Servono politiche sanitarie specifiche che tengano conto dell’inquinamento da Pfas e degli effetti su donne incinte e bambini. Lo chiede la consigliera regionale Cristina Guarda di Europa Verde a proposito della nota incidenza della contaminazione da Pfas sulla salute di donne in gravidanza e neonati.
Secondo la politica serve qualcosa in più di quanto già fatto. “I Pfas – evidenzia la consigliera – fanno malissimo a donne incinte, neonati e bambini, e non solo nelle aree contaminate: si tratta di conferme che peraltro arrivano dalla stessa Regione del Veneto, che proprio ciò ha dichiarato nell’ambito del processo contro l’ex Miteni, in corso presso il Tribunale di Vicenza, e che oltretutto emergono anche dalle pubblicazioni scientifiche dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, EFSA”.
La consigliera cita un report proprio della Regione del Veneto su 20.000 donne residenti in area inquinata, ciriticando il fatto che le risultanze emerse vengono impiegate nel dibattimento del processo alla Milteni (leggi qui), ma non per orientare le politiche sociali e sanitarie.
“Per questo – prosegue la consigliera – lo scorso novembre ho presentato una proposta al Consiglio, non ancora discussa e costruita con l’ausilio di medici esperti in materia, indicando specifiche azioni che la regione dovrebbe mettere in campo.
Partendo anzitutto dall’adozione di una prima precauzione per le donne in età fertile, in gravidanza, per il neonato e i bambini, e cioè stabilire il non utilizzo alimentare e potabile dell’acqua di rubinetto se eccede il valore guida EFSA pari a 0,64 ng/Kg peso corporeo/giorno, per la somma di 4 PFAS, valori sopra ai quali si è a rischio. Infatti se la sola acqua potabile contiene 10ng/litro come somma dei PFAS, un bambino che pesa 10kg e che beve 1 litro di acqua al giorno, introduce 10ng/10kg=1 ng/kg/giorno, quindi superiore al limite EFSA.
Ho chiesto inoltre di attivare una costante campagna informativa, in particolare per tutelare neonati e donne incinte, per ridurre i rischi di esposizione ai Pfas, dall’acqua alle pentole, di intraprendere un programma di monitoraggio medico per donne gravide con esposizione ai Pfas, come previsto dalle National Academies of Engineering, Science and Medicine, e di valutare, anzitutto per le donne esposte che vogliono una gravidanza, un formale protocollo di sperimentazione clinica per l’abbattimento dei Pfas nel sangue attraverso interventi farmacologici, di plasmaferesi o di scambio plasmatico”, conclude la consigliera vicentina.