Due morti, oltre 200 feriti, 560 arresti, centinaia di roghi. La storica vittoria del PSG (Paris Saint-Germain) contro l’Inter in finale di Champions League si è trasformata in un’onda di violenza che ha travolto Parigi e molte città francesi. Ma cosa c’è dietro questa esplosione apparentemente inspiegabile?
Parigi, Champs-Élysées, notte del 30 maggio. Il Paris Saint-Germain è appena entrato nella leggenda del calcio europeo con un travolgente 5-0 sull’Inter. I titoli dei giornali celebrano “il paradiso”, “il capolavoro”, “la leggenda”. Ma poche ore dopo, in quel paradiso sportivo si consuma un inferno sociale che fa scrivere nuovi titoli: scontri, incendi, saccheggi, morti. Perché una vittoria sportiva, simbolo di gioia collettiva, si è trasformata in una delle notti più violente nella storia recente francese?
La risposta, come spesso accade, non sta solo nel calcio ma proviamo a fare qualche ipotesi senza pretese sociologiche ma solo da osservatori comuni, come i nostri lettori che seguono le vicende nazionali e internazionali, partendo anche dal fatto che il PSG, simbolo di potere e investimenti miliardari (e di proprietà qatariota), è da anni una lente deformante della Francia stessa: un Paese diviso, attraversato da frustrazioni sociali, rabbia repressa e spaccature culturali. Come tutto il mondo?
Una rabbia che covava sotto la superficie
La violenza scatenata a Parigi e in molte città francesi — da Grenoble a Dax, da Rouen a Marsiglia — tanto da attirare l’attenzione dei media più del trionfo sportivo, appare ben poco legata al tifo calcistico. A scatenare il caos, oltre a una immancabile componente di chi della festa si è ubriacato fino a perdere il controllo, non sono stati scontri tra opposte tifoserie, ma gruppi eterogenei in… festa: giovani disoccupati, bande suburbane, delinquenti comuni, manifestanti anti-sistema. Le stesse componenti che, in passato, hanno dato vita a proteste esplosive come quelle dei gilet gialli o alle rivolte contro le violenze poliziesche.
Due volti della stessa medaglia: il PSG come specchio della Francia che cambia
Il PSG vincente è lo specchio di una Parigi globalizzata, ricca, patinata, con un presidente-ambasciatore come Al-Khelaïfi e campioni strapagati anche se se esaltano i parziali tagli recenti e il grande lavoro del mister, Luis Enrique, che ha, lui sì umanamente e positivamente, commosso il mondo ricordando, dopo il trionfo, il suo dramma per la scomparsa a nove anni della filia Xana.
Fuori dallo stadio e oltre la Senna, la realtà è ben diversa da quella proposta dal ricco PSG: povertà, emarginazione, crisi del welfare, giovani senza prospettive. La frattura tra chi vince sul campo e chi perde nella vita reale diventa, in notti come questa, insopportabile.
Il calcio è solo il detonatore. E la vittoria del PSG, è la nostra ipotesi, ha offerto l’alibi perfetto per sfogare pulsioni latenti: rabbia verso l’autorità, frustrazione verso un sistema percepito come iniquo, desiderio di visibilità e di vendetta sociale.
La sicurezza non basta a placare il disagio
Nonostante l’impiego massiccio di oltre 5.000 agenti a Parigi, la sommossa non è stata contenuta. Il ministro dell’Interno ha distinto tra “tifosi veri” e “barbari”, ma il punto è proprio che quella distinzione si fa sempre più difficile: il confine tra il festeggiamento e la rivolta urbana è sottile quando il contesto sociale è infiammabile.
Due giovani vite spezzate, centinaia di feriti, negozi distrutti, forze dell’ordine sotto assedio. È il prezzo che la Francia, anche in questo caso che pure doveva essere di sola festa, sta pagando per non aver affrontato per tempo un disagio profondo, che ogni occasione pubblica rischia di portare a galla in forme incontrollabili.
Il calcio come rifugio, o come esca per la rabbia
La vera domanda che resta dopo questa notte di fuoco è se il calcio, oggi, unisca davvero o stia diventando un’ulteriore arena per la frattura sociale. Una Champions vinta dovrebbe servire a sognare, ma a Parigi ha risvegliato incubi. E la prossima volta potrebbe bastare molto meno di un 5-0 per riaccendere la miccia.
In conclusione, la notte della gloria sportiva è diventata quella del fallimento sociale. Il PSG ha alzato la coppa. Ma la Francia dei simboli del PSG qatariota ha visto sfuggire l’equilibrio. E quella coppa, oggi, pesa come un macigno su una nazione che non sa più come festeggiare senza implodere e con una domanda a cui le nostre considerazioni possono essere la risposta: “basta la lunga attesa di questo primo, storico trionfo del club a livello internazionale a spiegare l’esplosione di questa incredibile violenza che si è registrata a Parigi e nel resto del Paese con “protagonisti” apparentemente uniti dalla vittoria e non, come altrove accade, divisi tra vinti e vincitori?”.
Se disordini simili si sono verificati dopo vittorie della nazionale francese (ad esempio nel 2018), ma anche dopo sconfitte calcistiche o altri eventi sportivi, ciò evidenzia una tendenza ricorrente a usare l’evento come pretesto per atti violenti di chi si sente sempre tra i vinti e mai tra i vincitori…
Solo in Francia?, è la domanda successiva.