M5S: la testuggine romana e la disciplina di partito

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Siamo seduti dalla parte giusta della Storia” dice Luigi Di Maio sul blog delle stelle, in quella che potremmo considerare come una “circolare” di partito. Il richiamo alla compattezza della testuggine romana per il momento è destinato a produrre risultati politici favorevoli al vicepresidente, ma la selezione della classe dirigente e l’ossatura del Movimento sono purtroppo problemi che si ripresentano ad ogni passo politico e non si risolvono certo con un generico richiamo all’unità.


Il Movimento 5 stelle, creazione di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio, non ha un’idea politica prodotta costantemente da una base secondo un processo democratico, e neppure è costruito attorno ad un preciso orientamento ideologico, spesso eredità di un capo politico o di un leader. Il M5S è un po’ l’uno e un po’ l’altro: ha attivi territoriali allo stesso modo dei partiti di sinistra, e segue il dettato di un vertice politico allo stesso modo dei partiti di destra. Questa natura ancipite (bifronte, ndr) schierata pragmaticamente secondo la risoluzione dei problemi, gli ha procurato finora un enorme consenso e una forte coscienza politica, ma gli ha causato anche un’instabilità ideologica e una difficile coesione nel gruppo parlamentare.

Questa volta la deputazione del Movimento appare ben più stabile della scorsa legislatura, siccome ora manca un approdo “nemico” che favorisce i tradimenti; tuttavia non sono ancora escluse perdite che con i pretesti ideologici scappino a papparsi per intero qualche prebenda. L’enorme numero di deputati e senatori che ha guadagnato il M5S non ha ancora trovato per intero degna collocazione tra governo, parlamento e partito. Ci sono ancora eletti – una volta li chiamavano “peones” – che soffrono del provincialismo da disoccupazione di mandati centrali. Questi possono generare all’occasione un inesistente purismo ideologico che si contrappone alla prassi governativa solo per affermare un “io esisto”, una volontà di partecipazione più attiva.

Ma nel Movimento, dove uno statuto non votato da nessuno ha trasferito tutto il potere nelle mani di un vertice politico che si circonda solo dei propri amici, è inevitabile che molti restino sottoutilizzati: schiaccia bottoni delle decisioni del capo. E in un Movimento, in cui non sono selezionati i migliori – e perciò anche i meglio conosciuti – ma in maniera del tutto fortunosa vengono scelti solo i meno invisi, è inevitabile che degli sconosciuti possano dimostrare con troppo ritardo un pensiero e una sensibilità non previste dal dettato a 5 stelle e dalle necessità politiche del momento.

Anche il veneto Mattia Fantinati, sottosegretario alla Pubblica Amministrazione, ammonisce i grillini e cerca di ricucire le dissidenze della base, ma Di Maio è preoccupato per “i segni di cedimento”. E’ preoccupato che le “sensibilità individuali non siano un valore comune“, assicurando che il suo non è un diktat del vertice, ma necessità politica che emana da un contratto, generato a sua volta da una decisione corale del Movimento votata da tutti, che rappresenta perciò l’ortodossia dei 5 stelle. Purtroppo non è andata proprio così, giacché le votazioni che da tempo si propongono agli iscritti sono poste sotto la forma di fiducia al capo, il quale poi fa ciò che vuole di questo incarico in bianco. Dunque i suoi sono diktat, e la decisione di governare con la Lega è stata presa in tutta solitudine.

E allora noi saremmo tutti curiosi di vedere quelle carte dei suoi ministeri, dove i governi precedenti hanno espressamente firmato le penali che lo Stato italiano dovrebbe pagare e a chi, se ad esempio dovesse prendere la decisione di sfilarsi dal progetto Trans adriatic pipeline (TAP). Potrebbe essere, che l’unica penale da pagare sia quella con un partner di governo sempre più potente, che alla fine metterà Di Maio insieme al M5S e all’Italia con le spalle al muro, con la minaccia di rompere tutto se le politiche da sviluppare, contratto o non contratto, non fossero quelle del liberismo-conservatore.

Chi si sfila si prende questa responsabilità dinanzi ai cittadini e di questo dovrà renderne conto“, così conclude Di Maio la sua circolare. Ma anche lui ha una responsabilità, e ne dovrà rispondere: quella di aver voluto per forza utilizzare (quando ancora non soffiavano gli zefiri del terzo mandato) l’unica possibilità che gli offriva la morale a 5 stelle per fare qualcosa di memorabile per il paese, l’unica, che lo potesse vedere protagonista dell’atteso “cambiamento”.