Proiezione della discordia al “Rossi” di Vicenza, Associazione Italia Israele critica mancato contraddittorio

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Erasmus in Gaza Associazione Italia Israele
Una scena di Erasmus in Gaza

La presidente dell’Associazione Italia Israele, Cristina Franco, interviene sulla querelle innescata dalla proiezione di Erasmus in Gaza all’Istituto Tecnico Alessandro Rossi di Vicenza.

Il riferimento è ad Erasmus in Gaza, film-documentario di Chiara Avesani e Matteo Delbò sull’esperienza di Riccardo, laureando in medicina dell’Università di Siena e primo studente al mondo a partecipare al programma europeo di scambi universitari Erasmus scegliendo come destinazione la Striscia di Gaza.

L’iniziativa è stata proposta alla scuola da Salaam Ragazzi dell’OlivoVicenza e da altre associazioni cittadine che promuovono iniziative di solidarietà e informazione sulla situazione del popolo palestinese.

Elena Donazzan ha bollato come “inopportuna” l’iniziativa per gli studenti “senza alcun contraddittorio. Mi chiedo quale giustificazione in merito al rispetto dei programmi di studio, di leggi nazionali o relative alla costruzione di un pensiero critico, possano aver portato ad autorizzare tale uscita didattica”, ha detto.

Questa di seguito è la posizione della presidente dell’Associazione Italia Israele

“All’Istituto Rossi di Vicenza è stato proiettato il docufilm Erasmus a Gaza a dieci classi quarte e quinte, al termine del quale i due registi e rappresentanti del comitato vicentino per la liberazione dei prigionieri politici palestinesi hanno risposto alle domande degli studenti sul conflitto fra Israele ed Hamas e sulla questione mediorientale.

Sull’opportunità della proiezione di un simile documento a senso unico e senza contraddittorio e sul confronto con gli studenti, sempre senza contraddittorio alcuno, si è espressa manifestando le sue perplessità l’assessore regionale Elena Donazzan.

Non pare che l’assessore Donazzan abbia voluto o cercato di impedire la proiezione ma che abbia soltanto espresso il suo libero pensiero, rispetto al quale ogni censura va rigettata.

E le perplessità sono tante in merito non tanto al docufilm per se stesso ma alla scelta di proiettarlo a una decina di classi scolastiche senza contraddittorio, scelta che suggerisce una netta presa di posizione di parte, piuttosto discutibile.

E non è difficile qualificarla come discutibile nel momento in cui a raccontare un conflitto decennale che oppone lo Stato di Israele ad un’organizzazione terroristica, Hamas, ad accompagnare la visione del film e a rispondere alle domande degli studenti vi sono solo rappresentanti di organizzazioni palestinesi, della cui imparzialità e oggettività è lecito dubitare.

Intanto il docufilm pare a senso unico, perché se il suo obiettivo è far riflettere su una realtà drammatica dove i giovani vivono costantemente in una condizione di rischio si sarebbe dovuta menzionare la pesante oppressione dal 2006 di Hamas sulla popolazione con persecuzioni, detenzioni illegali, tortura e assassini degli oppositori, le violente repressioni delle manifestazioni di piazza.

E avranno poi questi unici interlocutori menzionato che Gaza è, appunto, retta da Hamas, un’organizzazione definita terroristica anche dalla Ue? Avranno menzionato che lo Statuto di Hamas fa rabbrividire a leggerlo? Che fra gli obiettivi (art. 9) vi è quello di portare l’Islam in tutto il mondo perché senza l’Islam il male prevale, l’oppressione e l’oscurità infuriano e bisogna con la Jihad ristabilire l’ordine?

Che nelle premesse dello Statuto si presenta la morte nel nome di Dio come il più dolce desiderio? Che l’art. 7 (fra gli altri) chiama alla distruzione di tutti gli ebrei, non solo israeliani? Avranno menzionato il fatto che Hamas usa scudi umani durante il conflitto? Che a Gaza esiste ed è molto efficiente la polizia religiosa o dei costumi? Che questa ha vietato di consumare alcolici e ha imposto parecchie limitazioni alle donne, per esempio relative all’abbigliamento e al divieto a girare accompagnate da uomini diversi dai propri parenti più stretti o dal proprio marito?

Avranno menzionato che l’esordio della polizia religiosa a Gaza è stato l’assassinio di una studentessa palestinese di 22 anni, a proposito di Erasmus e esperienze formative a Gaza, Yusra al Hazzami per essersi fatta vedere in pubblico sola con il fidanzato?

Le organizzazioni non governative che operano nella Striscia di Gaza e che non garantiscono la segregazione dei sessi sono state osteggiate, qualcuna è stata costretta a chiudere. Avranno menzionato il fatto che gli omosessuali a Gaza sono perseguitati e debbono scappare (spesso in Israele)?

Solo poche fra le molte domande che si potrebbero fare e alle quali farebbe piacere avere risposta, magari anche dagli uffici scolastici, magari esiste anche una registrazione dell’evento, magari quelle risposte (e ci confidiamo) sono state tutte date ai ragazzi nel corso dell’evento, per carità.

Ecco perché la scelta dell’Istituto Rossi desta perplessità che è legittimo manifestare. O l’autonomia dell’insegnamento esclude, censurandolo, il diritto al dissenso e alla critica? Perché è una precisa scelta che mal si concilierebbe con il dovuto rigore scientifico, con impostazioni di laicità e oggettività che devono permeare gli insegnamenti scolastici per consentire ai ragazzi di sottrarsi a manipolazioni, distorsioni e revisioni intellettuali che nel passato hanno portato alle più grandi tragedie umane. E’ una scelta che mal si concilierebbe, soprattutto, con le recenti Linee Guide per il contrasto dell’Antisemitismo nella Scuola (che si presume tutte le scuole abbiano ben presenti) le quali, rifacendosi alla definizione IHRA di antisemitismo, sollecitano gli istituti scolastici a fare particolare attenzione anche al profilo del rischio della demonizzazione e delegittimazione dello Stato di Israele (pur essendo perfettamente lecita la critica alla sua azione di governo) in un momento storico in cui l’antisemitismo, soprattutto quello di nuovo conio, è innegabilmente in forte crescita. Sarebbe interessante e importante capire”.