L’inquietante vicenda dell’ex ILVA: il conflitto tra capitale e salute

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C’è qualcosa di inquietante nella vicenda Arcelor Mittal (ex ILVA) di Taranto. Adesso la nuova proprietà recede dall’accordo. La giustificazione primaria è che è stata tolta l’immunità penale. Ma non c’è solo questo perché altre sono le cause che hanno portato al recesso da parte della multinazionale indiana alla quale era stata “ceduta” l’ILVA. Su Ansa si può leggere, infatti che, (oltre al mancato scudo legale e ai provvedimenti del tribunale di Taranto) “altri gravi eventi, indipendenti dalla volontà di ArcelorMittal, hanno contribuito a causare una situazione di incertezza giuridica e operativa che ne ha ulteriormente e significativamente compromesso la capacità di effettuare necessari interventi presso Ilva e di gestire lo stabilimento di Taranto”.

“Tutte le descritte circostanze attribuiscono alla Società anche il diritto di risolvere il Contratto in base agli applicabili articoli e principi del codice civile italiano”. E, naturalmente, Confindustria scende in campo difendendo i padroni (del resto è il suo mestiere) e giustifica l’atteggiamento di Arcelor Mittal dichiarando che quanto sta succedendo è sola responsabilità di scelte irragionevoli e non meditate da parte del governo. Da più fronti (confindustria, lega e sodali, parte renziana del governo, sindacati …) si invoca il ripristino dello “scudo legale” cedendo al ricatto del colosso indiano dell’acciaio.

Intanto migliaia di lavoratori si trovano sull’orlo del licenziamento. E gli studi epidemiologici registrano, tra i lavoratori dell’Ilva e i cittadini che abitano vicino allo stabilimento, “mortalità in eccesso”(1) e un consistente aumento delle malformazioni infantili.

Sulla questione si sono subito affrettati a dire la loro personaggi ai quali dell’ILVA e dei lavoratori importa poco o nulla. La questione ILVA serve per lanciare qualche slogan che sa tanto di réclame elettoralistica. Si guardi il Salvini, subito “accorso” in difesa dei lavoratori con dichiarazioni al solito propagandistiche. Le sue affermazioni che accomunano il “caso Balottelli” all’ILVA, sono indicative di una maniera di fare politica che non va al di là della dichiarazione ad effetto propria di qualche “reality show”.

L’affermazione di Salvini “un operaio dell’ILVA vale più di 10 Balotelli” dovrebbe essere un’offesa all’intelligenza e, invece, viene riportata da tutti i media quasi fosse un’idea brillante, una dichiarazione da statista. Ora, a parte che al Salvini è sempre importato poco di chi lavora (sarà per i suoi trascorsi definibili “poco significativi” nel mondo del lavoro), sarebbe da ricordare al capo della lega che una persona dovrebbe valere tanto quanto un’altra, né di più né di meno. Balotelli vale come un operaio di qualsiasi fabbrica e viceversa. Un immigrato vale come l’ex ministro Salvini. Non lo dice solo la Costituzione (alla quale lo stesso Salvini ha giurato), lo pretende un normale buonsenso.

Ma torniamo all’ex ILVA.

Ci possono spiegare i governanti di prima e quelli di adesso che “razza” di accordo hanno fatto con Arcelor Mittal? Perché era stata data l’immunità penale alla nuova proprietà e non solo per reati compiuti dalla precedente proprietà ma anche quelli avvenuti dal momento dell’entrata di Arcelor Mittal fino al completamento della bonifica degli impianti? E qualcuno ci può spiegare cosa è stato fatto in questo ultimo anno a tal proposito?

Ma la principale domanda alla quale rispondere è anche un’altra ed è, per così dire, istituzionale o, se si vuole, ideologica. Qual è il ruolo dello Stato nello sviluppo industriale del paese? E questa domanda ha ulteriori corollari. Uno Stato sovrano si può limitare a promuovere accordi, cedere risorse a privati e, quindi, farsi da parte? Ed è ragionevole che uno Stato possa permettere che un privato (una multinazionale potente, in questo caso) possa fare e disfare a suo piacimento qualsiasi cosa (ricordiamoci che Arcelor Mittal aveva annunciato poco tempo fa la messa in cassa integrazione di oltre mille lavoratori e che, come tutti i privati più potenti, utilizza l’arma del ricatto occupazionale per ottenere privilegi e benefici inesistenti per altri).

Questo è il punto vero. Quale deve essere il ruolo che lo Stato ha in economia e nello sviluppo industriale del paese. Deve limitarsi a fare lo spettatore e “regalare” beni e risorse che dovrebbero essere collettive a dei privati (ci ricordiamo dei “capitani coraggiosi” di Alitalia?) che spesso e volentieri, dopo aver sfruttato lo sfruttabile e guadagnato il guadagnabile, si ritirano e mettono sul lastrico migliaia di famiglie? O deve essere protagonista dello sviluppo del paese, proprietario delle industrie strategiche non ammettere che dirigenti statali possano rubare, essere inflessibile con i corrotti e i corruttori, anche se appartengono a categorie privilegiate o sono “gente di un certo livello”?

L’ex ILVA può essere un punto di svolta se si tralascia propaganda e temi da campagna elettorale e si opera concretamente per due obiettivi primari che non sono né possono essere in conflitto, garantire il lavoro e garantire la salute a chi lavora e vive nei quartieri devastati dall’inquinamento prodotto da fabbriche come quella di Taranto. Il conflitto non può essere mai tra lavoro e salute.

È sempre tra capitale e lavoro e capitale e salute.

(1)

Tratto dal documento “Sul caso ILVA si sta facendo un uso distorto e strumentale delle evidenze scientifiche” dell’AIE

“L’Associazione Italiana di Epidemiologia sulla base dei numerosi studi condotti fino ad oggi a Taranto, ribadisce che:

I dati ambientali hanno dimostrato che la popolazione di Taranto è stata esposta per decenni ad elevati livelli di diverse sostanze chimiche con effetti cancerogeni noti e ben documentati in letteratura.
studi epidemiologici multicentrici e di impatto sanitario hanno documentato nelle popolazioni residenti nell’area che l’inquinamento atmosferico ha determinato un aumento della mortalità e morbosità per malattie cardiache e respiratorie;
lo studio SENTIERI dell’Istituto Superiore di Sanità ha evidenziato un eccesso di mortalità per il tumore del polmone nella popolazione di Taranto pari a circa il 30%, in entrambi i generi (Pirastu et al. 2011);
gli studi epidemiologici più recenti hanno documentando danni alla salute a breve e lungo termine (mortalità per cause cardiache ed eventi coronarici acuti ed un incremento significativo della mortalità per patologie respiratorie e per tumori nella popolazione 0-14 anni), con effetti più forti nei quartieri più inquinati (Tamburi e Borgo) rispetto all’intero comune di Taranto (Mataloni et al, 2012).”

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.