Nasce il negazionismo climatico, si tratta del “Climate Delay” diffuso soprattutto tra i politici

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Cambiamenti climatici (climate change)
Cambiamenti climatici

L’attenzione ai cambiamenti climatici è al centro del dibattito degli ultimi anni (fonte OrizzontEnergia, ndr). Greta Thunberg, recentemente scomparsa dagli schermi, è stata la divulgatrice popolare della sofferenza del mondo di cui tutti, a suo avviso, devono essere consapevoli perché ciascuno può fare qualcosa. L’ondata di negazionismo che è dilagata durante la Pandemia ha però investito anche l’opinione di molte persone su questo tema. Ha iniziato così a farsi strada un nuovo fenomeno, quello del negazionismo climatico, all’inglese il “Climate Delay” che però potrebbe avere radici più profonde di quanto si pensi, ma andiamo per ordine.

Il negazionismo climatico è la retorica secondo cui i cambiamenti climatici non sarebbero in atto o, in ogni caso, sarebbero piuttosto limitati. In sostanza per i sostenitori del Climate Delay la crisi ambientale è tutta una farsa paventata da scienziati e Governi. Qualora si ammetta l’esistenza di cambiamenti climatici non si agisce lo stesso perché le trasformazioni vengono considerate modeste, ma soprattutto per l’idea secondo cui l’uomo non influirebbe sui cambiamenti climatici: la natura è ciclica, dunque cambierebbe comunque anche senza il nostro intervento. L’uomo viene così allo stesso tempo giustificato e relegato in una condizione di impotenza: i cambiamenti fanno parte della natura e non dipendono da noi.

Climate Delay

Pubblicato sulla testata scientifica “Global Sustainability”, il discorso sul negazionismo si focalizza su quattro argomentazioni. Si tratta di argomentazioni tendenzialmente condivisibili e spesso usate anche da tanta parte della politica che tuttavia ridimensionano erroneamente i cambiamenti e la crisi climatica in atto.

La prima argomentazione si basa su una delle tattiche più usate da parte dei negazionisti, ovvero reindirizzare le responsabilità ad altri. Nel caso specifico la colpa del cambiamento climatico viene attribuita ad altri Stati come la Cina e l’India in quanto nazioni più popolose della Terra, più inquinanti e meno attente su questo fronte. A loro e solo a loro spetta il compito di fermare la crisi climatica prendendo provvedimenti severi, inquinando meno.

La seconda argomentazione si appoggia al genio umano e in particolare alla tecnologia. Secondo i sostenitori del “Climate Delay” prima o poi gli uomini troveranno la soluzione ai cambiamenti cimatici tramite qualche nuova tecnologia in grado di “ripulire il mondo”. Dunque, perché preoccuparsi?

La terza argomentazione sfrutta l’enfatizzazione dei lati negativi dell’azione umana contro la crisi climatica. Agire per arginare la situazione potrebbe portare a peggiorare la situazione: meglio essere pessimisti e non prendere iniziative.

Infine, l’ultima argomentazione è relativa allo scontro politico e si fonda sulla critica di tutte le proposte della fazione opposta per arrivare all’inevitabile rassegnazione a non fare nulla di reale per risolvere la situazione.

Si tratta di tecniche basate sullo sfruttamento delle potenzialità della comunicazione e della retorica, cosa che era già stata fatta in questo campo. Siamo nel 2002 e George W. Bush è il 43° Presidente degli Stati Uniti. A Bush interessava minimizzare il problema del riscaldamento globale perché il suo recepimento negativo da parte dell’opinione pubblica avrebbe significato cambiare le politiche relative all’uso dei combustibili fossili.

Bush chiama un vero e proprio “mago delle parole”, Frank Ian Luntz e gli chiede di cambiare e modificare l’agenda politica, cambiare un contesto in cui la questione ambientale non sia più legata al fatto che l’uomo utilizzando i combustibili fossili contribuisce al riscaldamento globale. Luntz sostituisce l’espressione “riscaldamento globale” con un termine più neutro, che faccia pensare meno al riscaldamento e al tempo stesso che diminuisca l’associazione tra riscaldamento e azione umana. Sceglie “cambiamento climatico” e contribuisce a diffondere nel dibattito pubblico e nelle istituzioni questa espressione. Secondo Luntz questo termine non genera subito timore e non comporta immediatamente l’associazione tra questo fenomeno e l’azione umana.

Non si può dire quindi che le operazioni di tipo politico e comunicativo siano esclusivamente recenti ciò che è certo però è che del “Climate Delay” sentiremo ancora parlare.