L’esordio del nuovo Governo sulla Giustizia “made in Nordio”: nuovi reati per rave party e toppe su ergastolo ostativo

Carlo Nordio arriva al ministero di Giustizia
Carlo Nordio arriva al ministero di Giustizia

Qualche anno fa, quando l’odierno ministro Carlo Nordio svolgeva le funzioni di procuratore aggiunto a Venezia, ho letto vari suoi articoli (pubblicati su un noto quotidiano) in cui esternava continuamente  convincimenti garantisti sul tema della giustizia.

Uno dei suoi ricorrenti pensieri, immancabilmente espressi con lessico forbito e raffinato, era che la democrazia parlamentare subiva una lesione tutte le volte in cui una normativa veniva emanata non con l’iter ordinario del dibattito parlamentare, come prevede la Costituzione, bensì con decreto legge: cioè con uno strumento di decretazione di urgenza, che evita il preventivo confronto fra forze politiche.

Ebbene, è curioso osservare che proprio il primo atto normativo di questa  legislatura è stato emesso con tale “antidemocratico” strumento, del quale è autore proprio il giudice Nordio. Chissà che cosa avrebbe scritto se non ci fosse stato lui al governo …

Un altro fatto sorprendente è che il provvedimento ha un contenuto molto pressappochista assai poco garantista.

Vediamolo in particolare: il testo, all’art. 5, inserisce nel codice penale un art. 434 bis rubricato come “invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica” (con la previsione di una pena molto severa: reclusione da 3 a 6 anni e multa da 1.000 a 10.000 Euro), se il fatto è compiuto da più di 50 persone.

L’intento del Governo era quello di scoraggiare il fenomeno dei rave party (come in quasi tutti i paesi europei), sull’onda di quello, recentissimo, organizzato clandestinamente in provincia di Modena.

Viene spontanea una prima osservazione: ma Nordio, prima delle elezioni, non aveva dichiarato che, per migliorare il sistema, era necessario depenalizzare molte fattispecie di reato? Perché, allora, aggiungerne un’altra (per di più, con un provvedimento di urgenza), quando bastava reprimere i comportamenti di organizzazione e partecipazione a tali eventi con sanzioni (anche assai pesanti) solo economiche e con sequestri?

Si consideri, poi, che questi eventi non nascono, improvvisamente, dal nulla; non a caso, registrano massicce partecipazioni di persone provenienti anche da Paesi lontani. E, dunque, quegli eventi incivili ben potrebbero essere intercettati  per tempo e bloccati ancora prima del loro verificarsi.

Senza contare che la frettolosa nuova ipotesi di reato è scritta con un lessico così ambiguo e sgangherato che, in sede interpretativa, ben potrebbe prestarsi a molte applicazioni, ad amplissimo raggio (proteste di lavoratori organizzate dai sindacati, manifestazioni di tifosi che inneggiano alla vittoria della loro squadra di calcio…): con buona pace per la (altrettanto sbandierata ) certezza del diritto.

Altrettanto sorprendenti sono le misure relative ai benefici penitenziari e ai reati ostativi. Per capirne meglio il contenuto, è necessario ricordare che il testo del decreto legge emanato dal Governo con la giustizia “made in Nordio” costituisce una risposta all’ordinanza n. 97/2001 della Corte Costituzionale, che sollecitava il parlamento a provvedere in merito ai benefici penitenziari da concedere a detenuti per gravi reati (come quelli mafiosi) che non collaborino con la giustizia.

La sua formulazione, che mira ad impedire che siano ammessi a misure premiali soggetti che abbiano ancora collegamenti con il contesto criminale di provenienza, ha ripreso il contenuto della proposta di legge già approvata dalla Camera dei deputati (non ancora dal Senato) nella scorsa legislatura. Ed è, dunque, chiaro che l’orientamento  del Governo su questo tema è, senz’altro, quello di mantenere l’ergastolo ostativo (cioè, quello che prevede  una tipologia specifica di pena detentiva, che, oltre ad essere perpetua, rispetto all’ergastolo cosiddetto semplice, impedisce alla persona condannata di accedere a misure alternative o ad altri benefici).

In altri termini, nell’ergastolo ostativo c’è un “fine pena mai”. Per tale ragione, l’ergastolo ostativo, introdotto nel nostro ordinamento a partire dai primi anni novanta, rappresenta una pena estrema, che viene comminata solo in caso di delitti particolarmente gravi (come, ad esempio, quello di associazione mafiosa).

Ma, proprio per questa sua caratteristica di perpetuità, l’ergastolo ostativo è apparso in contrasto con il principio previsto dal nostro ordinamento, nella parte in cui prevede che la funzione della detenzione in carcere deve essere non solo punitiva, ma anche riabilitativa: così dispone la nostra Costituzione.

Sulla base di tale constatazione, un giudice ordinario aveva sollevato una questione di costituzionalità ed aveva sospeso il  processo pendente avanti a sé, in attesa di un pronunciamento della Consulta. Tale organo, ritenendo che la norma sospettata di incostituzionalità (l’art. 416 bis c.p.) fosse fondata, perché, appunto, in contrasto con gli articoli 3 (secondo cui “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”) e 27 della Costituzione (che prevede la funzione del carcere anche diretta alla rieducazione del condannato), aveva deciso di concedere un anno di tempo al parlamento per approvare una nuova legge che fosse in linea con il principio costituzionale da essa evidenziato .

Ma il parlamento di allora, per ragioni di tempo, non era riuscito ad operare in conformità a quelle indicazioni, talché il progetto di riforma riparatore  è stato approvato, nel febbraio scorso, dalla Camera ma non, poi, anche dal Senato, a causa della caduta del Governo e delle conseguenti nuove elezioni.

A questo punto, la Corte Costituzionale (che aveva fissato la nuova udienza dell’otto novembre 2022 per la decisione sulla costituzionalità della nuova definizione dell’ergastolo ostativo) non avrà la possibilità di valutare il progetto di riforma pregresso (perché mancante dell’approvazione del Senato) e vaglierà necessariamente il nuovo decreto legge emesso dall’attuale governo; il quale, a sua volta, non è definitivo perché non ancora convertito in legge (entro 60 giorni dalla sua emanazione). Potrebbe decadere. Quindi, alla Corte Costituzionale non resta che pronunciare su una norma in itinere (cioè su un decreto non ancora convertito in legge), pur se – come si è detto – il suo testo ricalca quello approvato dalla camera, nel febbraio ultimo scorso, prima della caduta del governo Draghi.

In questa situazione molto singolare e confusa spicca, pur sempre, un’evidente anomalia: il governo ha finito per ricorrere ad una decretazione di urgenza per decidere di mantenere, nel nostro ordinamento, un istituto giuridico particolarmente discusso e delicato: quello dell’ergastolo ostativo, sul quale è particolarmente forte il dubbio di costituzionalità e accanito il dibattito giuridico.

E tutto ciò è espressione di garantismo, signor ministro Nordio?