
(Articolo sui dazi da VicenzaPiù Viva n. 303, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Le relazioni commerciali tra Stati Uniti ed Europa si stanno di nuovo irrigidendo. Dopo il fallimentare accordo commerciale siglato tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a luglio 2025, il tycoon è nuovamente tornato all’attacco e questa volta mira al cuore del Made in Italy: la pasta. A ragion del vero, la cultura culinaria italiana non è – purtroppo – l’unica sotto attacco, ma è forse quella che smuove di più i nostri italici animi. In particolare, l’amministrazione Trump ha avviato un’indagine antidumping sui pastifici italiani, accusati di vendere negli Stati Uniti a prezzi inferiori ai costi di produzione.
Se la misura verrà confermata, dal 1° gennaio 2026 la pasta italiana sarà colpita da un dazio complessivo del 106,74 per cento, una maggiorazione del 91,74 per cento in aggiunta alla tariffa del 15 per cento già in vigore sulle merci europee.
Come si è arrivati a questo punto
Ma facciamo dei passi indietro. Il 2 aprile 2025 Donald Trump, armato di cartellone esplicativo, annuncia l’introduzione di dazi praticamente verso tutto il mondo e lo chiama “Liberation Day”. Nei confronti dell’Europa annuncia dazi per il 20%, 25% nel caso del settore automobilistico. A questo annuncio seguono delle sospensioni e mesi di trattative, arrivando fino al luglio 2025, quando Trump e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen concordano l’introduzione di un dazio del 15 per cento sulla maggior parte delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti. L’accordo, giustificato da von der Leyen come soluzione per garantire “prevedibilità” e “stabilità” alle imprese europee, rappresenta, di fatto, un passo indietro rispetto al libero scambio che aveva caratterizzato per decenni i rapporti transatlantici.
Nella realtà, secondo quanto riportato da David Carretta sulla newsletter “Il Mattinale Europeo”, l’accordo commerciale di luglio è strettamente legato alla difesa europea, o almeno è quanto ha sostenuto l’alta funzionaria della Commissione europea Sabine Weyand che ha dichiarato che l’Ue ha dovuto accettare un cattivo accordo perché altrimenti “gli Stati Uniti avrebbero abbandonato il partenariato per la sicurezza con l’Ue”.

E ora?
Ed infatti eccoci qui, a pochi mesi da quell’accordo a parlare di nuovi dazi “antidumping”, con buona pace della stabilità e della prevedibilità. L’impatto economico per il nostro Paese sarebbe significativo, poiché l’Italia esporta ogni anno negli Stati Uniti circa 700 milioni di euro di pasta, un mercato che rappresenta la seconda destinazione mondiale dopo la stessa Europa. Le aziende coinvolte sarebbero 13, e comprendono alcuni dei marchi più noti del settore – tra cui Garofalo e La Molisana – che hanno già annunciato ricorsi legali. Secondo le associazioni di categoria, una simile tariffa potrebbe rendere i prodotti italiani troppo costosi per i consumatori statunitensi, aprendo la strada ai produttori locali o ad altri Paesi con cui gli USA non hanno contenziosi commerciali. L’origine di questa nuova ondata di dazi è duplice.
Trump sostiene di voler riequilibrare la bilancia commerciale americana, che a suo dire registra da anni un deficit con l’Unione europea, ma la misura è parte di una strategia politica più ampia: un segnale rivolto agli elettori americani, che associa la difesa della produzione nazionale alla protezione dei posti di lavoro. Ma il ritorno del protezionismo potrebbe avere conseguenze profonde anche sul sistema commerciale globale.
Le relazioni Usa-Ue avevano già attraversato una fase difficile durante il primo mandato di Trump, quando la disputa sui sussidi all’industria aerospaziale aveva portato all’introduzione di dazi su vino, formaggi e altri prodotti italiani, poi in parte rimossi sotto l’amministrazione Biden.
La risposta dell’Ue
L’Unione Europea, per ora, si muove con cautela. A Bruxelles si lavora a una possibile risposta coordinata, che potrebbe includere ricorsi presso l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) o misure compensative su prodotti americani. Ma l’obiettivo dichiarato resta evitare un’escalation che danneggerebbe entrambe le economie. Secondo Eurostat, gli Stati Uniti sono il primo mercato per numero di esportazioni, mentre l’Europa rappresenta per Washington il secondo mercato estero dopo il Canada. In generale,
le nuove misure protezionistiche introdotte dall’amministrazione Trump stanno iniziando a produrre i loro effetti sulle esportazioni europee verso gli Stati Uniti e sul saldo commerciale dell’Eurozona. Secondo i dati pubblicati da Eurostat, ad agosto la bilancia commerciale dell’area euro ha registrato un avanzo di appena 1 miliardo di euro, contro i 3 miliardi dello stesso mese del 2024. Nel periodo compreso tra gennaio e agosto, il surplus è sceso da 123,3 miliardi a 107,1 miliardi di euro, con un calo generalizzato delle esportazioni in tutti i principali settori: alimentari e bevande, materie prime, energia, chimica, macchinari e altri prodotti finiti. Il dato più significativo riguarda le esportazioni verso gli Stati Uniti, diminuite del 22,2 % su base annua. L’avanzo commerciale dell’area euro con Washington si è ridotto da 15,3 miliardi a 6,5 miliardi di euro, un calo che riflette direttamente l’impatto dei nuovi dazi voluti da Donald Trump. Per l’Italia, l’eventuale impatto sarebbe duplice: economico e simbolico.
Economico, perché la filiera agroalimentare – uno dei motori dell’export italiano – risentirebbe direttamente di un aumento dei costi doganali; simbolico, perché la pasta rappresenta uno dei prodotti più identificativi del “made in Italy” nel mondo. Il settore teme che i nuovi dazi possano compromettere il lavoro fatto in vent’anni di promozione e penetrazione del mercato americano, dove l’appeal dei prodotti italiani è in costante crescita.
Resta incerta la prospettiva per i prossimi mesi. L’amministrazione Trump sembra intenzionata a continuare a usare la leva commerciale come strumento di pressione politica sull’Unione Europea, in particolare sui Paesi con ampi surplus commerciali come la Germania e l’Italia. Per Bruxelles, la sfida sarà trovare un equilibrio tra la difesa degli interessi economici e la necessità di mantenere aperto il dialogo con il principale alleato politico e militare del continente. Ma il rischio di una nuova stagione di tensioni commerciali tra le due sponde dell’Atlantico è ormai concreto.









































