Marana di Crespadoro, un gioiellino delle Piccole Dolomiti Vicentine tra NASA e leggende

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Cima Marana vista da Cornedo Vicentino. Foto: Marta Cardini

Un gioiellino delle Prealpi Vicentine è sicuramente Marana di Crespadoro. Il piccolo paese, a 800 m. s. l.m., è un punto di partenza per numerosi escursionisti e amanti della natura. Da qui si dipartono numerosi sentieri, tra cui quelli che arrivano a Cima Marana. Quest’ultima è alta 1554 e fa parte della Catena delle Tre Croci.

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Il panorama sulla Valle del Chiampo visto da Marana. Foto: Marta Cardini

Il paese di Marana ha poche case, ma un panorama bellissimo. Dalla chiesa di San Rocco si possono infatti ammirare tutte le colline e il fondovalle della Valle del Chiampo. Al centro del paese fino a qualche anno fa c’era anche una nota discoteca dove si incontravano i giovani della Valle dell’Agno e quelli della Valle del Chiampo. Passeggiando tra flora e fauna tipicamente montane si può facilmente trovare anche la cascata della Brassavalda, con di fronte un capitello caratteristico di una Madonna protettrice, di cui vi avevamo già parlato. In epoca pre covid, nel mese di ottobre, veniva organizzata la “Festa del Tartufo“, prodotto tipico di Marana.

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Il centro del paese di Marana durante una delle precedenti edizioni della Festa del Tartufo. Foto: Marta Cardini

Mentre andando verso l’osservatorio astronomico Marsec (Marana Space Explorer Center), riconosciuto dalla NASA come museo e vera grande attrazione del luogo, si può vedere l’alta collina morenica di Durlo proprio di fronte. Visto da Marana, Durlo sembra davvero un luogo “sperduto”.

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Un riproduzione del LEM che atterrò sulla Luna nel 1969 presente all’ingresso del Marsec. Foto: Marta Cardini

Cima Marana è invece protagonista di una leggenda. Si narra che poco prima del 100 a.C., durante una battaglia per arrestare l’invasione dei Teutoni in Italia, i soldati romani si piazzarono alla Sella del Campetto senza poter proseguire per la forte ed insidiosa guerriglia. A scopo propiziatorio, i legionari si fecero inviare da Roma un Vitello d’oro sulla cui protezione facevano sicuro affidamento. Il ricchissimo feticcio non riuscì però a propiziarsi il fato. Un improvviso e forte attacco dei barbari li schiacciò, distruggendo inesorabilmente il campo romano. Poco prima della battaglia finale il Vitello d’oro venne segretamente occultato e più nessuno lo ritrovò. Non lo carpirono i vittoriosi Teutoni, che lo cercarono accompagnandosi nelle perlustrazioni con i loro potenti canti arcani. Non lo ritrovarono neanche i Goti e i Longobardi che in seguito ripresero il dominio di quel luogo. Quando, alla fine del II secolo d.C., anche nella Valle del Chiampo arrivò la nuova religione portata da San Prosdocimo, la gente delle montagne cominciò a dire che il sacro idolo era passato nelle mani del diavolo. E chiunque si fosse azzardato a recuperarlo avrebbe improvvisamente perso conoscenza e sarebbe precipitato fra le rupi.

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Due riproduzioni di missili presenti all’interno dell’osservatorio astronomico Marsec di Marana. Foto: Marta Cardini

In epoca medioevale venne organizzata una grossa battuta per la ricerca dell’aureo Vitello. Non appena iniziarono gli scavi, il guardingo spirito delle tenebre provocò lo scatenamento di una violenta e copiosa grandinata mai vista prima. La squadra dovette squagliarsela, abbandonando anche l’idea di nuove eventuali future ricerche.

Secondo un’arcana credenza, il diavolo ogni cento anni ritorna ad ispezionare quel Vitello d’oro, lo esamina e lo espone al sole. Fino a qualche tempo fa questa convinzione era talmente radicata nella popolazione, al punto che molti valligiani assicuravano di aver visto sulle scoscese rocce del Marana brillare sotto i raggi del sole il mitico idolo.

Al di là della leggenda, esistono tracce della presenza dei Romani a Marana. Sono state infatti ritrovate numerose monete e urne cinerarie romane. Le monete romane ritrovate sono databili dal 2° sec. d.C. al 5° sec. d. C.. Molti dei ritrovamenti sono stati depositati e sono visitabili al Museo Civico Dal Lago di Valdagno. Pare infatti che in Età Romana la montagna fungesse da località di controllo.