Lo stanziamento promesso dal governo per 1.5 mld ai risparmiatori truffati di BPVi, Veneto Banca e 4 banche risolte non va nel deficit: qui questo e altro ancora…

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Lo stanziamento di più di un miliardo e mezzo a favore dei risparmiatori truffati inserito nel D.E.F. 2019 è un fatto oltremodo positivo che va pienamente ascritto al merito del Governo in carica.

Questo governo ha -finalmente – ritenuto di far emergere in tutta la sua interezza il dato economico (già noto al movimento 5 stelle da dodici mesi) individuando, con l’occasione, i potenziali beneficiari. Il riferimento è a coloro che sono stati traditi due volte dalle banche, sia nel risparmio inteso come valore positivo da perseguire e garantito dalla Costituzione, sia nella fiducia accordata agli istituti di credito per i soldi messi da parte da ciascun cittadino e famiglia.
La decisione di alzare l’asticella del deficit/Pil 2019 al 2,4% al fine di reperire risorse atte a finanziare il contratto stipulato tra i partner di Governo, ha scosso molto i mass media, i mercati, la UE ed i semplici cittadini. In particolare, il giusto rilievo dato allo stanziamento del “fondo ristoro pro tartassati dalle banche” presentato congiuntamente alle altre scelte di governo: reddito di cittadinanza, flat-tax, pensioni quota 100, fa apparire questa misura del tutto somigliante alle altre appena riportate, in assenza di precisazione sulle modalità specifiche di finanziamento.
Ebbene, cosi non è! La posta in questione è per il bilancio dello stato una partita neutra a costo zero in quanto i soldi provenienti dai “conti dormienti”, pagano in toto quanto verrà dato ai risparmiatori traditi. Ciò vale e varrà sia per il triennio prossimo che per gli anni a venire, tuttalpiù potrà esserci un arco temporale durante il quale – a seconda delle scelte di ristoro concretamente decise dall’esecutivo- lo stato dovrà erogare quanto reclamato dal cittadino defraudato, rimanendo esso stesso in attesa della “ricarica annuale” alimentata costantemente dai rapporti dormienti.
L’altro giorno ascoltando “Prima Pagina “di Radio Rai 3 un cittadino residente in Bergamo chiedeva al giornalista conduttore “Perché si sono previsti 2 miliardi per i truffati dalle Banche ed a me che ho comperato titoli di Stato, adesso che rendono meno ed ho già perso 7.000,00 ? “, non mi verrà dato niente?”
Ora al di là della correttezza tecnica del quesito, non può passare un messaggio nella comunità nazionale che quanto previsto è un “regalo” del Governo spesato con l’aumento del deficit a carico di tutta la collettività! Il Fondo pro-Risparmiatori Truffati non deriva né da imposte, tasse, o tributi né tantomeno da sforamento dei parametri convenuti in base al fiscal compact negoziato in sede europea ed approvato – a suo tempo- anche dall’Italia. Per evitare equivoci o fraintendimenti innanzitutto tra connazionali, occorre un puntuale intervento governativo e delle forze parlamentari con appropriata comunicazione, in grado di spiegare pienamente che i soldi dati ai risparmiatori azzerati sono soldi dimenticati da cittadini presso banche, uffici postali, assicurazioni ed elargiti allo Stato dopo vent’anni di mancato utilizzo da parte dei legittimi proprietari dei conti; di conseguenza rimessi in circolo per il tramite delle casse erariali, rimborsando altri cittadini vittime di reati finanziari.

Il ristoro affidato ad ACF/Consob varrà per poche centinaia di casi, tutti gli altri -circa 300 mila truffati- restano in attesa del post Befana 2019.

Con la conversione in legge del c.d. “Decreto Milleproroghe” è stato dato il via da parte della CONSOB della procedura per la richiesta di ristoro da parte dei risparmiatori danneggiati, che hanno perso i propri soldi investendo in titoli emessi dalle banche poste in risoluzione a fine 2015 (Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti) e in liquidazione coatta amministrativa nel giugno 2017 (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca). Attenzione, i beneficiari sono i risparmiatori che hanno già presentato ricorso all’Arbitro per le controversie finanziarie (Acf), istituito presso la Consob e che abbiano ottenuto, ovvero otterranno entro il 30 novembre prossimo, una decisione a loro favorevole. In base alla norma entrata in vigore dal 22 settembre scorso, il ristoro è pari al 30% del danno liquidato dall’Arbitro finanziario, con un tetto massimo di 100 mila euro. La relazione sull’attività svolta 2017 dalla medesima agenzia, ci dice che in media sono stati riconosciuti 27.175 euro a ricorso, a fronte di un valore medio delle richieste pari a 53.818 euro, con uno scarto dunque di circa il 50% tra “richiesto” e “riconosciuto”, ne consegue che il 30% di 27.175 euro è pari a 8.152,50 ? ai quali vanno sottratti un 10-15% di spese professionali, avvocato e/o commercialista (tipologie non riconosciute da ACF), per un importo finale netto in tasca di al ricorrente di ? 6.929,63. Inoltre, dato “lo scarto tra richiesto ed il riconosciuto è pari al 50 per cento”, il risultato finale di quanto ottenuto rappresenta il 15% di ciò che ha perso il risparmiatore espropriato.
Difficile non convenire sul fatto che la percentuale del 15%, è una elemosina miserevole e che, pertanto, possa (debba) essere considerata semplicemente “un acconto” ovvero un anticipo sul saldo definitivo rispetto al totale “riconosciuto”, cosi come si sono affrettati a dire alla delegazione delle associazioni dei consumatori in visita a Roma il 12 settembre scorso i gruppi parlamentari. Ciò che ci si aspetta è che, una volta adottato il decreto previsto dalla legge in vigore, da questo si possa attingere a conclusione o dell’arbitrato in sede ACF/Consob, o della decisione ANAC o di una sentenza del giudice sul caso specifico, il 75% dei soldi mancanti peraltro garantiti allo Stato dai flussi provenienti dai conti dormienti in via continuativa.
L’innovazione settembrina del legislatore modificativa della legge 205/2017, si rivolge ad una platea di lodi esecutivi attorno alle 500 unità, prendendo in considerazione la totalità degli istituti di credito coinvolti nelle operazioni di scarsa trasparenza ed informazione verso i risparmiatori.
Restano alcuni interrogativi aperti. Il termine del 30 novembre fissato in legge per la conclusione del procedimento arbitrale, appare del tutto incoerente ed irrazionale rispetto ai tempi prefissati per lo svolgimento dell’intero iter della pratica. Infatti, i ricorsi avanti ad ACF hanno tempi standard di 180 giorni, ben al di là del termine finale ed utile per ottenere un arbitrato definitivo. Inoltre, dal resoconto 2017 veniamo informati che il tempo effettivo occorso per la definizione di una pratica è stato di “195 giorni”. L’impegno riportato dalla stampa locale che “Consob moltiplicherà i collegi giudicanti” (Sottosegretario Bitonci) sarà difficilmente risolutivo, data l’imminenza del termine finale e la obbligatoria fase di istruttoria oggi spettante ad un’unica segreteria tecnica incardinata a livello nazionale per le decisioni di ricevibilità, ammissibilità, richieste di integrazioni e quant’altro. Inoltre, nel caso di rigetto della domanda presentata fuori termine, è verosimile il rischio di impugnativa avanti al giudice ed in via incidentale alla Corte Costituzionale nei confronti dell’avviso pubblico Consob attuativo del comma rinnovellato con eventuali stop al percorso in itinere.
Stante l’ordinario stile del decisore politico italico ovvero quello di legiferare o non avendo valutato le conseguenze sul piano pratico o ritenendo le ricadute organizzative un mero dettaglio immeritevole di attenzione, ci sarà sempre un animatore del villaggio olimpico di rango parlamentare o governativo il quale suggerirà la usuale pezza di rattoppo “basta prorogare il termine” e cosi tutto si aggiusta, talmente prevedibile che appunto era stato già indicato, inascoltati.
Non di minore importanza è il fatto accertato da luglio 2017 dell’impossibilità per i gli ex soci delle due banche venete di ricorrere alla mediazione di ACF, per l’effetto dell’intervenuta revoca all’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria. I ricorrenti delle due banche regionali che si sono visti accolti i lodi, da chi ricevono i soldi spettanti: dalle banche liquefatte? da Banca Intesa? da Consob? (?!), dal Ministero? Trattasi di 81 cittadini già titolati ad essere ristorati.
Considerate le poche centinaia di casi che saranno (forse) risolti dal recente emendamento con l’introduzione ex novo dei criteri del 30% e del limite fino a 100 mila euro, restando ancora in sala d’attesa un numero ben più consistente di circa 300 mila risparmiatori da rimborsare, a cosa esso è -in realtà- servito? A dare un primo e piccolo sorso d’acqua fresca al gruppo casualmente in testa alla foltissima lista degli assetati? oppure si è voluto -nel contempo- riempire il tempo inutilmente trascorso dal 24 maggio ad oggi per dimostrare che qualcosa si stava facendo? Presumibilmente entrambe le finalità. Preoccupa, non poco, la previsione della percentuale del 30% ed il limite del valore nominale massimo predeterminato, trattasi di una prima tranche e poi ci sarà il saldo cosi come assicurato dalle forze politiche? od invece questa diventerà la regola anche per il prossimo futuro che verrà dopo la befana 2019? In primis le Associazioni dei Consumatori debbono prendere una chiara e netta posizione in merito, cosi come tutti quelli che durante la campagna elettorale gridavano “NO PALETTI, IL RISPARMIO TRUFFATO VA RISTORATO IN TOTO”.

La possibile modifica della legge vigente ed il decreto attuativo per realizzare il fondo ristoro 
L’emendamento votato a settembre oggi legge vigente, oltre che introdurre le novità sopra descritte, ha differito il termine per l’adozione del decreto attuativo. Infatti, l’atto che stabilisce, criteri e modalità per accedere al fondo ristoro tanto atteso, in origine doveva uscire entro il 30 marzo, successivamente entro il 31 ottobre, in definitiva è stato rinviato al 31 gennaio del prossimo anno. Tale spostamento non è casuale ma causale, in quanto darà modo all’Esecutivo in carica di apportare delle eventuali ed ulteriori modifiche alla legge appena cambiata. La scansione degli adempimenti di programmazione e bilancio in capo al Governo da qui a fine anno consiste: a) nel provvedimento appena varato, appunto il DEF 2019 a valenza triennale che prima di approdare in Parlamento deve essere discusso in sede europea, b) nel disegno di legge avente per oggetto il bilancio annuale e quello triennale da varare entro il 15 ottobre e c) ciò che comunemente viene chiamato il “collegato alla finanziaria”, dove saranno allocati i commi che qui interessano. Quello che finora è emerso, è l’indicazione di natura programmatoria alias di volontà politica, importante ma affatto sufficiente, per avere certezza delle somme declamate ai media ed ai potenziali destinatari. Vale sempre la pena di ricordare che il DEF non ha forza di legge ed è un provvedimento costantemente “aggiornabile e variabile” a seconda dei bisogni a mano a mano emergenti dall’andamento delle entrate/spese pubbliche in corso d’anno, ovvero il 2019.
Le recenti affermazioni del Sottosegretario veneto, di prevedere una ricaduta di 500 milioni per ciascuno dei prossimi tre anni è un indizio molto evidente, che sebbene giaccia in cassa oltre un miliardo e mezzo la decisione in via di preparazione (versione concordata con l’altro Sottosegretario di matrice pentastellata ? linea già fatta propria anche dal Ministro ? ) è quella di diluire con tranche da 1/3 rispetto al disponibilità effettiva , confermando quindi la percentuale del 30% quale regola valida per tutti i richiedenti, ovvero il massimo ottenibile rispetto a quanto perso. A questo punto, resta solamente da chiarire se rimane il tetto invalicabile della restituzione fino a 100 mila ?. Sempre nel “collegato” saranno esplicitati i cambiamenti maturati, come le castagne, in questo autunno ai commi vigenti della legge 205/2017.
L’unica variazione legislativa appropriata è la puntualizzazione, già consegnata agli atti del Ministero dal Prof. Rodolfo Bettiol in data 24 luglio, di inserire le parole “nell’informativa successiva all’acquisto” quale obbligo di informazione per la banca. In effetti tale vincolo per gli Istituti di credito va esteso oltre il momento della sottoscrizione delle azioni, in quanto l’informativa va fatta anche successivamente all’investimento, se non altro in sede di approvazione del bilancio.
Invece risultano problematiche le estensioni del diritto di ristoro alle attività produttive ed ai titolari di PMI, o ad altre fattispecie analoghe, stante il controllo UE in materia di aiuti di stato. Da valorizzare è la positiva inclinazione dimostrata dalla commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, che ha già spiegato come Bruxelles è sulla linea di consentire il ristoro nei confronti dei risparmiatori truffati, nel caso in cui siano stati vittime di misselling da parte delle banche, cioè nel caso in cui siano stati loro venduti titoli in modo improprio ed ingannevole. Il legislatore di dicembre prossimo è preventivamente informato.
Per quanto riguarda il decreto attuativo, il testo da adottare è quello reso pubblico a Vicenza il 20 agosto scorso, introducendo -a mio avviso – un secondo parametro accanto a quello cronologico. È indubbio che, in prima battuta vanno saldati per la parte loro mancante ed in aggiunta a quanto già ottenuto in sede di: arbitrato ACF, decisione Anac, sentenza giudiziale, i “più bisognosi “ovvero quelli che hanno perso fino a 100 mila euro, di seguito occorre ristorare la fascia di coloro che hanno perso fino a 300 mila euro e quindi una terza classe che arrivi fino all’ultimo dei derubati. Per queste due ultime categorie, fermo restando il diritto al ristoro ed al riconoscimento tramite puntuale provvedimento ministeriale del quantum esigibile (che il titolare potrà farsi scontare in banca in toto od in parte), l’effettiva liquidazione sarà subordinata all’andamento dei flussi in entrata nelle casse erariali una volta esaurito il primo miliardo e mezzo.
Nulla di più nulla di meno ed il tutto a costo zero per lo Stato, dove sta il problema?
Se si vuole ripartire un po’ poco a tutti, questa scelta governativa che appare agevolare i contribuenti truffati, in realtà favorisce gli studi legali che hanno raccolto adesioni per 6mila/7mila costituzioni di parte civile pronti ad offrire la loro “professionalità” ai clienti già beneficiati della prima rata, così da poter procedere negli ulteriori gradi di giudizio. I clienti/risparmiatori truffati saranno felici -pagando di tasca propria- di avere ciò che possono avere a gratis dai rappresentanti del popolo che hanno votato il 3 e 4 marzo 2018 e che si apprestano a rivotare in occasione delle prossime consultazioni elettorali europee di maggio 2019?
Infine, e da ultimo, nel gennaio del prossimo anno spetta al Ministro dell’Economia adottare un proprio “decreto di natura non regolamentare” con il quale “è stabilita la quota del fondo” da destinarsi per il 100% per 100% alle vittime da reato finanziario in perfetta sintonia con le decisioni governative finora assunte, magari confortato in questa direzione per i prossimi tre anni anche da parte del Parlamento.

Enzo De Biasi, Team Codacons Veneto

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