Ma che mare? Tre riflessioni trascurabili a partire da Splash di Colapesce e Dimartino

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Colapesce Dimartino, Splash
Colapesce Dimartino, Splash

La canzone Splash, scritta dai cantautori siciliani Colapesce e Dimartino, è in grado di lasciare addosso un pensiero incompleto, uno di quelli di cui si arriva a percepire la verità drammatica, ma che, non appena se ne disegnano i contorni, svanisce.

Musica e parole creano atmosfere contrastanti, che svisano l’inquietudine e offrono, con intelligenza e ironia, una piccola lezione di filosofia da cui trarre alcune trascurabili considerazioni. Come quelle che accompagnano la vita di chi si è visto di spalle mentre partiva e adesso si porta dentro un senso di malinconia, misto a rabbia, disincanto e rassegnazione, celato dietro una vita ricolma di routine quotidiane.

Ma io lavoro, per non stare con te

Il lavoro non è l’essenza dell’uomo, non è il fondamento della protesta di chi non ce l’ha, di chi lo ha perduto o di chi, pur avendolo, viene sfruttato o ricattato. Non servirà scomodare Hegel o Karl Marx: il lavoro, in una visione quasi fatalista dell’esistere, quella che si consolida come segno dei tempi nell’epoca del trionfo della ragione strumentale, diventa una giustificazione, una scusa, per non stare con te, per distrarsi e allontanarsi da un amore, dagli affetti. Forse perché i sentimenti, in questi tempi di guerre e catastrofi, sono un lusso, sono troppo, oppure perché sono oramai appassiti e, nelle nostre vite ingrigite e omologate, sono sacrificabili, divenuti troppo poco, insignificanti a tal punto da voler desiderare di volgere lo sguardo altrove.

Nel videoclip della canzone di Colapesce e Dimartino, firmato dalla regia di Zavvo Nicolosi e Giovanni Tomaselli, si inseguono immagini di storie abbozzate, persone affannate nelle frenetiche quotidiane esistenze. Lo sfondo, drammatico, lo offre la società del divertimento, quella che ci osserva danzante persino quando siamo intenti a scavare la fossa in cui saremo seppelliti, quella che ci chiede di essere sempre tonici, pronti, disponibili, per non tradire il peso delle aspettative.

Il peso delle aspettative

È vero, «il carattere dei bisogni umani, al di sopra del livello biologico, sono sempre stati condizionati a priori»[1]. Abbiamo arsura, persino biologicamente fondata, di cultura, di conoscenza, arte, socialità reale, politica, ma non arriviamo a percepire queste nostre richieste come necessari bisogni, preferendo pensare che siano differibili.

Non differibile, di contro, crediamo fermamente sia ciò che viene oggi, storicamente dunque, proposto come improcrastinabile, ossia la realizzazione eterodiretta di sé, da raggiungere attraverso legami fittizi, virtuali, e un impiego che diventerà l’idolo a cui sacrificare il nostro tempo e, con esso, ogni nostra aspirazione.

Ma che mare?

E, allora, affaccendati ed esausti nella ricerca di una vita realizzata, cadiamo vittime della retorica della scelta, che ci rende ingenui nel domandarci se sia meglio disperdersi anonimi dentro il rumore delle metro affollate, quelle delle produttive città del Nord, oppure ritrovarsi ad improvvisare, ad arrangiarla la vita, dietro l’imprevedibile rumore del mare, quello sublime e terribile del Sud.

  • Che mare! E dove c’è un mare così?
  • Sembra vino.[2]

Il mare color del vino. 2406 morti nel 2022, già 225 in poco più di due mesi nel 2023. In dieci anni 26 mila persone hanno perso la vita, annegate nel Mediterraneo. No, il mare non può più essere pensato cristallino, limpido, come quello delle foto che condividiamo sui social per far vedere che ci stiamo godendo i nostri meritati 15 (!) giorni di ferie. Il mare non è carino, o divertente, o rilassante, il mare non è bello. L’innocenza è persa, una volta di più, questa volta a Cutro e il mare non può avere altro colore che quello del vino.

Giunti qui ogni lirismo tace e il pensiero dissolve.

Splash

Campi sconfinati che si arrendono alla sera

Qualche finestra accesa

Mentre il vento arpeggia

Una ringhiera

Tu vivresti qui per sempre

Dici che dovrei staccare un po’ la mente

Ma io

Ma io lavoro

Per non stare con te

Preferisco il rumore delle metro affollate

A quello del mare

Ma che mare, ma che mare

Meglio soli su una nave

Per non sentire il peso delle aspettative

Travolti dall’immensità del blu

Vorrei svegliarmi più tardi al mattino

Cambiare vita baciarti nel grano

In Sudamerica

Ma l’entusiasmo poi se ne va

Questa sera mi nascondo

Mentre i miei pensieri

Vanno per il mondo

Ma io

Ma io lavoro

Per non stare con te

Preferisco il rumore delle metro affollate

A quello del mare

 

Ma che mare, ma che mare

Meglio soli su una nave

Per non sentire il peso delle aspettative

Travolti dall’immensità del blu

Sorrido alle Seychelles

Mi annoio a Panama

La vita è un baccarat

Balliamo, vieni qua

Perdonami

Non ci capisco mai

Mi dici lascia stare

Sono qua

Ma io

Io

Ma io lavoro

Per non stare con te

Preferisco il rumore dei cantieri infiniti

A quello del mare

Ma che mare, ma che mare

Come stronzi galleggiare

Per non sentire il peso delle aspettative

Vado via senza te

Mi tuffo nell’immensità del blu

Splash

Compositori: Antonio Di Martino / Lorenzo Urciullo

Testo di Splash © Sugarmusic s.p.a.

Colapesce e Dimartino

[1] E. Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1999, p. 18.

[2] L. Sciascia, Il mare color del vino, Adelphi, Milano 2011, p. 50.


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a cura di Michele Lucivero

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