto: “bivio tra rovina materiale e rovina morale”

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San Clemente Kempiski Venezia
San Clemente Kempiski Venezia

Le antiche chiese non sembrano sfuggire al destino che incombe su tutto il patrimonio culturale italiano: il bivio avvelenato tra rovina materiale e rovina morale. Per quanto diverso dalla terribile sorte di abbandono e saccheggio che devasta l’Italia sacra soprattutto al Sud, anche il passaggio dal culto di Dio al culto del dio mercato è, a suo modo, distruttivo.

Le chiese vengono vendute: diventano gusci vuoti, spogliati da tutti gli oggetti che animavano la loro vita quotidiana, perdono la leggibilità architettonica, e la dimensione pubblica. Il risultato è quasi sempre grottesco, come testimoniano le fotografie di molti siti immobiliari: piscine azzurre sotto campanili romanici ancora coronati dalla croce, sontuosi mobili bar sugli altari, divani multicolori piazzati simmetricamente sotto le croci di consacrazione ancora fissate alle pareti delle navate.

Accanto alle residenze private, ci sono le infinite chiese di complessi monumentali alienati a privati, e spesso oggi convertiti in resort di lusso. Il sito castelli.net vanta una sezione monografica: “Hotels unici con cappella privata – Italia: scopri la nostra collezione tematica”. Tra tutti quelli censiti, spicca l’isola di San Clemente nella Laguna di Venezia, oggi interamente trasformata nel San Clemente Kempinski Palace Venice (in foto): compresa la monumentale chiesa conventuale fondata nel XII secolo, prima agostiniana e poi camaldolese, che accoglie tuttora una pagina importante della storia della scultura barocca. L’unico lato simpatico della vicenda è che un’isola e una chiesa che rappresentavano una tappa del viaggio dei soldati veneziani che salpavano per combattere i turchi, appartenga oggi al gruppo turco Permak.

Proprio in questi giorni, invece, va in vendita un luogo amatissimo dai fiorentini, la Badia del Buonsollazzo, in Mugello: monastero benedettino, e poi cistercense, fondato nel 1100, e rinato in pelle barocca grazie al fin troppo pio granduca Cosimo III e al suo geniale “Bernini toscano”, cioè Giovan Battista Foggini. 5700 metri quadri di edificio, 54 ettari di terreno, a un prezzo stracciatissimo: 2 milioni e 750 mila euro, trattabili.

L’agonia del Buonsollazzo, meta di tante spensierate passeggiate estive, dura da un pezzo: i Camaldolesi l’hanno ceduto nel 2004 a un industriale padovano, che aveva costituito la Buonsollazzo srl per farne un albergo, o una beauty farm. Poi, dopo che la Soprintendenza aveva posto il vincolo, tutto si era fermato: ma oggi ecco la svolta. Un altro pezzo di storia se ne va: i fiorentini ci sono ormai abituati.

Aprendo il sito dell’Istituto per il Sostentamento del Clero dell’arcidiocesi appaiono subito le sezioni “affitti” e “vendite”. E tra quest’ultime si trova un complesso immobiliare che “si trova in località Bagnano in aperta campagna, poco distante da Certaldo ed è composto da Chiesa, Canonica e alcuni volumi ex-rurali. (…) La Chiesa, esternamente si presenta con la facciata in muratura in laterizio intonacata e tinteggiata; l’interno è spoglio, con un’unica navata illuminata da due finestre a lunetta poste sulle pareti laterali. Due gradini in pietra rialzano il presbiterio, dove una piccola abside semicircolare si apre sottolineata da un arcone in pietra squadrata. A sinistra dell’altare si trova l’accesso ai locali un tempo adibiti a sacrestia e ripostiglio di arredi sacri”. La descrizione continua, senza pietà: laddove per secoli si sono celebrati i santi misteri, oggi è tutto molto chiaro. Di riservato c’è solo la trattativa.

Ben 170 delle chiese dell’arcidiocesi di Firenze si trovano sul mercato, ha dichiarato al Corriere fiorentino don Giuliano Landini, presidente del locale Istituto per il sostentamento del clero: e non si tratta di un’istituzione povera, ma del più cospicuo proprietario immobiliare del suo territorio, con oltre duemila beni tra chiese, case e terreni agricoli. Un retaggio del passato che potrebbe consentire alla Curia di mettere in campo una politica dello spazio che la distinguesse da quella corsa alla rendita e alla speculazione che ha devastato il tessuto civile e sociale di Firenze, spopolata e totalmente asservita all’industria intensiva di un turismo disumanizzante.

Invece, tutto il contrario: in piena pandemia, per esempio, è stato venduto a privati il grande Convitto della Calza situato nell’Oltrarno fiorentino, un antico complesso conventuale già costosamente (e orrendamente) trasformato in centro congressi, e in casa di riposo per sacerdoti. Invece di proporre un progetto sociale che restituisse alla città uno spazio cruciale nell’unico quartiere ancora vivo del centro storico, la Curia ha pensato solo a “liberarsi di ciò che non serve” (così l’economo diocesano): senza nessuna coscienza del dovere dell’utilità sociale, che la Costituzione lega così strettamente alla proprietà privata. E “se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera?” (Luca 16, 11).

Tomaso Montanari sul Fatto Quotidiano