Storia e sapore: il valore culturale e gastronomico dell’oliva itrana

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Oliva itrana
Oliva itrana. Credits: Repubblica.

Storia e tradizione si incontrano in tanti modi, nei nostri territori, ma è a tavola che si fondono definitivamente per deliziarci e raccontarci, silenziosamente, le avventure e le vite dei nostri avi.

L’oliva itrana è sinonimo di eccellenza gastronomica in tutto il mondo.

Conosciuta principalmente con il nome commerciale di “oliva di Gaeta DOP“, è caratterizzata da un peculiare colore verde molto chiaro, quasi smeraldo, o violaceo (a seconda della maturazione) e porta con sé un gusto intenso e inconfondibile. Nasce dalla lavorazione di una cultivar di olivo tipica del territorio Aurunco e prende il nome proprio dalla città di Itri.

Olio DOP – L’olivo itrano è un albero particolarmente vigoroso, rustico e a maturazione tardiva: i suoi frutti, infatti, si possono raccogliere non prima di marzo. L’olio che se ne ricava è particolarmente apprezzato per il suo sapore pungente, lievemente amaro e piccante, dalle note fruttate, erbacee e di pomodoro verde. Di colore giallo/verde, è DOP dal 2016 nell’accezione di “olio extravergine di oliva Colline Pontine” realizzato esclusivamente con le olive itrane raccolte nella provincia di Latina.

Olivo itrano
Olivo itrano; fonte: Wikipedia.

Raccolto e tradizione – Le olive itrane possono essere raccolte in due momenti distinti dell’anno ed offrire sapori e peculiarità differenti. Ne esistono, infatti, due varietà:

  • bianca e acerba, che viene raccolta tradizionalmente dopo il 2 Novembre;
  • di Gaeta, di colore violaceo, che viene raccolta a partire da San Giuseppe e, quindi, dopo il 19 Marzo.

Vengono commercializzate sia l’auliv a la ott (olive in botte) che all’accqu (all’acqua, cioè in salamoia) e pistate (pestate con un procedimento particolare quando sono ancora acerbe). Nel periodo di piena maturazione, inoltre, viene prodotta anche l’oliva appassita, che ha un colore più scuro e tendente al nero: viene prima messa sotto sale e, dopo 10 giorni, al sole; è ottima per i condimenti.

Olive di Gaeta in salamoia e condite.
Olive di Gaeta in salamoia e condite. Fonte: Wikipedia.

Fermentazione all’itrana – Come si legge nel disciplinare dell’Assessorato all’Agricoltura, non sono ammessi olivi itrani geneticamente modificati e non è possibile destinare alla produzione frutti immaturi, molli o in assenza di “insanguamento” della polpa.

La vera oliva di Gaeta DOP “Itrana” è quella raccolta allo stadio di piena maturità, di colore nero brillante e, più in periferia, violaceo e spesso ricoperta da una velatura pruinosa definita, in gergo, panno.

Ma è il processo di fermentazione che rappresenta il plus di questa delizia. Condotto seguendo il tradizionale “sistema all’itrana“, viene tramandato da secoli di generazione in generazione e praticato esclusivamente nell’area interessata. L’aggiunta immediata di sale o di sostanze acidificanti viene scongiurata attraverso lo sfruttamento dei processi fermentativi naturali instillati dalla flora microbica spontanea; il sale viene aggiunto soltanto successivamente per ottenere una maggiore stabilità e tutto viene sempre attentamente monitorato. Questo procedimento particolare dà vita ad un’oliva unica nel suo genere e facilmente distinguibile per il suo sapore e per una polpa così morbida da staccarsi dal nocciolo.

Storia di un’oliva speciale – I primi documenti storici che attestano la presenza di oliveti nel territorio della bassa Riviera di Ulisse e dell’alta Campania risalgono al X secolo circa e, in particolare, al testamento di Docibile II, duca di Gaeta dal 933 fino al 954, anno della sua morte.

In realtà, però, si pensa che questi alberi siano arrivati in loco molto tempo prima ad opera dei greci, che ne utilizzavano i frutti in cucina sin da epoche antichissime. A testimonianza, alcune fonti che parlano di un oliveto nei pressi del quale si sarebbe svolta la Guerra civile romana (83-82 a.C.) tra Mario e Silla, nella provincia di Latina. Ancora, Virgilio racconta nell’Eneide di quando Enea raccolse in mare delle olive trovate a galleggiare, gustosissime perché deamarizzate naturalmente.

La denominazione “Oliva di Gaeta”, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non è recente e discende, anzi, dall’antico Ducato di Gaeta. La città di Itri è sempre stata tra le maggiori produttrici ma la commercializzazione e l’esportazione avveniva proprio attraverso il vicino porto gaetano che, oltretutto, ha una storia di Repubblica Marinara brulicante e indipendente.

E ci sono pervenute anche altre notizie.

Nel 1498, il Duca D’Este Ercole I chiese all’Ambasciatore Manfredi di procurargli le famose Olive di Gaeta. Nel 1586 vennero, poi, regolamentate raccolta, vendita, conservazione e esportazione: l’intento del Consiglio di Gaeta era combattere i furti di questi frutti pregiati.

Oliva di Gaeta DOP.
Oliva di Gaeta DOP; fonte: Assessorato all’Agricoltura.

Ancora, le Oleja Caietane compaiono spesso nei documenti risalenti al tempo del Regno di Napoli e le Oleja Itrane vennero riconosciute tra le eccellenze del territorio con il censimento voluto da Gioacchino Murat.

Con il tramonto del Regno delle Due Sicilie, anche le olive itrane patirono alcune conseguenze: il re Francesco II si rifugiò a Gaeta, nel tentativo di salvarsi e di preservare la capitale del regno dagli orrori della guerra che si stava combattendo tra le truppe borboniche e i garibaldini; dopo ben 4 mesi di resistenza, però, il sovrano si arrese e si diresse verso Roma. E fu a quel punto che cominciarono i disastri: era pieno inverno e le truppe piemontesi avevano bisogno di riscaldarsi; cominciarono, perciò, a tagliare alberi per procurarsi legna da ardere ma, tra quegli arbusti, c’erano anche tantissimi ulivi che finirono in cenere, costringendo molti agricoltori ad emigrare per rifarsi una vita.

Fortunatamente, con la fine della guerra e il ripartire dell’economia questo desolante scenario lasciò posto ad un territorio nuovamente colonizzato da uliveti itrani e questa tradizione gastronomica è riuscita, così, a salvarsi e a giungere fino a noi.