La Lega e la resa di Venezia: l’inchiesta de Il Fatto Quotidiano sul business dei privati

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Palazzo Balbi

“E in narrando il nocchier la mia sciagura / al peregrin, che stupefatto ascolta / Ode vagar per le sommerse mura / Con gemito d’orror l’eco sepolta, / Ed ammirando i mal distinti sassi / urti col remo i voti alberghi, e passi”. È impressionante la forza profetica di questi terribili versi di Carlo de’ Dottori (1618-1686). A parlare è Venezia (“si dolea la città ch’ha il mar per mura”), una Venezia del futuro ormai coperta dalle acque, e che diviene mèta di un turismo dell’orrore: mentre la barca conduce il visitatore sul mare che sovrasta e inghiotte la città, si sente un sinistro boato, che sale dagli edifici e dalle piazze. Il marinaio urta col remo i tetti delle case, ormai vuote: e si affretta ad allontanarsi da quella nuova, lugubre Atlantide, dove echeggia il brivido di un’”eco sepolta”.

Sono settimane che la visione di de’ Dottori prende forma, sotto i nostri occhi: Venezia è sommersa dal suo mare, che si innalza e la ferisce in gran parte per responsabilità del malgoverno degli uomini. Ma è da decenni che diviene sempre più vera anche l’altra metà della profezia: quella sui “v(u)oti alberghi”. E cioè sulle case deserte, sullo spopolamento, sulla città fantasma, in un precipizio che l’euforia artificiale del carnevale commerciale non riesce a nascondere: “Ci sarà allegria / anche in agonia / col vino forte”, cantava Fabrizio De Andrè.

Ma a Venezia c’è chi lotta, nonostante tutto. Da settimane un commando anonimo di giovani cittadini colti e determinati segna di rosso le case svendute al rapace commercio di Airbnb: come durante la Grande Peste del Seicento si indicavano con croci rosse le case visitate e vinte dalla malattia. Bollini rossi con un cappio (Venezia impiccata alla corda dell’overtourism) e un codice Qr che rinvia a un sito con i numeri del disastro: i posti letto ufficiali sono ormai pari al numero dei residenti (meno di 50.000), ma in realtà tutti sanno che sono molti di più.

Sarebbe dunque vitale ridare le case agli abitanti: trovare nuovi residenti, ripopolare Venezia, inventare nuovi veneziani (non per sangue, ma per scelta del luogo: per un elettivo ius soli). Al bando per 300 case popolari che il Comune di Venezia aveva pubblicato sei mesi fa, hanno risposto in 2500: il che vuol dire che se si creano le condizioni, Venezia può trovare un nuovo popolo. Si può: bisogna volerlo, e costruire politiche per farlo.

Ma quei numeri vogliono dire anche un’altra cosa: che a Venezia c’è un’enorme fame di alloggi popolari. Per questo è davvero incomprensibile la scelta della giunta regionale di Luca Zaia di continuare a svendere immobili pubblici (che invariabilmente finiscono in mano alla speculazione che espelle i cittadini), invece di destinarli alla residenza. Ha un alto valore simbolico il fatto che sia stato messo in vendita perfino Palazzo Balbi: la dimora sul Canal Grande che ospita la sede della Regione e la dimora ufficiale del presidente. Un palazzo diventato pubblico nel 1971: e la cui dismissione segna davvero la fine di un’idea di città pubblica, celebrando la resa di Venezia alla rendita privata. Ma ci sono soprattutto 32 proprietà della Ulss3 Serenissima (l’azienda sanitaria locale), per un valore di 13,4 milioni di euro.

Si inzierà a battere all’asta 22 appartamenti nel centro storico, per un valore di 8,7 milioni di euro. Zaia esulta, notando che le alienazioni di patrimonio regionale del 2019 “ci hanno fatto superare la somma di 38 milioni dal 2010. Stiamo parlando di beni di cui è venuta meno la destinazione a pubblico servizio e l’interesse all’utilizzo istituzionale, ma dalla cui vendita si aprono nuovi investimenti in settori come la salute, il sociale, la scuola, l’ambiente e la protezione civile”.

Una bassa retorica: che dimentica come l’investimento prioritario per Venezia è quello che la fa rimanere una città. Ha dunque tutte le ragioni la senatrice 5 Stelle Orietta Vanin a dire che “la Regione Veneto afferma che non esiste nessun accordo di prelazione da parte del Comune e che non lo si può favorire perché si creerebbe un danno erariale. La vendita all’asta degli immobili, che ha l’obiettivo di massimizzare le entrate, rischia di rinforzare ulteriormente l’offerta turistica a scapito dei suoi residenti che ogni anno, abbandonano affranti una città che non li sostiene con adeguate politiche residenziali! L’identità della città è data dai suoi abitanti, senza di essi si riduce ad un contenitore, vuoto”.

Come sempre, Venezia è una cartina di tornasole. E come sull’ambientalismo sbugiarda chi si tira addosso la coperta di Greta ma lascia le Grandi Navi in Laguna (leggi il Pd, che ha i ministeri chiave di Infrastrutture e Beni Culturali), così sulla giustizia sociale strappa la maschera alla Lega, perché anche Zaia sa dire solo ciò che dice il mainstream liberista: alienazioni, privatizzazioni, massacro della città pubblica. D’altra parte, proprio oggi in parlamento si decide l’ammissibilità di un emendamento al Milleproroghe che intende allungare di un mandato la presidenza della Biennale, per permettere l’ennesima proroga, in deroga alla legge, di Paolo Baratta (che va per gli 81 anni, e in tutto ha guidato la Biennale per 15 anni…). Chi ha presentato quell’emendamento? Ma la Lega, naturalmente: che ha tutto l’interesse perché a Venezia non cambi nulla. Finché non se ne senta solo, “con gemito d’orror, l’eco sepolta”.

di Tomaso Montanari da Il Fatto Quotidiano