Giacomo Possamai scalda i muscoli per le prossime regionali

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«L’unica possibilità vera che il Pd ha di giocarsi la sfida delle regionali 2020 è un atto di coraggio: un patto per il Veneto, un vero progetto politico regionale». L’avevamo “lasciato” ventisettenne, sconfitto per 38 voti 38 alle primarie del centrosinistra vinte da Otello Dalla Rosa, poi superato al primo turno da Francesco Rucco, già al secondo rimpasto di giunta a un anno e mezzo dall’elezione. 

Oggi Giacomo Possamai ha quasi trent’anni (manca un mese e mezzo) e – contro la diffidenza di un Paese che sulla fiducia ai giovani predica bene ma razzola male – vuole giocare da adulto. La notevole promessa giovanile del Pd, scuola lettiana, cresciuto a pane e politica, è tornato in pista portando a Vicenza giovani politici e amministratori con “Officine aperte”; l’ultimo incontro di qualche giorno fa era proprio sulle regioni per dimostrare che una “nuova generazione di governo” esiste già. «Non me ne sono mai andato, la passione per la politica è tutto» dice una mattina in un bar del centro. 

Possamai si candiderà come consigliere alle prossime regionali?

«Ci stiamo pensando».

Lei e chi?

«Io e le tante persone con cui in questi anni ho collaborato. Mi riferisco anche a persone che non fanno direttamente politica, ma che sono impegnate nel mondo dell’associazionismo, del sindacato, dello sport. Da sempre sono il mio termometro per capire se ne vale la pena. Si ragiona e si fa insieme. Da soli non si va da nessuna parte, ce lo insegnano i nonni».

Mossa propedeutica per le amministrative del 2023?

«In politica, soprattutto in quella di oggi, non ci sono percorsi prestabiliti. Chiaro che in una fase di grande  difficoltà può essere utile mettersi in gioco, essere a disposizione».

Oggi sembra che sia necessario nascondere la tessera del Pd per essere votati. Vedi Stefano Bonaccini che ha gentilmente detto ai vertici romani: “Statevene a Roma che qui in Emilia Romagna mi arrangio io”.

«L’attuale Pd è acciaccato da anni complicati e da errori pesanti. Uno su tutti l’arroganza, almeno da Renzi in poi, ma anche prima. Il Pd fatica a entrare in connessione con la gente perchè dà l’impressione di guadare gli altri dall’alto in basso. Se il Pd vuole concorrere con Zaia deve mettere testa e cuore in un progetto tutto Veneto, riprendendo un po’ l’idea di “Insieme per il Veneto” di Cacciari di tanti anni fa. Penso a una lista in cui convoglino liste civiche, partiti più piccoli del centrosinistra. Un Patto che si occupi dei temi e dei problemi di questa regione. Basta distrazioni».

Perché pensa possa esser vincente un “Patto per il Veneto”?

«Siamo in una fase storica in cui la Lega ha completamente abdicato a questo ruolo, ha deciso di diventare un partito nazionale, di cancellare il nome Nord dal suo simbolo, di presentasi uguale da Aosta a Caltanissetta. Ha deciso di diventare la proiezione di Salvini sul territorio. Il Veneto è una terra che va trattata in un modo più attento».

Mi faccia un esempio di uno dei temi trascurati che va ripreso in mano.

«C’è stata una battaglia trasversale sulla Pedemontana. Non è stata fatta la stessa battaglia sulla metropolitana di superficie. Sono trent’anni che il Veneto ne discute: treni regionali cadenzati ogni 20- 30 minuti con infrastrutture organizzate per trasformare questa regione in una grande città. Samantha Cristoforetti fotografando l’Europa dallo spazio ha visto due grandi punti di luce: la zona di Parigi e il Nordest. Da Verona e Venezia c’è un’unica grande città solo, però, dal punto di vista urbanistico non da quello dei servizi e delle infrastrutture. Il Pd deve impegnarsi ad essere più generoso, più capace di guardare oltre il suo legittimo interesse. Serve una lista regionale aperta».

Aggancerete anche le Sardine?

«Non auspico che le sardine diventino un partito, serve però quell’energia straordinaria. Sabato 7 dicembre ero in piazza a Vicenza, è stato bello vedere tante persone diverse impegnarsi, uscire dalle case, dal guscio, dai social».

Cattolici e politica, sembra un feeling smarrito.

«Il mondo cattolico da troppi anni è timido. Basterebbe dare concretezza alla voce del Papa che è il più grande leader mondiale, in grado di intervenire su vari temi con un’impronta fortissima. Questa sua generosità nell’esporsi non è corrisposta dal naturale impegno dei cattolici in poltiica. Ci sono energie straordinarie nel mondo dell’associazionismo, nelle numerosissime realtà che ruotano attorno alla Chiesa. È finito il tempo dei partiti cattolici, ma non è finito il tempo del cattolici in politica. Pensiamo ai morti nel Mediterraneo, al clima di odio, che dovrebbero avere una sola risposta: “Combattere la buona battaglia” (1Tm 6,12)». 

Che cosa ha imparato da quei 38 voti che le sono mancati alle primarie?

«Ho imparato a non dare nulla per scontato. Più che ai 38 voti persi, penso alle 2.700 persone che mi hanno votato. Quelle primarie per me sono state un’occasione incredibile di entrare in connessione con Vicenza. Oggi il mio bagaglio più grande è il rapporto di amore con una città in cui sono nato e cresciuto. Una città che, a prescindere dal risultato, mi ha dato una grande prova di  fiducia».