Il silenzio e la voce: le donne che attendono spazio nella Chiesa

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donne nella Chiesa
donne nella Chiesa

(Articolo su donne nella Chiesa da VicenzaPiù Viva n. 303sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

Dalle discepole del Vangelo alle teologhe di oggi, le donne continuano a portare vita, cura e fede nella Chiesa, spesso senza il giusto riconoscimento. C’è l’urgenza di superare antiche resistenze e restituire il posto che a loro spetta nella missione evangelica.

Con la Mulieris dignitatem (1988), prima e successivamente con la Lettera alle donne (1995) di san Giovanni Paolo II la Chiesa ha iniziato una riflessione sulla “questione femminile” riconoscendo la dignità della donna e criticando le forme di discriminazione e violenza, pur nella cornice della dottrina cattolica. Infatti, in queste lettere, nelle quali ringrazia le donne per il loro contributo e ha chiesto parità di trattamento in ambito sociale, politico ed economico, san Giovanni Paolo II, è rimasto fermo su temi come l’aborto e il ruolo della famiglia, ha promosso il concetto di “genio femminile” e denunciato la mercificazione del corpo femminile. Inoltre, con la Lettera alle donne, fa una sorta di mea culpa a nome della Chiesa, riconoscendo come la stessa abbia avuto un ruolo di responsabilità nella relegazione a un ruolo subalterno del genio femminile. Subalternità figlia della crescente istituzionalizzazione della Chiesa, perché nella chiesa delle origini le donne hanno avuto un ruolo attivo e significativo, spesso in contrasto con le norme sociali dell’epoca, partecipando all’insegnamento, alla predicazione e alla guida delle comunità, come dimostrano figure come Lidia, Priscilla e Febe. Questo ruolo attivo inizia con Gesù il quale, a differenza degli altri maestri del tempo, accoglie le donne come sue discepole, spiega anche a loro la Parola e affida proprio ad una di loro, Maria di Magdala (Maria Maddalena), l’importante messaggio della sua Risurrezione, con la conseguente sconfitta della morte. Questo ruolo attivo, fatto anche di predicazione e insegnamento, esprimeva una leadership in continuità con l’insegnamento di Gesù, perché si manifestava soprattutto nel servizio. Tutto questo in rottura con il contesto patriarcale dell’Impero romano, dove le donne erano considerate figure minori. Tuttavia, come anticipato, la crescente istituzionalizzazione della Chiesa, ha fatto sì che il ruolo della donna nella Chiesa fosse gradualmente limitato, escludendola da posizioni e ministeri importanti.
San Giovanni Paolo II riconosce questo “errore” commesso e inizia con non poche difficoltà una sorta di ritorno alle origini, ma sarà soprattutto papa Francesco ad operare scelte concrete, affidando alle donne ruoli importanti di responsabilità, uscendo quindi dal campo della “teoria per entrare in quello della prassi”.
Per Papa Francesco, la Chiesa è donna, è sposa, è madre. E attraverso la donna essa deve imparare a parlare di sé, di ciò che fonda la naturale com-presenza delle donne nella Chiesa accanto agli uomini e, in particolare, ai sacerdoti ordinati, la conseguente necessità che siano loro riconosciuti degli spazi, affinché possano portare un contributo consapevole, specifico e differente all’edificazione del corpo ecclesiale.
Due sono le caratteristiche della Chiesa che ci aiutano a comprendere in una prospettiva di senso il ruolo della donna come fedele laica, investita del sacerdozio comune: – la natura della Chiesa come Popolo di Dio, che in virtù del battesimo, comprende tutti i fedeli laici, uomini e donne (cf. LG 10 e 13); – la natura della Chiesa come mistero di comunione (cf. LG 1), all’interno del quale ha senso ogni presenza, ruolo e azione da parte delle donne e degli uomini nella Chiesa.
In altre parole, la realtà del genere umano come uomo e donna, perché così Dio li creò nella storia, fonda la necessaria com-presenza di entrambi nella vita della Chiesa, così come del mondo, nella complementarità, reciprocità, collaborazione e corresponsabilità.
Il problema della presenza delle donne nella Chiesa, dunque, in virtù del suo fondamento, non è riducibile ad una redistribuzione di ruoli, ma va esteso ad una doverosa comprensione di come fare spazio all’originalità femminile per poter arricchire in maniera più significativa e decisiva la Chiesa.
È la dimensione sponsale a rendere l’uomo e la donna costitutivamente capaci di relazione, sinergia, collaborazione e comunione.
La “dimensione sponsale” è quella capacità ontologica di amore e dono di sé, che caratterizza ogni persona umana, chiamata da Dio a realizzarsi in pienezza in una vocazione.
Ma la donna, ben più dell’uomo, in virtù della sua intrinseca capacità generativa e materna di “dare alla luce” e di farsi carico di questo dare alla luce, è in grado di far presente al mondo quella necessaria relazione di collaborazione e corresponsabilità tra uomo e donna, che deve potersi manifestare anche nella Chiesa.
Comprendere questo privilegio e dono della donna oggi non è scontato. Nella cultura post-moderna, pervasa di incertezze identitarie e rivendicazioni di diritti, la voce delle donne va ascoltata non perché devono avere più potere – in una logica di empowerment e di rivendicazioni ridondanti – ma perché alla donna Dio ha affidato l’uomo (cf. MD, 30). È questo un mandato che è un dono, ed è necessario e urgente realizzarlo non in maniera autoreferenziale, ma in una sinergia costante con l’uomo per rendere la Chiesa più docile ai
Doni dello Spirito.
La presenza delle donne nella Chiesa deve, in particolar modo, contribuire a rimettere al centro della questione sociale ed ecclesiale la maternità, non solo perché essa è il cuore del messaggio evangelico, ma anche perché concretamente essa costituisce l’essenza del femminile e deve potersi esprimere ed essere vissuta dalle donne che partecipano attivamente al lavoro nella Chiesa.
La maternità, infatti, è capacità di portare amore e protezione nei confronti della fragilità umana, è misericordia (trovo significativo che nella lingua ebraica lo stesso termine – rahamin – indichi la misericordia e il grembo materno), ospitalità e, soprattutto, capacità generativa morale e spirituale.
Per questo è un modo di essere della donna in sé, non necessariamente legata alla maternità biologica. Il femminile, infatti, ha la capacità di rimuovere quell’efficientismo maschile, tuttora presente nella Chiesa e nella società, che stanca l’essere umano, e che invece ha bisogno di sentirsi rigenerato nella sua identità filiale. In tal senso, un aspetto altrettanto importante è il ruolo che possono avere le donne nel riportare al centro della Chiesa la consapevolezza che siamo Figli di Dio. In fondo ogni madre, con il suo esserci, ricorda al proprio figlio che alla radice del suo esistere c’è un padre.
Così la donna, con il suo essere nella Chiesa, può mostrare all’uomo contemporaneo, chiuso nel suo razionalismo e individualismo autoreferenziale, che all’origine della sua vita c’è il grande amore del Padre per ciascuno di noi. C’è un desiderio di Dio.
Questa consapevolezza può restituire al mondo la fede, ossia la capacità di ogni uomo di fidarsi di Dio, e con la fede anche dei punti di riferimento per la nostra vita morale. E in questo le donne hanno una missione specifica, rendendosi così sorgenti di forza per la società.