In questi giorni sta tenendo banco la storia di Giuseppina Giuliano (in realtà Giugliano), ventinovenne napoletana, collaboratrice scolastica in un liceo di Milano. La ragazza, che da poco è stata confermata di ruolo presso la scuola meneghina, è balzata agli onori della cronaca per un’intervista rilasciata al quotidiano “il Giorno”, in cui raccontava la sua storia di pendolarismo estremo: Napoli-Milano e ritorno, in treno, 5 giorni alla settimana. Questo perchè il costo dei biglietti, grazie a prenotazioni anticipate, carnet e promozioni, sarebbe inferiore a quello di un affitto nel capoluogo lombardo.
La storia di Giuseppina: non una delle bufale da sfatare ma uno dei drammi da evitare. Per chi lavora…
Da qui è partito il delirio.
Da una parte tutta una serie di commenti ammirati da parte di giornalisti milionari (spicca su tutti Alessandro Sallusti) che glorificano l’etica del lavoro visto come abnegazione e sacrificio estremo, Enrico Toti Style, in contrapposizione a chi si arrende al reddito di cittadinanza.
Dall’altra chi compulsa siti di vettori ferroviari, promozioni, abbonamenti, carte revolving e mappe astrali, per accertare che in realtà viaggiare in treno costa un botto e con una stanza in affitto, magari in estrema periferia, si spenderebbe meno.
Infine chi c’è chi suggerisce che la ragazza, non appena divenuta di ruolo, si sarebbe messa in malattia ed a scuola non l’avrebbero vista più.
Nessuno pare cogliere il punto centrale della questione, che apparirebbe ovvio anche a Monsieur de La Palice.
Sono nove ore di viaggio.
Dieci, considerando gli spostamenti da e per le stazioni. Sempre che vada tutto bene e che i treni siano in orario (da quando c’è LEI pare di sì…), non si guastino, o vengano soppressi causa sciopero, neve, manutenzione straordinaria, eventi sportivi, adunanze politiche, proteste di massa, bombe della seconda guerra mondiale da disinnescare, manifestazioni demoniache, miraggi.
Se dieci ore al giorno di viaggio, per uno stipendio di poco superiore ai mille euro, vi sembrano normali, abbiamo un grosso problema.
Se il lavoro (degli altri, of course) viene visto non più come diritto o dovere, ma come sacrificio, abbiamo un grosso problema.
Se vi sembra normale che una ragazza, Giuseppina debba decidere se vivere di stenti, lavorando a 800 km da casa sua, o vivere di stenti – non lavorando – a casa sua, abbiamo un grosso problema.
E, forse, sarebbe il caso di raccontare queste storie non come racconti formativi, o bufale da sfatare, ma come drammi da evitare.