Il Centro Storico di Vicenza nel fiacco dibattito del Consiglio comunale. Prof. Francesca Leder: è declino culturale e politico quello che stiamo vivendo

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Documento del SINDACO, VARIANTE CENTRO STORICO
Documento del SINDACO, VARIANTE CENTRO STORICO

Che i tempi siano cambiati, ce ne siamo accorti tutti. Anni di profonda erosione dello spazio di incontro tra cittadini e politica, quella che governa la città con i suoi rappresentanti (maggioranza e opposizione) chiusi nelle loro stanze (e non certo solo per il Covid) a decidere cosa fare del nostro patrimonio, del nostro bene comune. La città (non solo la nostra, se questo può consolare) sempre meno organismo sociale e sempre più bancomat.

Vincolo della soprintendenza su Vicenza e Francesca Leder, docente di storia dell'urbanistica all'università di Ferrara, facoltà di architettura
Francesca Leder, docente di storia dell’urbanistica all’università di Ferrara, facoltà di architettura

Il fatto che l’amministrazione comunale di Vicenza, nella sua più ampia composizione di maggioranza e minoranza, non senta necessità alcuna di aprire ai cittadini il dibattito sulla trasformazione di una parte così importante del patrimonio urbano, il suo centro storico, dà il senso del declino culturale e politico che stiamo vivendo.

Questa almeno è la percezione che si ricava nel guardare, con qualche ora di ritardo, la registrazione del dibattito in Consiglio comunale dello scorso mercoledì 16 dicembre dedicato in gran parte al cosiddetto “Documento del Sindaco” che annuncia la variante parziale al Piano degli Interventi.

Un documento prevalentemente politico, come è stato ricordato (Asproso), che dice poco o nulla delle scelte che il piano si prepara a fare ma che lascia chiaramente intendere, soprattutto attraverso le parole espresse dalla maggioranza (Zocca), che la minestra in realtà è già pronta e a breve verrà servita. E del resto come non potrebbe esserlo se il professionista designato alla stesura della variante, l’architetto Tombolan di Padova, individuato già nel 2017 ha poi assunto l’incarico nel 2018 quando alla guida della città c’era ancora Variati? Cosa ha fatto nel concreto in questi anni? Il documento non lo dice. Né tanto meno il sindaco.

Fa parte di quell’inarrestabile cambiamento dei tempi, a cui si faceva accenno all’inizio, considerare l’evento mediatico ben più importante dei suoi contenuti. E ciò è dimostrato dal fatto che un passaggio così importante per la storia della nostra città, dato dal superamento del piano del centro storico progettato da Mario Coppa che ha scritto un capitolo importante della storia di Vicenza ma anche e soprattutto dell’urbanistica nazionale, è trattato en privé come un atto amministrativo di routine.

Una città che volesse per davvero capitalizzare il suo patrimonio culturale, andando oltre l’opera palladiana, troverebbe anche nella storia del Piano Coppa un giacimento enorme di testimonianze da approfondire e trasmettere attraverso mostre permanenti, pubblicazioni, convegni… offrendo uno spunto culturale di grande interesse e capacità attrattiva (si pensi all’Urban Center di Bologna) ma anche pedagogico ad uso dei più giovani, soprattutto quelli che ambiscono a fare della politica attiva una componente non casuale della loro vita.

Riscopriremmo la qualità del dibattito che riempiva le sedute del Consiglio comunale del tempo, che animava le discussioni degli ordini professionali e che coinvolgeva intellettuali e studiosi in particolar modo quelli che pochi anni prima, nel 1958, avevano dato vita al Centro Internazionale di Architettura “Andrea Palladio”, un’eccellenza culturale e scientifica che aveva fatto dell’impegno per la salvaguardia della città e del suo patrimonio storico un obiettivo prioritario.

Solo con la piena consapevolezza di ciò che è stato il Piano Coppa, con la memoria del suo portato culturale si può pensare di superarlo. Compito di un amministratore pubblico responsabile è quello di tutelare la preziosa eredità urbana di un centro storico come quello di Vicenza cercando di dare ad esso nuovo valore attraverso politiche integrate e interventi compatibili con la fragilità e peculiarità del luogo.

Il piano sta alla città, come il libro sta alla scuola. Il piano è uno strumento che segna un percorso culturale ben preciso e che solca il terreno in modo quasi sempre irreversibile. Costruire, riempire vuoti, sostituire funzioni sono atti che non permettono ripensamenti. La nostra città, purtroppo, è invece costellata di interventi di cui oggi faremmo volentieri a meno: occupano la nostra visuale, si avvantaggiano in modo predatorio della bellezza del paesaggio storico, consumano verde senza offrire nulla in cambio. La città a disposizione di chi di volta in volta si trova ad amministarla. La storia in questo senso si ripete diventando grottesca.

L’impressione che si ricava da questa mise-en-scène è che sia alla maggioranza che all’opposizione manchino i fondamenti della sintassi urbana, la cui costruzione è il fine vero del piano.

Se si fa attenzione alle parole e ai riferimenti, si percepisce la grande difficoltà a maneggiare la materia a causa di una cronica disabitudine a praticarla, a studiarla e a vederne le sue ricadute. Un analfabetismo davvero pericoloso che spiega – forse – le ragioni di molte delle scelte sbagliate assunte in questi anni in cui si alternano e mischiano responsabilità politiche e tecniche rendendo il terreno sempre più scivoloso.

Le cose da dire sarebbero molte, ma l’autoreferenzialità del dibattito sembra escludere, almeno al momento, ogni possibile confronto. A meno che non si sia operatori economici e, meglio ancora, addetti del settore immobiliare ai quali da sempre le amministrazioni di questa città hanno dato ampio ascolto.

Rimane comunque un dubbio. Il valore culturale del centro storico, e per questo il suo essere stato dichiarato patrimonio UNESCO, è un argomento che torna di frequente nei discorsi di maggioranza e opposizione. Nessuno dei due schieramenti ricorda all’altro però che il patto stabilito al momento del riconoscimento (1994) impegnava Vicenza a garantire la tutela della città storica (core zone) e delle sue limitrofe (buffer zones) attraverso uno strumento urbanistico specifico e politiche coerenti. Qualunque intervento di trasformazione, sia puntuale o generale, secondo le linee guida predisposte dall’UNESCO per l’applicazione della Convenzione mondiale del 1972 deve essere frutto di un percorso condiviso e allargato ai cittadini.

Che ne è di questo impegno? Come si regola l’Amministrazione?

L’argomento non è di poco conto. Attendiamo di saperne di più. Intanto prendiamo appunti.


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