Iraq: ancora le proteste. La Chiesa caldea invita al dialogo

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Spari sui manifestanti questa mattina a Karbala a sud di Baghdad. A terra sono rimasti oltre 20 morti e circa 800 feriti, secondo quanto riportato dalle fonti mediche della città. Ma il bilancio resta provvisorio. Testimoni hanno parlato di uomini incappucciati e vestiti di nero che, da un’auto in corsa, hanno sparato su un sit in di manifestanti da giorni accampati nella piazza luogo della strage per protestare contro le politiche del primo ministro Adel Abdul Mahdi, il carovita, la corruzione e la mancanza di servizi pubblici. Da quando sono cominciate le proteste, a inizio ottobre, hanno perso la vita almeno 250 persone. Da lunedì a Karbala è in vigore il coprifuoco che potrebbe, a questo punto, essere prolungato oltre la scadenza fissata inizialmente per oggi. Le immagini che arrivano dai social, messe on line dai manifestanti e dai giornalisti presenti, mostrano la repressione violenta da parte delle Forze di polizia. A Baghdad soldati iracheni sono stati ripresi mentre picchiavano con i manganelli alcuni studenti che protestavano.

Solo nello scorso week-end i morti sarebbero stati 74 e tremila i feriti. Le cronache parlano anche di edifici pubblici e del Governo presi d’assalto dai manifestanti. Non sono servite a placare le proteste le rassicurazioni del primo ministro Adel Abdul Mahdi, che in un discorso alla nazione, venerdì scorso, aveva promesso l’istituzione di un tribunale speciale per indagare sulla corruzione, progetti per incrementare i posti di lavoro e programmi abitativi. Le manifestazioni sono sostenute dal leader sciita Moqtada al-Sadr, che gode di un ampio seguito popolare. A rendere il panorama ancora più complesso è anche la cultura clientelare della politica irachena. Gli elettori in genere votano i politici del proprio blocco etnico o settario nella speranza di essere destinatari di posti di lavoro nel settore pubblico. Un sistema che alimenta la corruzione e il clientelismo. Correggerlo non è semplice, richiede tempo e un cambio di mentalità. Non è un caso se l’Iraq è il dodicesimo Paese più corrotto al mondo, secondo Transparency International, l’organizzazione internazionale non governativa che si occupa di prevenire e contrastare la corruzione.

Appello al dialogo. Solo pochi giorni fa il Patriarcato caldeo aveva diffuso una nota in cui faceva appello “alla coscienza dei responsabili del Paese, perché ascoltassero seriamente le richieste delle persone che lamentano lo stato di miseria in cui vivono, esortandoli a contrastare la corruzione e a impegnarsi nella gestione della pubblica amministrazione”. Al tempo stesso, il Patriarcato caldeo esortava i manifestanti “a restare pacifici, a rispettare le proprietà pubbliche” e le forze dell’ordine “a evitare ogni forma di abuso e di violenza sui manifestanti”.

“Questo è il tempo di un dialogo costruttivo per fare passi concreti cercando persone competenti, conosciute per la loro onestà e amore di patria, perché gestiscano gli affari del Paese”.

Solidale con le richieste del popolo, che chiede un cambiamento effettivo, la Chiesa caldea sta accompagnando con la preghiera e con gesti concreti questo periodo di tensione civile. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato la visita del patriarca Mar Louis Sako. Insieme ai due ausiliari di Baghdad, mons. Basel Yaldo e mons. Robert Jarjis, ha voluto incontrare i feriti, civili e militari, delle manifestazioni di protesta, ricoverati all’ospedale Al-Kindi della capitale irachena. Guidato dal direttore dell’ospedale, come riportato dal sito Baghdadhope, il patriarca ha scambiato parole e abbraccio con alcuni dei feriti mettendo a disposizione del nosocomio mezzi e risorse per acquistare medicinali necessari. La situazione in Iraq, e a Baghdad in particolare, ha costretto il card. Sako a cancellare il previsto viaggio in Ungheria dove avrebbe dovuto incontrare il presidente Victor Orbán e il presidente russo Vladimir Putin. Il patriarca ha, inoltre, invitato i leader delle chiese locali ad un incontro. Obiettivo: fare il punto su quanto sta accadendo nel Paese, concordare una dichiarazione congiunta e a promuovere veglie di preghiera nelle chiese affinché si calmino gli animi, si ristabilisca la pace e si raggiunga la stabilità nel Paese.